In dieci anni gli italiani che hanno deciso di espatriare sono raddoppiati e il loro numero continua a salire anno dopo anno: abbiamo provato a raccontare questo fenomeno tramite alcuni brani.
Correva il 2011 quando Caparezza cantava «da qua se ne vanno tutti» nella sua Malinconia con Tony Hadley, brano che trattava proprio il tema della nuova e forte ondata di emigrazione avvenuta nel nostro Paese a seguito soprattutto della Crisi Economica. Nonostante questo, la situazione era abbastanza sotto controllo e nessuno avrebbe potuto prevedere che, solamente 5 anni dopo, quest’ultima peggiorasse in maniera drastica, arrivando a raggiungere numeri simili a quelli del Dopoguerra.
Come dimostra questo grafico, dal 2007 il numero di emigrati è aumentato enormemente, raggiungendo un nuovo record nel 2016 (stabile nel 2017) con circa 285 mila italiani emigrati (stima che è il risultato di analisi incrociate tra dati ISTAT e quelli dei Paesi ospitanti): più del doppio rispetto a dieci anni prima. Per capirci, nel secondo dopoguerra il numero di espatriati toccò il picco massimo con 294 mila persone, un numero non troppo diverso da quello che abbiamo appena citato. Anche allargando lo spettro ai Paesi vicini e simili al nostro, ci possiamo rendere conto che nessun’altra nazione ha registrato cifre come le nostre, come si evince dal seguente grafico.
Senza andare a presentare altri dati, è comunque interessante ricordare come ad oggi l’emigrazione riguardi pressoché tutta la popolazione italiana, senza grosse distinzioni tra la zona di provenienza (nonostante una discreta prevalenza di chi proviene dal Nord) o il titolo di studio in possesso. Sicuramente la fascia 25-34 è quella con il maggior numero di espatriati e i laureati in fuga sono di più rispetto al passato, ma per il resto si può parlare di un fenomeno assolutamente trasversale, soprattutto se paragonato all’emigrazione del secondo dopoguerra.
Come è intuibile, in quegli anni si emigrava con la cosiddetta valigia di cartone per cercare fortuna e nella stragrande maggioranza dei casi chi partiva lo faceva da una situazione di povertà e disoccupazione forte. Al contrario chi era in possesso di un titolo di studio che gli permettesse di lavorare in Italia o chi proveniva da famiglie più o meno benestanti, difficilmente pensava ad abbandonare la propria patria. Oggi questo non avviene e basta accendere la televisione o, ancora meglio, leggere i rapporti annuali dell’ISTAT per provarne a identificare le cause.
Come dicevamo, quindi, oggi questo fenomeno è trasversale, tocca tutti i lati della nostra società: in questo contesto credo che il rap possa essere un ottimo strumento per raccontare le emozioni e le storie di tutte le decine di migliaia di italiani che hanno deciso di lasciare la propria città, per spostarsi in un altro Paese o anche solo in un’altra regione italiana.
Tra i tanti brani che hanno toccato questo tema uno dei più forti credo sia Vattene di R.A.K. con Masito (e con Danno e Marciano nel remix).
La traccia – prodotta da Arne Beats e corredata da un particolare video diretto da Camillo Cutolo – grazie alla crudezza del modo di scrivere di R.A.K. e alla magia delle barre di Masito, arriva all’ascoltatore come un crudo flusso di coscienza scritto da un possibile emigrante, tra paure, speranze e rabbia.
Le barre iniziali parlano da sole:
«Parto domani ho il primo aereo a Fiumicino
m’esce l’ansia dal cuscino, ho cancellato la rubrica del telefonino
parto perché ho deciso di seguire il tuo consiglio
e me l’ha detto pure il presidente del consiglio
pe scelta, pe dignità, pe fame, pe lavorà
perché è rimasta l’ultima possibilità
nella città che ti da vita impari a crescerci
ma nsai se un giorno il nostro figlio potrà nascerci»
Un altro pezzo che racconta l’espatrio è senza dubbio Sul Serio di Mecna, che casualmente consta di due versioni esattamente come “Vattene”: una con Bassi Maestro ed un’altra con Johnny Marsiglia e MezzoSangue. Non me ne voglia Bassi, ma credo che la versione con i due artisti sia uno degli esperimenti meglio riusciti del rap italiano, nonché una delle canzoni più belle degli ultimi anni.
A differenza del brano di R.A.K., Sul Serio mixa tre stili e tre modi di scrivere abbastanza diversi, ma incredibilmente efficaci. In ognuna delle tre strofe è possibile trovare riferimenti davvero intelligenti ed emozionanti, ma personalmente trovo che la strofa di Johnny Marsiglia sia un vero e proprio capolavoro:
«È da quando non siamo più vicini
che ogni volta che mi sfiori il mio cuore va su di giri
e un giornalista impomatato sta parlando di te
nella mia tivi
è la mia city
legato al passato con il participio
che t’aspetta che ti sbatta in faccia tutti i sacrifici
sarai amici, sarà che dici che ormai viverti è un’impresa
come attraversare il Sahara in bici
o a nuoto l’oceano
per mezzo loro che con l’odio allargano il vuoto che creano in te
in me c’è il desiderio di tornare, baciare mia madre sulla fronte
venire a salutare tutte le tue strade
uomo di mare che piange sale
che scorre la sua vita
come le utilitarie in tangenziale
mi chiede se è la fame che fa prendere un aereo
ed io rispondono che non sono io che brontolo è il mio stomaco
sul serio»
Al fianco di questi due brani, sicuramente conosciuti da molti di voi, più o meno contestualmente ad essi uscì, cinque anni fa, un pezzo che ha avuto sicuramente meno fortuna, pur meritandola, ovvero Per darmi un’opportunità, traccia di Valerio Nazo assieme a Rocco Hunt e Frankie Flow.
Tra i vari passaggi, trovo interessante il verso in cui Nazo canta «qua da cosa muore cosa, qualcosa non nascerà», smorzando il detto «da cosa nasce cosa» e applicandolo al triste e sempre più scoraggiante contesto lavorativo (e non solo) presente nel nostro Meridione. Altrettanto toccanti sono alcune barre di Rocco Hunt:
«L’aggia pruat ngopp a pell, quant’è brutt a dorm a sul,
rint a tristezz e chist hotel,
custodisc comm a nu gioell, tutt chell ca me rat,
e pur si mo part, mammà ij te so grat»
(Traduzione: l’ho provato sulla mia pelle,
quant’è brutto dormire solo,
nella tristezza di quest’hotel,
custodisco come un gioiello tutto quello che mi hai dato,
e anche se parto, Mamma, io ti sono grato)
Cambiando totalmente mood, un’altra traccia uscita negli ultimi anni che ha messo al centro il tema dell’andare via dalla proprio Paese è Vuoto di Ernia.
Ironia della sorte, il brano in questione è stato il primo singolo di Ernia pubblicato dopo anni dalla parentesi dei Troupe D’Elite. Lui stesso ha poi ammesso di non amarlo, tanto da non volerlo cantare nemmeno ai concerti. Nonostante questo, il pezzo appare molto sentito e non è un caso considerando che l’artista milanese ha passato diverso tempo all’estero a lavorare, precisamente in Inghilterra e in Francia.
«L’Australia è una figa a cui brillano gli occhi
Ci pensi finché non la scopi
In fila per Sydney, tutti disposti a spaccarsi la schiena per ‘sti quattro soldi
Piegati nei campi, meglio piegati che schiavi di altri
Meglio esiliati ed esser presi per matti
Se non hai di meglio zio è meglio che scappi (da qui)»
Spostandoci nel mondo dei Classici del rap italiano non può non venirci in mente la storica Bastavano le briciole di Marracash, presente nel disco omonimo (Marracash) di dieci anni fa.
In questo splendido storytelling il rapper è riuscito a raccontare come pochi la fatica, gli sforzi, le delusioni e la vita di una famiglia che emigra dal profondo sud siciliano per approdare nel freddo nord milanese.
«Nessuno pagava un cazzo nel mio palazzo e ci arrivò lo sfratto
E su mia madre ebbe un brutto impatto
Era venuta a Milano sognando una casa privata
E ora stava alla Barona, dietro una risaia»
L’ultimo pezzo che voglio presentare è Senza Fiato di Paolito.
Nella traccia l’ex membro dei Duplici è riuscito a sputare tutta l’inquietudine di un espatriato con una forza notevole, complice sicuramente il fatto che il brano è scritto in prima persona (Paolito ha vissuto diversi anni a Londra).
«E penso a te penso a lei penso ai miei
penso che ogni sbaglio che ho fatto in questa vita lo rifarei
perché ne sono il risultato e tuttavia mi piaccio
pure se non faccio la storia come Roberto Baggio
pure se parlo due lingue, vivo in due città
pensi che vivo due vita ma è una vita a metà
e sono andato via di qua
la mia città natale
perché invece di crescere sentivo di invecchiare
e non è normale
quando hai vent’anni e vuoi spaccare il mondo
ma ti ritrovi a strisciare sul fondo»
In questo breve viaggio musicale avrei potuto presentare altri brani, ma ho preferito limitarmi a questi per illustrare diversi punti di vista, tutti efficaci ed emozionanti a loro modo. Mentre i media e la classe politica sembrano aver dimenticato l’esistenza dell’emigrazione da parte degli italiani – o peggio, dimostrano di aver accettato passivamente la cosiddetta fuga dei cervelli – il rap, anche in questo contesto, non ha mancato occasione di fungere da valvola di sfogo per i timori di una generazione che spesso sembra non aver futuro nel proprio Paese.
Noi, nel nostro piccolo, speriamo di avervi fatto avvicinare all’argomento o, almeno, di avervi fatto vedere il rap da un punto di vista particolare.