«Con il disco di Warez voglio dimostrare alla gente che nella musica non bisogna credere solo ai ragazzini» – Intervista a Danti

Danti

Venerdì 15 luglio ha visto luce Hardcore Number One, il primo frutto della stretta collaborazione tra Warez e Danti: proprio con il fondatore dei Two Fingerz abbiamo voluto realizzare un’intervista per approfondire sia il progetto che il suo pensiero su vari aspetti della discografia italiana e non solo.

Il disco con Warez, il suo da solista e l’industria discografica italiana in questa intervista con Danti

Una delle figure più controverse della scena rap italiana è stata sicuramente quella di Daniele Lazzarin, in arte Danti.

Con il duo fondato assieme a Roofio, ha dato vita ad alcuni di quei dischi che molti ragazzi cresciuti con il rap dal 2007 al 2010 ricordano con molto piacere e nostalgia. Tuttavia, non è mai stato considerato quanto dovuto dagli addetti del settore o perfino da alcuni colleghi, come da lui stesso detto con il sorriso più di una volta.

Fatto sta che la sua penna ha scritto alcune delle strofe più belle di quel periodo e di quello subito dopo, oltre che brani per svariate hit degli ultimi anni cantate però da altri. Per questo di spunti per una chiacchierata assieme a un (ex) rapper, (non) cantante, (non così tanto) ghostwriter e (sottovalutato) produttore musicale come lui crediamo ci possano essere sempre.

Così, dopo aver riso – ma non troppo – parlando di un titolone su un quotidiano bresciano letto poco prima della telefonata e che riportava: “Aumentano i casi Covid. Si attende l’effetto Maneskin“, siamo partiti proprio della questione live in Italia, tema che si sta affrontando parecchio per via di giovani come Rhove che fanno i concerti quasi in playback, puntando tutto sulla presenza scenica…

«Meglio se fanno così, almeno fanno spettacolo. Gli altri cantano senza la voce sotto e fanno pure cagare»

Sembra però che ci sia una sorta di emulazione di quanto ormai si fa da un po’ di tempo in America, anche come reazione della gente…

«Noi copiamo non solo le robe belle, anche le cose brutte. Noi siamo un Paese così “terzo mondo di mentalità” che dobbiamo avere anche noi il nostro Astroworld, capito? C’è Travis Scott che dà problemi sui live perché muoiono delle persone, noi dobbiamo rompere il cazzo sui live perché dobbiamo ricondurre a una problematica come in America. Dai raga, ma che Paese è? È una presa per il culo. Io credo che la personalità e la personalizzazione siano alla base non solo dell’arte ma del fare il pane, per fare proprio tutto. Se tu non hai questo atteggiamento, avremmo tutti lo stesso pane e infatti guarda, abbiamo tutti la stessa musica, ci vestiamo da H&M e parliamo tutti con lo stesso slang. Minchia che tristezza…»

C’è proprio mancanza di originalità!

«Manca la personalità, canzoni scritte appositamente per te. Non è che se tolgo a Rovazzi Andiamo A Comandare e gliela diamo a Mengoni facciamo successo. Se però la togli magari alle popstar del momento e gliela diamo a un’altra, abbiamo comunque una hit. Questa è spersonalizzazione dell’artista e personalizzazione della discografia. Così non si creano carriere, non si creano tour…»

È come quando prendi in mano un disco di un rapper e dall’inizio alla fine ti pare di ascoltare lo stesso brano. Potresti anche prendere la voce di una traccia e metterla tranquillamente su tutte le restanti strumentali che lo compongono e il risultato non cambierebbe…

«E allora lì sai che c’è? Fatelo voi un disco così, perché a me fa cagare. Io faccio questa roba perché a me piace la musica, non mi piace il rap. Ma cose così non sono un problema solo del rap, sia chiaro, lo è anche del pop, della dance etc. Perché esiste un Meduza e tutti gli altri li copiano? Pure Tiësto lo fa adesso. Capito cosa voglio dire? La personalità è alla base di tutto, è la cazzimma, e c’è quando tu non vai a copiare, ma vai ad importi, anche ispirandoti a qualcosa del passato. Io credo che l’epoca in cui viviamo oggi sia citazionismo e collage, ma lo devi fare con gusto. Perché dobbiamo invece rifare per forza ad esempio The Weeknd se abbiamo dei ragazzi bravi che cantano?»

Perché pensano che sia la formula vincente…

«Ma perché siete dei rincoglioniti e spremete i ragazzi subito perché volete immediatamente i soldi. La musica però non si fa così»

È quello che poi porta i giovani che sono diventati famosi l’altro ieri a interfacciarsi subito con palcoscenici giganti, dischi con aspettative clamorose…

«Però guarda, se ci pensi, è sempre successo. Che ne so, pensa ad esempio a Paola & Chiara che fanno Sanremo e dopo due mesi hanno fatto tipo il Forum. Ok, non c’era internet etc, ma di casi così ce ne sono stati parecchi. Quello che voglio dire è che quando vedo un Blanco che nonostante l’età è in grado di gestirsi quei palchi e quelle situazioni – e non è così scontato – credo davvero dovremmo partire da queste cose. Dovremmo partire da artisti come questi che cercano di avere una personalità. Noi invece andiamo dietro alla corrente, ai numeri dello streaming, alle cazzate così e non riusciamo a fare la differenza. Se abbiamo qualcosa di credibile come lui o come ad esempio i Maneskin, non dobbiamo spremerli ma dobbiamo farli crescere. Il problema è che la musica d’oggi non fa così…»

Perché qua su cosa puntano etichette, management, uffici stampa? Sui numeri. Mai una volta che si parla per prima cosa del contenuto, della tecnica, della strumentale. Anche nelle interviste si parla principalmente di gossip, di come sono vestiti ma non di musica. 

«Ma perché non frega un cazzo a nessuno. Ascolta, Matteo: perché ho abbandonato l’autorato secondo te, anche se mi davano un contratto della madonna? Perché ho abbandonato la musica come priorità e prima linea? Perché ho capito com’è ed è un’infinita tristezza. Se tu vuoi far il cantante, devi sapere che la musica inciderà nella tua carriera ma la tua immagine sarà proiettata su tutt’altro che non è fare musica. Io amo fare musica e stare in studio ma non riesco a dire che faccio il cantante, ma non riuscivo ad esserlo neanche dieci anni fa perché dicevo “tutto il resto del tempo, se non sono in studio, che cazzo faccio?“. Questi il tempo lo passano a farsi le foto o a dire la loro su qualsiasi argomento, sul gossip… E sia chiaro, io ho avuto un negozio per parrucchiere per vent’anni e ci ho fatto la vita sul gossip, compravo Novella2000 altrimenti le mie clienti si incazzavano, quindi capisco la potenza di questi argomenti. Vuoi avere il risultato? Chapeau. Vuoi avere lo streaming? Chapeau. Vuoi fare il cantante per farti le foto e i video e non fare un cazzo di musica? No e quindi io non voglio fare il cantante, capisci quello che voglio dirti? Se questo è il concetto di fare il cantante, a me non me ne frega un cazzo»

Non pensi però ci sia magari qualche esempio conosciuto al grande pubblico e che non segua questo modus operandi? Il primo nome che mi viene in mente nel rap game nostrano è Guè, capace di sbattersene di questi trend e di pubblicare  tre dischi 100% rap in meno di due anni. 

«Io sono mega fan di quella roba, fai conto che Mi Fist l’hanno fatto da me quando avevo lo studio con Don Joe. Per me Mi Fist è l’unico album rap che è una fottuta pietra miliare. Non so se ho avuto questo effetto perché l’ho vissuto in prima persona ma ad oggi io non trovo ancora un disco rap italiano con quella base, quell’intento, quel divertimento, quei casini: con quella veridicità!»

Hai quindi difficoltà a trovare cose vere nella scena rap italiana?

«Guarda, onestamente ti dico che non ho difficoltà a trovarle. Ti faccio un altro esempio: quando ascolto Paky sento la verità e ti devo dire che secondo me la sorpresa rap dell’ultimo anno e mezzo è proprio lui»

Eh, io personalmente mi sono ricreduto su di lui in positivo dopo aver ascoltato il suo album Salvatore… 

«Appena è uscito io ho detto: “Ma porca puttana, tra tutte le cose è proprio Paky la cosa che mi sembra più credibile a livello di rap”. Quasi quasi ero seccato (ride, ndr). Fa ridere, ma alla fine io sono fan della canzone, che per me è quella che ha della musicalità e trasmette qualcosa che ti rimane. Ecco, negli ultimi anni nell’ambiente urban sento mancanza di questo. Se penso ad artisti italiani che mi piacciono, non mi ricordo le loro canzoni se non una o due… Non c’è più il concetto del ritornello che ti rimane in testa, non c’è più Applausi Per Fibra, non c’è Vaffanculo Scemo, non c’è Badabum Cha Cha. C’è la ripetizione della frase, un flow, ok bello, però quando sento Drake o Kanye West c’è quel ritornello che dico io»

Situazioni così quindi in Italia secondo te non ci sono?

«Forse quello più simile e che rispecchia un po’ questa roba è Ghali, che però si è spostato forse un po’ troppo verso il pop. Mi ricordo i primi pezzi che facevamo al Karmadillo Studio tipo Marijuana, Dende: quello era il giusto bilanciamento, senza andare sul pop. Ok, detto da me sembra una stronzata, dato che poi a me il pop piace. Però no se sei un artista rap con un certo tipo di qualità e lui secondo me si era imposto, soprattutto dopo aveva iniziato con i video realizzati da Alessandro Murdaca. Quando ha iniziato a lavorare con lui mi era parso quasi di aver lasciato un ragazzino e di aver ritrovato un uomo arrivato dal futuro dato che aveva un immaginario internazionale in un Paese che non aveva mai toccato in maniera così figa questo settore a livello di immagine e di canzone»

Nel tuo presente ora invece c’è Warez, con cui sei da pochissimo uscito con il brano Hardcore Number One insieme ad Ame 2.0. Che rapporto hai con lui?

«Gli sto proprio seguendo il disco, perché credo molto nelle sue capacità e nella qualità. Voglio dimostrare alla gente che non bisogna credere solo ai ragazzini, anche perché lo fanno solo perché loro di questo ambiente non sanno un cazzo, li freghi facilmente e fanno più streaming. Quindi largo ai giovani solo se sono trattati con rispetto, altrimenti no perché è una porcata»

Guarda, sfondi una porta aperta con noi riguardo l’età nel rap. Abbiamo fatto proprio un articolo di recente intitolato L’età nel rap è un’utopia.

«Noi abbiamo già messo in panchina un sacco di qualità perché secondo loro non fa streaming: raga, state uccidendo la musica e altrove non è così. Perché quando abbiamo Lady Gaga con Tony Bennett il pezzo mantiene una sua decenza e non diventa tutto una Rovazzata. E fidati che io le faccio quelle robe, ma per me Rovazzi non è un cantante: faccio avanspettacolo e ci sta. Quando però tutti gli altri cantanti vanno a fare sempre la Rovazzata, ti dico che si può prendere anche Tony Bennett e non mettergli l’autotune, capito?»

Che poi largo ai giovani ma esce Jay-Z e tutti lo acclamano, vengono i Rolling Stones in Italia e fanno sold out, bo, è un controsenso unico…

«Il senso è questo: l’Italia è un piccolo Paese, legato troppo al tarocco dei numeri. Continuano a dire largo ai giovani perché semplicemente si possono circuire e ci costano meno. Quindi basta, non facciamoci prendere per il culo, prendi un professionista e capisci che se lo tratti con rispetto avrai sicuramente un prodotto di maggior qualità e in automatico si innalza anche la tua»

E come è stato lavorare a stretto contatto con il Ninja?

«Ti dico quello che è il mio concetto di lavorare. Per quanto tu abbia avuto una carriera, un know-how, dei traguardi o altro, ogni anno per me tu ti presenti da zero. Quindi con Warez stiamo partendo completamente da zero. Il ninja per me è una cosa che non esiste, è sparita proprio come un ninja (ride, ndr.). Warez è una persona adulta, è maturo al punto giusto per prendere i meriti che gli spettano. Non dobbiamo cercare di andare a prendere i meriti per quello che ha fatto, difatti io vorrei parlare di Warez da qua in poi. In lui sento una tecnica e una qualità nelle rime e nelle scelte delle parole che a volte dico “vorrei averlo fatto io, vaffanculo“. Io ora gli sto seguendo il disco da un po’ di tempo, abbiamo dentro dei featuring importanti e ci sto credendo molto. Quando ha fatto questa challenge dove ognuno faceva la sua strumentale sulla sua a cappella, io gli ho fatto questo beat senza chiaramente voler partecipare alla challenge. Gliel’ho fatto sentire ed è andato fuori di testa completamente. Gli ho detto: “guarda, ho già prenotato Spotify per settimana prossima, viene poi Ame in studio e la facciamo uscire“»

Gli hai stravolto il brano con questa strumentale…

«Sì e pensa che lui la challenge l’aveva fatta per fare una roba trap. Ma secondo me Warez è uno che dice troppe cose intelligenti per fare competizione con la musica che fanno i ragazzini. Nel senso che, come ogni settore, la musica trap ha un suo codice e quando tu metti troppi concetti e poca vocalità alla trap non lo è più, è un’altra cosa. Secondo me lui non deve mettersi a questo livello perchè: a) perdiamo (per le questioni anagrafiche di cui abbiamo parlato); b) lui è più vicino al rap che alla trap; c) sono d’accordo di usare i trend del momento e infatti ci saranno basi che strizzano l’occhio alla trap, ma il testo no, affatto. Vorrei quindi lavorare al suo progetto così, perché sento delle qualità e io sono attirato da questo, non dall’anagrafe o dal resto»

E che tempistiche vi siete dati per l’uscita del disco?

«Abbiamo già il disco in mano però dobbiamo accendere la macchina, quindi sai meglio di me quanto cazzo è difficile. Io per lanciare i Two Fingerz ci ho messo tre/quattro anni e tra l’altro non sono riuscito nemmeno a portarli al mainstream!»

Però dai ci sei andato vicino…

«Sì, ci siamo andati vicino però non abbiamo mai beccato una hit mainstream che forse ho beccato più con Danti, con ad esempio Che Ne Sanno I 2000 e robe del genere. Adesso comunque tornerò con un mio progetto e il mio scopo sarebbe quello di portarlo al mainstream. Ma detto questo, devi capire che io sono nato per correre, sono nato per giocare a questo gioco. Il paragone che uso sempre è questo: la mentalità che vedo oggi – non solo legata ai ragazzini ma anche a quelli della mia età – è quella del meglio panchinaro alla Juve che bomber all’oratorio. Se tu fai questo ragionamento con me non andiamo d’accordo, perché io sono nato per correre e per giocare e se tu mi metti in panchina e fa goal la mia squadra, o sono l’allenatore e ha un senso oppure non vado li a prendere lo stipendio e a dire che ho vinto. Perché non è il senso di quello che voglio io: tutta la vita bomber all’oratorio»

E da bomber dell’oratorio ti senti di aver contribuito alla crescita del rap italiano?

«No, del rap no. Io credo di aver ampliato quello che poteva essere una cosa con i paraocchi, che già fuori dall’Italia era consolidata. Io ho portato un po’ di più il concetto di scrivere canzoni insieme nel 2007, prendendo un team di persone come Roofio, Fish, Dargen, Barri, Zeno. I Two Fingerz erano un gruppo. Quando vedevo che nel libretto dei CD di Jay-Z c’erano venti nomi per una canzone era una figata se Jay-Z è il direttore artistico, è una merda se il direttore artistico è un editore. Io ho cercato di dire: “ragazzi, è bello il rap, però sentite che lo fanno anche sulla cassa dritta?“. Quindi, ho contribuito all’hip-hop? Assolutamente no, se non dal fatto che se non c’era il mio studio non c’era Mi Fist e allora lì sì che ho contribuito (ride, ndr). Secondo me ho contribuito più a far sì che l’hip-hop diventasse più pop assieme ad altre forme in maniera più rapida, che poi hanno monetizzato più altri. Ti faccio un esempio: benché noi abbiamo dato il La alla cassa dritta, non siamo quelli che ne hanno beneficiato più di tutti ma non me ne frega niente. A me interessa che quando esco con qualcosa segni un po’ o cambi le storti. Come ad esempio questo pezzo di Warez: mette insieme gli anni Novanta, l’hardcore, l’afrotrap di adesso e a me piacerebbe imprimere questo genere, che per esempio non ho mai sentito»

Ci rivedo un po’ quello che avete offerto con i Two Fingerz magari ai tempi di Mouse Music?

«Forse più con Il Disco Nuovo/Il Disco Volante dove c’erano contenuti Hey Dj, Puttana, La Storia Di Un Clap, brani che ci hanno aperto a quello che era veramente quel lavoro che mi stava iniziando a non piacere più. Nel senso che a me piacevano le jam ma non me ne sentivo parte. Le serate che piacevano a me erano il concerto di Robbie Williams o di Jay-Z. Quando sono riuscito a utilizzare il linguaggio del rap ma estrapolandolo dalle discipline e della cultura e applicandolo a tutti gli altri vestiti che mi venivano in mente, allora lì ho iniziato veramente a divertirmi»

E adesso ti diverti ancora quando hai a che fare con i rapper?

«Io ora ho chiuso con l’autorato e scrivo solo per le persone che mi divertono e che mi piacciono, mentre prima lavoravo per Benji & Fede, Annalisa, Dark Polo, Fedez… Non è la mia roba. Io devo fare la roba che mi piace e solo così ho visto che dalle perdite di tempo più grandi ho portato a casa la mia carriera. Ok, è poco, ma per me è un buon inizio e spero di farne tanta in futuro»

A proposito di scrivere per altri. Quali sono le differenze tra quando scrivi per te e per un altro artista? Lo segui anche nel processo di registrazione e magari di preparazione per il live?

«Eccetto la questione live sì, quella è la base. Il senso però per cui ho lasciato l’autorato italiano è il discorso che abbiamo fatto prima sulla personalità. Io cucio una canzone su di te, sartoria dedicata, quindi Versace. Non ho niente contro H&M e mi vesto anche da H&M, però non è la mia roba. Io non riesco a scrivere una canzone che puoi cantare te ma che può cantare anche l’altro. Deve essere un brano che scrivo esclusivamente per te e per farlo ci dobbiamo vedere, ti devo intervistare, dobbiamo fare qualcosa insieme e se mi dai tu più parole possibili io sono più contento, perché se no diventa una canzone di Danti cantata da te. Questo magari funziona anche, ma non è quello che voglio fare io. Se io do quattro brani a Sanremo che suonano simili, per molti sarebbe un successo, per me sarebbe l’inizio della fine. È un modo forse sbagliato di vedere la vita, però è personale.»

E tra tutte quelle che hai scritto, ne hai una che preferisci o di cui vai più fiero?

«Devo ancora fartele sentire, Matteo. Devono uscire. Sembra una frase scontata, ma non lo è. La cosa per cui vorrei essere riconosciuto è che io credo di essere bravo a scrivere storie fantastiche con uno sfondo d’amore – tipo Burattino o Ciao – e mi piacerebbe aver ragione con brani emotivi come ce l’ho avuto ad esempio con Che Ne Sanno I 2000»

Citando questo brano, mi viene subito in mente la barra che hai fatto nel disco di Nerone: “Zero dischi d’oro i Two Fingerz, quest’Italia non mi merita. Che Ne Sanno i 2000 due platini, è come DiCaprio l’Oscar per Revenant“. Mi ha fatto proprio saltare dalla sedia e tra l’altro mi ha sorpreso molto vederti in quel progetto!

«Nerone è venuto a farmi sentire il suo disco e l’ho apprezzato fin da subito. Gli ho fatto sentire due robe che avevo messo giù e una era proprio Posso, traccia che abbiamo poi utilizzato per il suo tape. La sintesi di quelle barre è proprio quello di cui parlavamo prima. Se io devo pensare alle cose fatte in maniera leggera e spensierata, penso proprio al brano con Gabry Ponte che il 20 luglio non c’era e il 27 eravamo fuori con il video. Io credo in queste improvvisate qua, come per Warez o con Mariottide con cui abbiamo fatto anche il video in pochissimo tempo. La cosa che a me interessa è il timing. Non esiste aspettiamo l’occasione buona, quando avremo un figlio etc: quando vuoi fare una cosa, la devi fare»

Eh infatti ho sentito la roba con Maccio Capatonda: gli hai scritto quindi tu il testo?

«Gli ho scritto il testo, gli ho fatto la base con Biggie Paul e Cremonesi, gli ho fatto il video e gli ho fatto da casa di produzione. Maccio mi chiama e mi dice (imitando alla perfezione la sua voce): “Mimmo, devi farmi la canzone, non c’ho tempo, voglio fare una canzone che si chiama Sudo E Basta, però sto facendo duemila robe. Non c’ho tempo neanche di fare il video, devi fare tutto tu!“. Minchia, quando mi ha detto così ero spaventato da una parte ma dall’altra onorato, in quanto ho una profonda stima in lui, sono veramente fan e sono cresciuto con lui. Così come con Raf: perché del brano che gli ho scritto non ha cambiato nessuna parola e niente nella linea melodica? Perché son cresciuto con mio padre che mi rompeva il cazzo con Raf, Eros Ramazzotti… Secondo me c’è una musica che si seleziona e una musica che entra nel cuore, magari per via della cassetta dei genitori in auto, ma è così la vita: la colonna sonora sono le canzoni che entrano»

Bon, direi che con questa frase potrei chiudere alla grande.

«Fantastico (ride, ndr). Beh Matteo, spero di essere stato abbastanza asciugante ed esaustivo. Grazie di dare spazio al progetto di Warez!»

E, che rimanga tra noi, mi ha chiesto anche di dare spazio al suo disco personale, che con gli spoiler fornitimi diciamo fuori onda mi ha fatto salire un discreto hype.

Stay tuned!