Dieci anni dopo: la musica, la carriera e la vita – Intervista a Willie Peyote

willie peyote

Poco meno di dieci anni fa usciva, abbastanza in sordina se non per gli appassionati più attenti, Non è il mio genere, il genere umano, il primo vero album ufficiale di Willie Peyote. In questa intervista abbiamo provato a fotografare il presente dell’artista torinese attraverso la lente di questi lunghi dieci anni di carriera, con un nuovo tour alle porte – Non è (ancora) il mio genere – che si prefigge di fare lo stesso nei club di tutta Italia.

Dieci anni di Non è il mio genere, il genere umano e un nuovo tour: la nostra intervista a Willie Peyote

Intervistare Willie Peyote è sempre un piacere: pochi artisti amano la musica come lui e la percepiscono visceralmente, nonostante gli sbandamenti che possono dare i grandi numeri al proprio percorso e ai propri ideali. Le lunghe e dettagliate risposte ci hanno detto molto su che tipo di artista e su che tipo di persona abbiamo avuto di fronte.

Buona lettura!

Ciao Willie, che piacere risentirti. L’ultima volta che ci siamo visti era il lontano 2017, facesti due date a Bologna, con la febbre, per Educazione Sabauda. L’idea che avevo di te in quel periodo era quella di un artista che, nonostante avesse un riscontro non enorme, avesse le idee molto chiare sul suo percorso. Era effettivamente così?

«Non so quanto sapessi effettivamente dove andare ma sapevo sicuramente cosa volevo fare, questo sì. A distanza di sei anni, penso che sia stato un percorso coerente e col senno di poi capisco le ragioni di determinate scelte che ho fatto. Ovviamente le scelte e le conseguenze delle scelte le capisci sempre dopo (ride, ndr).

Sono stati anni abbastanza pieni di cose, non solo nella mia vita, ma nella vita di tutti, credo che abbiamo affrontato e stiamo affrontando anche un cambiamento grosso a livello culturale e musicale, un cambiamento che 5 anni fa sarebbe stato impensabile, per non parlare di 10 anni fa. Per questo forse oggi è più difficile capire dove andare rispetto a quanto lo fosse un po’ di anni fa.

Lo è perché nel frattempo si è allargato anche un po’ il campo di gioco, sono cambiate le condizioni intorno, cioè il rap è passato da essere un genere di nicchia, quando ho iniziato io, a essere il genere più importante a livello di numeri e di trasporto. L’indie invece ha attraversato un momento prima di grande ascesa e poi di blocco anche se adesso è uscito il dsco di Calcutta, magari salverà la vita all’indie (ride, ndr). Insomma, sono cambiate così tante cose che oggi forse è più difficile prevedere cosa succederà, nella musica e non solo.»

Non so quanto sapessi effettivamente dove andare ma sapevo sicuramente cosa volevo fare.

Alla luce di questi discorsi e del momento che stiamo attraversando come Paese, credi valga ancora la pena lanciare un messaggio attraverso la propria musica?

«Secondo me sì, in generale vale sempre la pena se si ha l’obiettivo di dire qualcosa, se si pensa che quel qualcosa abbia senso non tanto per il suo significato, ma quanto per il fatto che possa in qualche modo stimolare una discussione, un pensiero critico o provocare una reazione. Il cambiamento di cui parlavamo attraversa anche l’approccio ai temi sociali e politici, ovviamente è cambiato il Paese, è cambiata la sensibilità delle persone, sono cambiate tante cose, come è cambiato il modo di comunicare i propri pensieri. Tutti esprimiamo costantemente le nostre opinioni, tutti i giorni, tutte le ore e quindi forse la musica “d’opinione” ha meno senso di esistere.

Ti posso dire però che da comunicatore, pur appartenendo a una generazione precedente a quella che oggi rappresenta i più giovani, il nostro obiettivo deve essere sempre quello di trovare il modo per essere attuali nella comunicazione, pur mantenendosi coerenti con quello che è il nostro il nostro percorso. È inevitabile poi che se cambia il mondo intorno a noi cambia il modo di comunicare e bisogna essere in grado di intercettare questi cambiamenti o quantomeno farli propri, fino al limite che noi decidiamo essere quello giusto.

E la trap che ruolo può giocare?

«Riguardo gli artisti più giovani, credo comunque che non si possa negare che ci sia qualcosa di politico anche nel rap di oggi, basti pensare ai rapper di seconda generazione. Parliamo di ragazzi che devono ancora lottare per la loro autodeterminazione, in un Paese che sul tema della cittadinanza è obiettivamente molti passi indietro rispetto ad altri Paesi europei. Magari non ci pensiamo ma quello è uno statement politico, noi lo sottovalutiamo perché ci fermiamo alla superficie della musica trap e ci dimentichiamo di avere sotto gli occhi una cartina tornasole anche di un tema sociale e politico che esiste.

Anche pensando ai temi relativi ai diritti civili, è innegabile che i giovani sentano molto propri certi temi, magari nella musica arriva poco ma in altri mondi molto, come anche il tema del cambiamento climatico. Sicuramente è cambiato l’approccio rispetto ai tempi delle Posse, siamo sicuramente meno falce e martello, meno compagni dei centri sociali, che ormai è un mondo che non esiste quasi più. Ad esempio io sono stato denunciato per aver cantato ad un concerto fatto per non chiudere un centro sociale e questo tema non è uscito da nessuna parte, come non sarebbe accaduto anni fa, questo perché oggi quel mondo lì non interessa quasi più a nessuno.

Bisogna prendere semplicemente atto di questo, forse lo spostamento a destra delle nostre istituzioni e in generale di parte della pancia del Paese farà in modo che ci sarà una risposta uguale e contraria che riporterà in auge certi temi.»

Riguardo gli artisti più giovani, credo comunque che non si possa negare che ci sia qualcosa di politico anche nel rap di oggi, basti pensare ai rapper di seconda generazione. Parliamo di ragazzi che devono ancora lottare per la loro autodeterminazione, in un Paese che sul tema della cittadinanza è obiettivamente molti passi indietro.

Rimanendo sempre sul tema del pubblico e di come recepisce la musica, io credo che Pornostalgia sia uno dei tuoi migliori dischi, se non il migliore. Tuttavia ho notato sia stato accolto un po’ timidamente. Come e quanto cambia, se cambia, il tuo parere su un disco in base al modo in cui il pubblico lo accoglie?

«Direi che è inevitabile che il parere cambi, secondo me non si può prescindere da questo. Il modo in cui viene recepito un disco te lo fa sentire in modo diverso e ti ci affezioni in un modo diverso. Pornostalgia in particolare è un disco che mi ha insegnato molto, nel senso che è un disco che mi serviva fare per sfogare determinate sensazioni, determinati pensieri e in generale due anni faticosi, ma ovviamente col senno di poi è più facile analizzare il tutto. Ad ogni modo secondo me il lavoro dell’artista deve essere a servizio del pubblico e non viceversa. Il pubblico col suo feedback indirizza, giustamente, le scelte che un artista deve fare, cercando di rimanere coerente con il suo viaggio.

Ad esempio Io non sono razzista ma… è un pezzo che oggi scriverei in maniera diversa e mi rappresenta meno di come mi rappresentava, perché nel corso degli anni il tema del razzismo è stato affrontato in un modo che ha fatto sì che il brano venisse recepito in maniera diversa da come era nato. Ma proprio per quello che ti dicevo, è uno di quei brani che non posso non fare ai concerti, piacendo tantissimo alle persone. Io credo che il rapporto con il pubblico sia una questione di scambio. Quindi anche nel fare la scaletta io tengo presente qual è il feedback delle persone e credo sia anche giusto. D’altronde si dice “il cliente ha sempre ragione”, tranne nell’arte però (ride, ndr).

C’è poi da tenere presente anche quanto cambia intorno a noi il mondo, quanto cambia la velocità con la quale approcciamo la musica, quanto tempo diamo un disco per sedimentare e quanta roba esce contemporaneamente. Quindi un disco come Pornostalgia subisce anche il contesto musicale che ha intorno a sé, perché i dischi finiscono in fretta anche per i grandi grandissimi nomi, quindi non vedo perché nel mio piccolo io debba ricevere una reazione diversa dalle persone. Anzi, paradossalmente, forse il mio piccolo il pubblico affezionato dà anche più tempo ai dischi per sedimentare rispetto al grande pubblico. Tutto sommato forse sono anche in parte immune da questo meccanismo.»

Sì, credo tu abbia una fan base di un certo tipo, molto matura per certi versi. Personalmente però mi aspettavo un disco diverso dopo Sanremo.

«Perché, cosa ti aspettavi?»

Odio usare questa parola ma mi aspettavo un disco pieno di hit, che ti permettessero di andare a bussare alla porta di chi hai raccolto durante il percorso di Sanremo. Invece secondo me questo è un disco che tu avresti potuto fare anche diversi anni, non ti sei plasmato al mercato, per usare certe parole.

«Forse hai ragione, non so quanto sia stata una scelta quella di fare un certo tipo di disco, nel senso non so quanto sia stata consapevole, ma sicuramente arbitraria, quella di fare un passo indietro dopo Sanremo. Per l’approccio che ho nel fare la musica e per l’idea che ho del ruolo dell’artista in testa, posso aver avuto un rinculo nel momento in cui ho avuto paura di andare troppo nella direzione del pop per i miei gusti personali e quindi sicuramente c’è anche quella componente lì dell’aver fatto un passo indietro, dell’aver fatto un disco con meno hit nell’accezione pop del termine.

Come spesso accade, però, delle cose ti rendi conto dopo che l’hai fatte. Quindi ti posso dire che quel disco lì mi è servito anche per tornare ad approcciarmi alla musica con molta più leggerezza rispetto a prima, per mettere un punto e togliermi anche un po’ di paletti dalla testa. Anche negli ultimi due singoli credo di aver mostrato meno timore ad aprirmi musicalmente, cosa che invece dopo Sanremo un po’ ho subito, non lo nascondo.»

Anche negli ultimi due singoli credo di aver mostrato meno timore ad aprirmi musicalmente, cosa che invece dopo Sanremo un po’ ho subito, non lo nascondo.

In questo meccanismo complesso, come riesci a far coesistere, anche da un punto di vista contrattuale se vogliamo, le tue volontà e la tua necessità di sentirti musicalmente libero con la macchina della discografia?

«Uno nella vita fa delle scelte che hanno delle conseguenze e se parliamo di scelte consapevoli uno deve affrontare anche quelle conseguenze, questo in generale. Per quanto riguarda gli aspetti dei miei contratti ho sempre avuto la totale libertà, ricercandola ovviamente. Questa ovviamente è una scelta che fai, guadagnandoci da un lato, perdendoci da un altro, ma le scelte sono fatte così. Ad ogni modo io cerco sempre, anche in questo tour che sta per partire, di chiedermi il perché ho iniziato a fare questo lavoro, cioè qual era il motore che mi ha spinto a sognare di fare questa vita.

Cerco di ricordarmi qual era il motore che mi spingeva allora e in qualche modo cerco di mantenerlo vivo anche oggi, perché poi in fondo l’opinione degli altri è importante è ti influenza, come è giusto che sia come dicevamo prima, ma poi in fondo l’opinione più importante è la mia. Devo avere voglia di guardarmi allo specchio e visto che non mi sono mai piaciuto, quantomeno vorrei mantenere una certa stima nei miei confronti.

Di conseguenza voglio ricordarmi perché lo faccio, per essere comunque in pace con me stesso. La serenità con cui accetti le conseguenze delle tue scelte nasce anche da questo, se sei in pace con te stesso e accetti le conseguenze, anche quelle negative.»

Ad ogni modo io cerco sempre, anche in questo tour che sta per partire, di chiedermi il perché ho iniziato a fare questo lavoro, cioè qual era il motore che mi ha spinto a sognare di fare questa vita.

Parlando proprio di questo tour, a differenza di molte altre tue tournée non arriva dopo un disco o un grande momento di promozione. Chi ti aspetti di trovare sotto al palco?

«Sicuramente chi parteciperà a questo tour sarà lo zoccolo duro di chi mi segue, non necessariamente solo i fan della prima ora. Quello che posso dirti è che chi ci sarà meriterà ancora di più il massimo da parte mia, dovrò ricambiare la fiducia di chi dimostrerà una grande affezione.

Probabilmente chi mi ha conosciuto a Sanremo e in qualche modo magari è stato deluso da Pornostalgia, sicuramente non viene a vedere un tour su un disco che in parte omaggia un disco di 10 anni fa che neanche conosce. A dirla tutta però il riferimento al nome del tour è in Ufo, in cui chiudo la strofa dicendo “non è ancora il mio genere, scrivilo sulla lapide“.

Quindi sarà un tour in cui ci sarà dentro tutto il mio percorso, in cui cercherò raccontare questi dieci anni nei quali mi sono licenziato e ho fatto tutta una serie di cose nella musica, cambiando tante volte ma non cambiando realmente mai.»

Possiamo dire che tu sia stato uno dei primi artisti a “scoprire” e a dare anche un po’ di spazio alla stand up comedy in Italia. Credi possa avere una parabola simile a quella del rap in Italia?

«Sia con il rap, poi con l’indie e infine con la stand up posso dire di esserci arrivato prima di tutti (ride, ndr). Ho intercettato il rap da ragazzo quando eravamo in pochissimi a farlo, l’indie uguale e in parte anche la stand up. Oggi sicuramente la stand up è al centro di una proposta comica nuova nel Paese, in qualche modo posso dire di prenderci come visione (ride, ndr).

Credo che la stand up avrà ancora margine per crescere, vedo per esempio i numeri che sta facendo Luca Ravenna che è un grande amico, sta facendo record su record. Esattamente come il rap, se vogliamo, la stand up ha la capacità di affrontare alcuni temi profondi senza risultare pesante. Il rap e la stand up hanno una chiave molto simile secondo me a livello di approccio artistico, per certi versi. Quindi rappresentano bene il mondo di oggi: non è un caso che siano entrambi in costante crescita.»

Esattamente come il rap, se vogliamo, la stand up ha la capacità di affrontare alcuni temi profondi senza risultare pesante. Il rap e la stand up hanno una chiave molto simile secondo me a livello di approccio artistico, per certi versi.

In una tua vecchia intervista dicevi che difficilmente avresti scritto libri o ti saresti buttato in altri contesti artistici, per non “sfruttare” la tua popolarità per occupare altri mondi che a tuo dire non ti spettano. Alla luce di questo, dove ti vedi nei prossimi anni? Al di là della musica, ci sono altri mondi in cui ti piacerebbe entrare?

«Alla fine, un libro è uscito, ma non lo considero vero e proprio essendo una chiacchierata con Pippo Civati, quindi non credo di essere stato incoerente (ride, ndr).

Rivendico quindi ancora quel pensiero, non mi sento di fare altro, ogni tanto mi dicono anche “perchè non provi a fare stand up?”, ma ho troppo rispetto per certe discipline e le lascio fare a chi è davvero bravo a farle.

Sicuramente continuerò a far musica finché ho voglia io e soprattutto finché le persone avranno voglia di ascoltarmi, tornando al discorso del rapporto bilaterale col pubblico. Nel frattempo, ho avuto la fortuna di partecipare anche all’apertura di due locali ai Murazzi, come socio, quindi con l’idea della pizzeria non sei andato troppo lontano (ride, ndr)

Mi piace l’idea di poter partecipare in qualche modo alla rinascita dei Murazzi, per provare a ridare vivacità a una zona e creare dei luoghi nei quali i ragazzi giovani possano suonare e portare la propria musica. Per me è un piccolo sogno, ho deciso di entrare in queste realtà per provare a restituire alla città un luogo che per me è stato fondamentale nella mia formazione.

Altro non so, faccio già fatica a trovare il mio posto nel mondo nella musica (ride, ndr).»

Anni fa parlammo di come cambia il rapporto con le donne a seguito di una certa popolarità e tu mi sorprendesti nel dire che sì, è più facile conoscere persone, ma parlando di storie d’amore nel momento in cui il rapporto si sviluppa si è una coppia come tante. Mi facesti anche riflettere sul fatto che spesso anche nei rapporti di coppia tra persone comuni per così dire, una delle due parti tende a idealizzare, anche in minima parte, l’altro, per una ragione o un’altra…

«In generale ti posso dire che la risposta è più o meno la stessa. Non avendo mai avuto un’enorme esposizione e né essendo un sex symbol tipo Damiano dei Maneskin, le persone che si avvicinano a me credo lo facciano per quello che dico nei brani e cercano in qualche misura un riscontro con la persona che ha scritto quelle cose. Sicuramente più si allarga il tuo bacino di ascoltatori più aumenta il numero possibile di persone che possono sentirsi in un certo qual modo attratte da quello che dici.

Oggi come oggi nella mia vita non ho una relazione, spesso mi chiedo perché non ne senta nemmeno la necessità. Non ne sento il bisogno, forse anche perché sono anni particolari in cui sono concentrato a pesare le priorità nella mia vita, ma arrivato a una certa età sono convinto che le cose accadono quando devono accadere. Proprio nella serata di Bologna di cui parlavamo prima conobbi la mia “futura ex moglie” per puro caso, ad esempio. C’è anche da dire che se sei troppo concentrato su certe cose, non è nemmeno corretto andare a cercare qualcuno al quale non potresti dare poi tutto te stesso.»

Non avendo mai avuto un’enorme esposizione e né essendo un sex symbol tipo Damiano dei Maneskin, le persone che si avvicinano a me credo lo facciano per quello che dico nei brani e cercano in qualche misura un riscontro con la persona che ha scritto quelle cose.

Con l’annuncio della reunion dei Club Dogo e alcuni dischi usciti negli ultimi mesi e anni sembra stia tornando il rap di un certo tipo, lasciandosi un po’ alle spalle la trap. Credi sia davvero così?

«Credo proprio di sì. Penso a Marra, con due dischi con quasi zero trap dentro è riuscito a soddisfare pubblico e critica, vincendo la targa Tenco: un successo di questo tipo non succedeva da tantissimo tempo in Italia, anche negli altri generi. Anche Guè ha fatto un disco super boom bap, quindi penso proprio di sì, credo tutto sia ciclico, forse i cicli sono solo più brevi, ma comunque esistono. Il rap inteso come lo intendiamo noi, aggiornato ovviamente come suoni e come temi, penso stia tornando in maniera forte, anzi è già tornato.»

Ce lo dobbiamo aspettare anche da te quindi?

«Vuoi più rap? (ride, ndr). Non lo so sai, io ho iniziato col rap, mi sento un rapper, e amo il rap, sono andato anche a sentire i Non Phixion l’altra sera ad esempio, perché amo ancora quel suono lì. Tuttavia io sono stato conosciuto al grande pubblico grazie all’indie, non per scelta ma per caso. Il punto è che il pubblico del rap non cerca un rapper come me oggi, anche esteticamente, e il pubblico dell’indie non ha interesse affinché io rappi. È un pensiero che ho fatto diverse volte, anche Pornostalgia ad esempio è un disco sicuramente più rap dei precedenti. Anche nel tour farò tanti pezzi vecchi molto rap, seppur riarrangiati in chiave moderna. Stiamo a vedere in futuro quanto altro rap ci sarà (ride, ndr)».

Il pubblico del rap non cerca un rapper come me e il pubblico dell’indie non ha interesse affinchè io rappi.

La domanda più importante: come lo vedi il Toro quest’anno?

«Male, malissimo (ride, ndr). Mi aspettavo di meglio, avevo grande stima nei confronti di Juric e vedo anche lui in confusione. L’unica gioia è avere Alessandro Buongiorno come capitano, essendo un ragazzo di Torino e del Toro che ha dimostrato che quest’estate di tenerci tanto al punto di non voler cambiare squadra nonostante un adeguamento cospicuo del proprio ingaggio. L’unica nota lieta al momento è lui, il resto è come tutti gli altri anni, da quando c’è Cairo, va sempre così.»

 

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