Iniziare un album tanto atteso con una voce italiana che spiega il termine “Quaranta” fa strano, eppure Danny Brown da anni si è affezionato a questa parola così quadrata per un americano, legata a doppio filo alla maturità del rapper e alla stasi covidiana della quarantena in cui questo progetto ha preso forma.
Quaranta: una storia di maturità per Danny Brown
Ci eravamo lasciati al primo singolo, Tantor, dubbiosi sul cammino scelto da Danny, sia a livello musicale che tematico, per quanto in realtà spesso le cose vadano di pari passo per un artista dalla sua espressività.
Con l’uscita del progetto invece riscopriamo la low voice del rapper, che sprigiona grande coerenza narrativa e può contare su una serie di beat rilassati, delicati e spesso illuminanti.
Le mani di Kassa Overall, Quelle Chris, Paul White e altri hanno riprodotto l’idea distillata di Danny: Quaranta sembra una riflessione posata da un posto comodo sul passato personale, un centramento che suona malinconico e sereno allo stesso tempo.
Proprio da questo punto rialzato tra sobrietà e distacco, il rapper di Detroit scinde gli anni da pusher (Celibate con Mike), la crescita a Detroit (Y.B.P. con Bruiser Wolf), le dipendenze e il tradimento seriale (nella commovente Down wit it, lascito dei Geto Boys) da un atteggiamento più cauto che lo spinge a riconoscere la futilità dell’industria e a concentrarsi sulla musica, da creatore e ascoltatore.
Due esempi di questo binomio sono l’attualissima Jenn’s Terrific Vacation, che dipinge la gentrificazione del blocco come mani bianche che spogliano frenetiche, e la nostalgica Bass Jam, una rivoluzione in contrasto alla closing track di XXX, con cui l’artista riporta alla mente l’ascolto di Sade o Johnny Kemp da piccolo, la placidità di una giro a far la spesa con la nonna.
Il nuovo Danny è veramente nuovo.