Alda ci racconta Nel Margine, il suo nuovo album

Alda
Foto di Michele Nannini e Silvia Violante Rouge

Alda ha rilasciato venerdì 12 aprile il suo nuovo album Nel Margine – di cui vi abbiamo parlato qui – con l’etichetta Asian Fake.  Tutte le tracce appartenenti a questo suo nuovo progetto ci dicono qualcosa di lei e della sua storia a cavallo fra un posto e l’altro. Ascoltarlo significa immergersi nel suo mondo e capire meglio il suo vissuto.

La giovane rapper sta conquistando il pubblico trattando tematiche sociali a lei vicine. L’abbiamo intervistata per conoscere le radici creative di Nel Margine e tutti i dettagli che lo circondano. Ci ha parlato di cosa l’ha spinta a scegliere la musica come mezzo per condividere i suoi pensieri ma anche dell’evoluzione del suo approccio creativo.

La nostra intervista ad Alda in occasione dell’uscita di Nel Margine

Il tuo nuovo album Nel Margine è uscito da poco. Com’è stato il processo creativo che lo ha preceduto?

«Il processo creativo di questo disco è stato un po’ diverso perché mi sono ritrovata a lavorare con una persona che non conoscevo e che ha ridimensionato un po’ tutto il progetto. Le strumentali già esistevano però le ha rivisitate, ha praticamente stravolto tutto. Ha dato una dimensione diversa a tutte le tracce che avevo già avviato insieme a Michele (Nannini) e Iulian (Dmitrenco). A livello emotivo invece ho sempre lavorato più o meno allo stesso modo».

Ho letto che hai scelto il ponte come copertina perché i ponti uniscono due estremità e che ti sei spesso sentita a cavallo fra un’estremità e l’altra. Ti è capitato tante volte di sentirti così e pensi che questa cosa abbia influenzato le tue canzoni?

«Sì, tantissimo. Questo album è personale. All’interno c’è tanto di me, della mia infanzia e della mia adolescenza ma anche di come vivo tuttora. Si chiama Nel Margine proprio perché, come dicevi tu, parla di tutte quelle persone che vivono a cavallo tra un luogo e l’altro. Sentivo che l’elemento del ponte rappresentasse molto il concetto dietro al disco perché è qualcosa che anziché dividere unisce. Ricordo che un paio di anni fa ho avuto una conversazione con una persona a cui voglio molto bene. Si stava parlando della parola confine, molte volte si tende a dare una connotazione negativa a questo termine dato che il confine è spesso visto come qualcosa che divide anziché unire. Invece lui mi diceva giustamente che il confine può essere anche quello che c’è tra me e te. Questo disco mi ha ricordato molto questa conversazione, parla delle fragilità che hanno le persone che vivono in condizioni marginali. Nella condivisione di questo disagio c’è però un’unione».

Se dovessi scegliere una tua canzone di questo nuovo disco da consigliare a qualcuno che ancora non ti conosce musicalmente quale sceglieresti e perché?

«È difficile, non saprei perché lo vedo come un blocco unico, come se tutti i brani fossero una sola traccia. Alla fine, più o meno, parlo sempre delle stesse cose però da svariati punti di vista. In Stai Zitta parlo della condizione marginale della donna, in Mamma parlo dei disagi che hanno le persone che vivono un po’ ai margini, in Mercoledì parlo della depressione, in Ciao e Specchio parlo di immigrazione, in Tetris parlo di che cosa voglia dire sentirsi un po’ fuori luogo, una pecora nera. Quindi lo percepisco tutto come una traccia unica e non saprei consigliare solo un brano».

Quindi per conoscerti dovrebbero ascoltarlo tutto?

«Secondo me sì però è sicuramente un ascolto complesso che non è per tutti».

Nei tuoi pezzi parli appunto anche di tematiche sociali come sessismo, razzismo, immigrazione, depressione. Secondo te che ruolo ha il rap nella nostra società e pensi che possa essere utilizzato come strumento per sensibilizzare il pubblico riguardo determinate tematiche?

«Sì, io il rap lo vedo come qualcosa che nasce per comunicare dei disagi quindi penso che possa sensibilizzare molto. È chiaro che è difficile assorbire determinati temi, spesso magari vogliamo sentire cose un po’ più leggere quindi tralasciamo argomenti un po’ più pesanti, intimi e profondi però io penso che oltre alla sfera della leggerezza sia estremamente importante parlare anche di queste tematiche sociali».

Hai un aneddoto particolare legato proprio a Nel Margine che ti andrebbe di condividere?

«Ci sono un po’ di cose di questo disco che associo ad alcuni ricordi e ad alcune persone. Ne vorrei condividere uno che coincide con il primo ricordo che ho della mia vita. Questo racconto risale a quando ancora vivevo in Albania e avevo tre anni. Durante il mio primo e ultimo giorno di asilo, prima di venire in Italia, avevo un migliore amico che fra l’altro si chiamava Aldo. Questa cosa mi fa molto ridere, è un po’ come se fosse il mio specchio.  Ricordo che io e Aldo stavamo salendo le scale dell’asilo ognuno con la propria maestra (lui era più grande di me quindi ci avrebbero separato per portarci ognuno nella sua classe). Ho un forte ricordo di me e Aldo sulle scale che ci tenevamo per mano e, a un certo punto, le mani ci vengono separate. Questa cosa mi ha fatto piangere tantissimo. Nel Margine lo associo molto alla separazione quindi è anche dedicato ad Aldo».

Non ci sei più in contatto con Aldo?

«No, non conosco neanche il suo cognome, so solo che si chiama Aldo. Ci sono anche altri ricordi simili collegati alla sensazione di abbandono e di separazione. Il mix di tutti questi ricordi mi è sicuramente stato d’ispirazione per l’album».

Come ti senti nell’industria musicale in cui c’è una forte presenza maschile?

«Non saprei, mi sono sempre molto alienata da chi ho intorno quindi diciamo che non ci ho mai fatto troppo caso. Sono una persona estremamente introversa, tendo a stare molto per i fatti miei perciò interagisco poco con le altre persone».

A livello musicale, invece, senti un po’ la responsabilità di essere una rappresentante donna di un genere prettamente maschile?

«No, cioè, sono felice di poter dire la mia».

Pensi che il tuo approccio alla musica e alla scrittura sia cambiato nel corso degli anni?

«A livello emotivo ho sempre avuto lo stesso tipo di approccio perché ho sempre scritto in maniera molto viscerale, molto di getto. Le cose che ho scritto non le ho pensate, le ho sentite. Una cosa di cui mi sono accorta è che ho iniziato a essere un po’ più esplicita nel mio modo di scrivere e a sintetizzare meglio i concetti. Magari prima tendevo a nascondere un po’ di più tra le righe quello che volevo dire mentre ora mi accorgo che c’è molta più sintesi, quello che scrivo lo percepisco più chiaramente».

Da quanto tempo ti dedichi al 100% alla musica in modo professionale?

«In modo professionale da un anno prima che uscisse il mio primo EP, da circa 5 anni, ma ho iniziato scrivere a 12 anni. L’ho fatto per qualche anno e poi mi sono fermata a causa di alcuni momenti strani nella mia vita. Mi sono dedicata ad altro, ho frequentato un corso di disegno animato, la mia forma di espressione è passata dalla musica al disegno. Ho iniziato a sentire il peso delle parole quindi ho preferito disegnare per un po’ di anni. Poi ho conosciuto Michele che ha prodotto insieme a Iulian tutto il mio primo progetto. Anche i singoli che sono usciti prima di questo disco sono stati prodotti da loro, abbiamo iniziato a lavorare insieme e da lì ho iniziato a scrivere in modo più serio. Per rispondere alla domanda, da quando avevo vent’anni».

Come vedi il tuo futuro musicale? Ci sono degli obiettivi specifici che vuoi raggiungere o te la vivi passo a passo?

«Sì, la vivo molto un passo alla volta. La cosa che voglio fare è continuare a condividere quello che penso e sento».

Quali consigli daresti a tutti coloro che vogliono intraprendere il tuo stesso percorso, specialmente alle giovani ragazze come te?

«Sicuramente di sbattersene di tutto, di pensare a se stesse e di essere estremamente sincere con se stesse nel modo in cui si approcciano alla musica o qualsiasi altra cosa».

Potete Ascoltare Nel Margine qui: