«Le varie influenze aiutano a diversificarsi nel rap» – Intervista a Giaime

Giaime

Lo abbiamo annunciato più volte: il 28 maggio è finalmente uscito Figlio Maschio, il nuovo e attesissimo album di Giaime per Sony Music Italy. A seguito della conferenza stampa tenutasi quel giorno in cui Giaime ha presentato il disco e di cui vi abbiamo svelato qui alcune parti, abbiamo avuto il piacere di raggiungerlo telefonicamente. Vediamo ora cosa ci ha raccontato durante l’intervista.

L’intervista a Giaime

Ciao Giaime, anche se a distanza, ti diamo il bentornato su Rapologia! Partirei con l’elemento che più mi ha colpito del disco, ovvero i continui ricordi che si affacciano sul presente; sembra che tu avessi la forte esigenza di raccontare a più riprese del tuo passato: è così?

«Grazie mille, ciao ragazzi! Si è così, ed è molto più facile raccontare del passato, anche proprio a livello di scrittura, è quasi un istinto naturale. Evidentemente c’erano molte cose da dire visto che siamo andati avanti a singoli; adesso volevo dare più informazioni.»

Dell’influenza reggaeton e latina di Quando, avevamo già avuto un assaggio in Mai e nella prima parte di Gimmi Andryx 2020; da prima di tutto ascoltatrice, ho sempre pensato che il rap e le influenze latine fossero un connubio perfetto per la tua personalità artistica: ti ci rivedi in una direzione simile per il futuro?

«Allora, credo che non sia quello che mi interessa farmi portavoce di un genere musicale che esiste, già cioè il reggaeton o come vogliamo chiamarlo, che è fatto molto meglio da persone che sono di lì. Però, essendo io così fan del genere e del sound, da fan mi piace buttarmi su quella roba lì proprio perché mi gasa ascoltarla e quindi vorrei arrivare a farla in una maniera così figa che mi gasi quanto mi gasano le tracce che ascolto dei king del genere. Comunque non ti saprei dire di preciso, l’influenza mi aiuta a diversificarmi nel genere e lo farà per tutto il corso della mia carriera, però non mi farei etichettare come un artista reggaeton, non mi permetterei.»

In Sequel dici “Non c’è niente di male a fare un flop, se poi ti sai rialzare come un boss”. Intanto, in un mondo dove si ostentano solo i successi, ammettere un fallimento è un grande atto di coraggio; quello che voglio chiederti è se, ed eventualmente in quale tuo progetto, individui un “flop”.

«No e su questo progetto devo ancora avere le risposte in merito; se poi sarà un flop, varrà la frase che ho detto. In ogni caso, finché avrò qualcosa da dire e avrò voglia di andare in studio, flop o non flop, penso che continuerò a farlo.»

Quando ho sentito Mamma (Scusa se) mi sono detta “non è un pezzo da Giaime”; è questa la percezione che speri abbia il tuo pubblico dopo l’ascolto? Questa canzone era un modo per evadere dalla zona di comfort?

«Beh si, non dico palesemente “sono uscito dalla mia zona di comfort!“, però penso sia evidente. Mi auguro che quando l’ascoltatore sentirà pezzi come questo, che non sono tanto “da me”, dirà: “beh però cazzo, alla fine è da lui, perché con questo disco ha dimostrato che è da lui.»

Non hai paura con pezzi di questa tipologia di brani di allontanare una fetta di pubblico?

«Se si allontanano vuol dire che non stiamo più bene insieme e quindi è giusto che si facciano la loro vita (ride, ndr).»

Giaime

Wonderful sembra quasi un monito a godersi il momento, che però pare in netto contrasto con una certa insoddisfazione che ho percepito in alcuni dei tuoi testi: tu riesci effettivamente a goderti il momento o sei un eterno insoddisfatto?

«Sono a metà tra le due cose e quel monito è il primis per me, è un reminder per me e anche tutti quelli che la vivono come me, che invece di godersi il momento stanno lì a pensare troppe a cose di cui potrebbero preoccuparsi dopo, ma anche di cui avrebbero dovuto preoccuparsi prima magari; nelle strofe ci sono molti riferimenti al passato, non a caso.»

Se lei ti guarda non vuol dire che ci sta“: questo è l’inizio di Ci Sta, ripreso poi anche da Chadia, feat. del brano. Volevo chiederti se l’esigenza di partire con una frase simile sia stata condizionata dalla presenza femminile nel pezzo o se pensi che messaggi, anche velati, di questo tipo, sia necessario diffonderli anche tramite la musica.

«Mah guarda io non volevo mandare un messaggio a qualcuno, ma era piuttosto un’esigenza mia, ho sentito quel beat e mi è venuto da dire quella frase, che è una frase che penso, oltre che ovvia; poi, se questa frase avrà una potenza tanto meglio. Per me è più che altro una frase sbruffona, non riguarda solo una donna ma è più in generale. La presenza di Chadia non ha influenzato questo perché sono stati proprio l’argomento e questa frase a portarmi a chiamarla. All’inizio non pensavo ci sarebbe stata, è collimata perfettamente anche come rappresentante di argomenti e concetti come questo.»

Dopo molto tempo ti troviamo non solo su basi di Andry The Hitmaker, ma a cantare sul beat di diversi produttori: avevi paura che affidandoti ad un unico producer per un progetto così lungo ti avrebbe “limitato” in un certo senso?

«No, io credo che Andry sarebbe stato in grado di produrre tutte le tracce del disco da solo e farne un disco valido; credo in lui e nella sua poliedricità, però la mia esigenza di tastare altri terreni era più grande, quindi ho deciso di provare, finché ho visto che facevo una bella figura anche su beat di altri e che stavano bene anche con le robe di Andry.»

La tua identità artistica da qualche anno a questa parte, possiamo dire che viaggi quasi pari passo con quella di Andry: hai temuto di perderla, quasi, lasciando entrare anche altri producer nel progetto?

«Penso che un’affinità come quella che ho con Andry non si perda, credo che sia praticamente impossibile…è un legame che non può essere rotto da qualcosa. Ogni qualvolta vorremo fare qualcosa insieme ci sarà sempre la solita magia e il solito feeling.»

Sotto un tuo post di Instagram dici che il percorso verso questo disco è stato il migliore che tu abbia fatto fino ad oggi: qual è stata la cosa che più ha fatto la differenza nella strada verso questo progetto rispetto ai precedenti?

«Beh io ho pubblicato Blue Magic, il mio primo album, non in major ma da indipendente e a 18 anni; è stato un disco fatto come da un ragazzino che quasi non sa quello che sta facendo. Per quanto lo reputi un album di grande spessore, non si può minimamente paragonare all’ideazione, l’ordine e la professionalità dietro questo progetto. Aggiungiamo poi anche il fatto che sono migliorato e ho più consapevolezza nel costruire qualcosa…»

Ti lascio con quest’ultima domanda: pensi che ad oggi, anche nel rap, sia impossibile fare un disco senza le contaminazioni che ormai sono all’ordine del giorno?

«Dipende da quello che ascolti e se sei fan di altra roba o meno; se hai influenze esterne, e ne sei fan, credo che venga naturale riportarle nei progetti. Credo anche che dipenda dalla persona e dai collaboratori: magari c’è un rapper limitato nel suo genere, ma poi il producer è uno che ascolta di tutto e gli propone roba nuova… Se tu resti nella tua bolla e vuoi solo gente che fa le tue robe, allora sicuramente non avrai un’apertura; questo non vuol dire che non sarai il king, ma se hai necessità di ampliare e mettere in gioco le tue influenze costruirai un altro tipo di carriera.»

Ringraziamo Giaime per il tempo che ci ha concesso per l’intervista e vi invitiamo a recuperare al più presto il suo nuovo album: Figlio Maschio.