«Gli artisti non sanno di essere artisti» – Intervista a Tony Boy

Tony Boy

Tony Boy è uno di quei giovani che sta facendo tanto parlare nell’ultimo periodo e, come tutti i cosiddetti fenomeni del momento, ci incuriosisce un po’, per un motivo o per l’altro.

In occasione della pubblicazione della deluxe edition del suo album Umile, siamo così andati a trovarlo per farci due parole di persona e approfondire maggiormente la sua musica.

Intervista a Tony Boy, fuori con la deluxe di Umile

Ciao Antonio, prima di tutto volevo chiederti come è nata la deluxe del disco: i brani sono stati realizzati prima della pubblicazione di Umile? Li reputavi adatti per dare una rinfrescata al progetto?

«Hai detto bene, la deluxe nasce dall’esigenza di dare sfaccettature nuove al disco, il progetto iniziale contiene circa 15-16 brani, volevo aggiungere quei due tre pezzi per farlo respirare un po’, senza però caricare eccessivamente Umile. L‘intento era quello di bilanciare il tutto, garantendo vibes più introspettive che ormai mi caratterizzano da tempo. Alcuni di questi brani erano già editi, ad esempio, Dentro la mia testa era uno spoiler diventato virale, stesso discorso per Mischiare le carte».

Facendo riferimento alla grafica del disco: nella versione originale e nella deluxe mostri due facce opposte della stessa medaglia. In quest’altro lato si percepisce una maturità maggiore rispetto alla versione originale, è così?

«Non ho voluto inserire i brani nuovi inizialmente, perché trovo giusto dosare a pillole strumentali e barre di questo genere e i singoli in acustica usciti su YouTube vanno a puntare sulla differenza di suono, mettendo ancora di più in evidenza l’evoluzione che sto avendo. I testi comunque sono molto più personali e mi sto aprendo sempre di più con il mio pubblico.»

Per quanto riguarda la cura del suono, oltre le influenze YSL, ho percepito tanta voglia di sperimentare, andando in avanscoperta su strumentali con sonorità molto più pop e addirittura l’uso di chitarre elettriche che rimandano molto al Lil Peep di Come Over When You’re Sober.

«Le influenze YSL ci son sempre state, in particolare modo in Ego, pezzo registrato completamente in freestyle nel quale recito anche barre che sono presenti in Up Down; ho voluto creare questa connessione tra i due brani volutamente. Di tutta questa wave che ha portato Young Thug, sono più fan, che rapper. Comunque sì, i pezzi leggermente più pop ho cercato di farli miei, rendendo tali sonorità più vicine al mio stile».

Gli artisti non sanno di essere artisti, dici in Triste 178. Ti reputi un artista ad oggi?

«Non mi sento ancora di addossarmi questa cosa, è un percorso lungo, è un discorso universale. Spesso mi capita di vedere ragazzi che realizzano cose strabilianti e dal mio punto di vista li reputo artisti, ma spesso loro stessi non si sentono tali».

In Correre, singolo con Frah Quintale, entrambi vi dilettate nell’utilizzare flow inediti e reference musicali che si allontanano molto dal nostro Paese. Pensi di collaborare di nuovo con lui?

«In futuro ci saranno sicuramente altre collaborazioni con Frah, indubbiamente molto più particolari, anche per noi è un mondo ancora da esplorare e non vediamo l’ora di proporre altri pezzi che seguano questo stile».

Per la stesura e l’impostazione di Umile, quali sono state le influenze che hanno inciso maggiormente?

«Ho preso influenze dai generi più disparati, ma anche da qualsiasi cosa che mi ispirasse e non solo musicalmente parlando. Ovviamente il disco ha un’impostazione ben precisa. Ho un modo di fare rap che non scredita quello che c’è stato fino a questo momento e mi auguro che la gente lo interpreti a proprio modo».

Sei soddisfatto di come è arrivato il disco o credi che debba essere ancora assimilato?

«Secondo me è arrivato il messaggio che volevo portare, nel complesso sono molto contento. Inizialmente pensavo fosse pesante, invece stiamo portando un suono che sono contento di vedere ai vertici, guarda solo Victoria con Artie 5ive, piano piano ci stiamo riuscendo e senza scendere a compromessi strani, ovvero fare musica che non ci riguarda. Un disco con questo mood “invernale” pubblicato in estate ha dato la possibilità a brani banger di fare il loro percorso, posizionandosi bene in mezzo ad altri progetti molto validi. Sono grato che quello che stiamo facendo stia venendo apprezzato anche dal grande pubblico, spesso non trattiamo concetti semplici da ascoltare, ma nonostante ciò otteniamo sempre svariati feedback positivi».

I miei pezzi preferiti del disco sono Up Down, Correre e Angeli; in quest’ultimo, viene fuori appieno la tua capacità di realizzare storytelling struggenti, trattando tematiche molto delicate. Pensavi fosse arrivato il momento di rilasciare un brano del genere?

«Sì, è stata più un’esigenza comunicativa. Ovviamente quando realizzo un disco faccio una scrematura iniziale, tengo all’interno del progetto i brani che rappresentano maggiormente il me di quel periodo».

A livello di live quest’anno hai avuto molte opportunità, incluso il Marrageddon…

«Abbiamo ricevuto riscontri super positivi ma ci saranno ovviamente upgrade, è normale che ci sia una crescita artistica e anche che ci siano delle imperfezioni, sono tutti stimoli che mi permettono di dare il massimo. Nonostante fosse la prima volta davanti 80 mila persone devo dire che è andato bene, senza scappare per via dell’ansia (ride, ndr)».

Se ci fosse la possibilità, il Tony di oggi cosa direbbe al Tony di Go Hard?

«Non mi sento cambiato rispetto a prima, mi direi semplicemente di continuare a crederci, solo chi ci crede più degli altri riesce veramente nel suo intento. Non sono più bravo di nessuno, semplicemente c’è chi ci crede di più e chi no. Sembrano frasi fatte, ma è una verità. Qualsiasi cosa che ti succede durante la vita, bella o brutta che sia, devi prendere e andare a registrare in studio.»