«L’hip-hop non è morto, affatto» – Intervista a Dj FastCut

Dj FastCut

Un paio di settimane fa abbiamo realizzato un’intervista a Dj FastCut, il gran maestro della setta dei Poeti Estinti fuori con l’album ufficiale Dead Poets 2.

Così come sono stati gli ultimi anni, anche il 2019 promette tanto rap nei negozi di dischi e nelle classifiche nazionali. Solitamente si suol dire «chi ben comincia è già a metà dell’opera» e, in effetti, già in questi primi due mesi dell’anno abbiamo già a disposizione una bella quantità di progetti e singoli rilasciati, anche se l’opera completa – visto quanto è già stato programmato e/o annunciato – sarà ancora più sostanziosa.

A gennaio è uscito un progetto molto atteso da quella fetta di pubblico che ricerca nel rap rime, fotta, incastri e, soprattutto, racconti veritieri sopra il beat, ossia quella vita che accomuna tanti di noi e in cui ci si può rispecchiare, dalla vita privata alla nostra società. Questo mix è presente in Dead Poets 2, un album sui cui fin da subito si era creata una forte curiosità sia per il precedente capitolo molto apprezzato da fan e critica, sia per l’incredibile numero di ospiti chiamati per la sua realizzazione: ben sessantuno MC!

Realizzare un disco con così tanti ospiti non è una cosa da tutti i giorni, perciò abbiamo voluto realizzare un’intervista a Dj FastCut, autore e produttore di Dead Poets 2 e rappresentante di spicco di quel rap underground che può e deve fare tanto per il genere musicale ormai più ascoltato in Italia. Abbiamo parlato di DP2, dei Carbonari del Risorgimento Italiano, di Sanremo e di tanto altro ancora.

Mettetevi comodi e godetevi il pensiero del gran maestro della setta dei Poeti Estinti.

Ciao Valerio. A noi di Rapologia Dead Poets 2 è piaciuto talmente tanto che la prima domanda che vogliamo farti è: Dead Poets 3 è già in programma?
«Ciao ragazzi, grazie delle domande. Beh, al momento non ho più molti rapper da chiamare all’appello per un terzo capitolo; mi piacerebbe alzare il livello delle guest nella setta ma non tutti sono cosi disponibili, per ovvi impegni o magari perché non attirati dal progetto. Sicuramente la saga non finisce qui, al punto più alto da quando ho iniziato questo progetto, se una idea è buona e funziona va portata avanti, e statene certo che lo farò. Allo stesso tempo sto lavorando ad altri progetti con artisti solisti come Wiser o, prossimamente, un album con Poche Spanne.»

Quanto è durata le gestazione del disco? Raccontaci un po’ come si fa a gestire ben 61 MC all’interno di un unico album. Immaginiamo non sia stato affatto semplice…
«Sicuramente no, semplice non lo è assolutamente, ci sono stati momenti di stress incredibile che in pochi produttori in Italia possono capire; quando iniziai il secondo capitolo Dj Baro mi disse “Vale tu sei pazzo”, in effetti un po’ è vero. La parte più complicata è stata sicuramente contattare tutti gli MC ma con un po’ di pazienza sono riuscito presto in questo. Il problema si presenta quando due o tre guest fanno a gara a chi vuole scrivere il brano per ultimo, non si trova mai un punto di partenza e in alcuni casi la situazione si è prolungata a dismisura. Una volta aperte le sessioni di lavoro però, dopo aver pianificato una specie di calendario, ho iniziato dal brano 2 al 3 al 4 e man mano ho raccolto tutto il materiale necessario. Solamente l’amore infinito che ho per questa cultura, il sostegno di mia moglie in prima persona e dei miei soci Sgravo e Wiser sono stati di notevole aiuto nei momenti di difficoltà. Credo sia la stessa teoria che ho alla base del mio album: è l’insieme di tutti a portarci ad un grande risultato, continuare su questa strada può cambiare le sorti del rap underground italiano, che morto non lo è affatto… Al contrario di quanto pensano altri, che non arrivando dove vogliono dicono l’opposto.»

Noi ascoltando il disco abbiamo proprio avuto una riconferma di come l’hip-hop italiano sia vivo e stia in ottima salute. Sei d’accordo?
«C*azzo sì! E diffidate da chi dice il contrario.»

Il disco è diviso in due capitoli: Ordine Montanari e Ordine Targhini. Da cosa è nata l’idea di omaggiare i due carbonari del Risorgimento italiano?
«Durante la produzione del disco mi resi conto che ero di fronte ad un grande dilemma: avevo circa diciannove tracce, o continuavo ad aggiungerne e facevo un doppio cd o ne levavo alcune e ne facevo uscire uno simile al primo. Essendo un po’ pazzo, come ti dicevo nella domanda precedente, ho deciso di andare oltre e creare un album ricco di artisti. Una volta visto un numero importante di brani ho detto “adesso tocca trovare un nome sia al progetto che ai due cd”; essendo un appassionato di cinema ed avendo basato l’idea di Dead Poets su L’attimo Fuggente, ho deciso di ispirarmi ad un’altro film, il magnifico Nell’Anno Del Signore. Come a suo tempo trovai un nesso con la setta dei poeti estinti, anche l’idea del complotto carbonaro mi ha ricordato molto quello che sto facendo con la setta, che alla fine è lottare in segreto contro le difficoltà e le oppressioni musicali a cui è sottoposto ora il nostro genere.

Il sacrificio di Angelo Targhini e Leonida Montanari mi è sembrato degno di omaggio, in quanto all’epoca della loro decapitazione in piazza del Popolo avevano più o meno la nostra stessa età. Ricordare ai ragazzi che se vogliono lottare per qualcosa in cui credono è questa l’età giusta, andando avanti negli anni le fiamma della lotta per gli ideali va sempre più a svanire, mentre prima chi difendeva un’idea era disposto a farlo anche in punto di morte.»

Afu-Ra, Ras Kass ed El Gant sono solo gli ultimi degli artisti americani con cui hai collaborato nella tua carriera. Hai mai avuto la possibilità di parlare con loro della percezione che c’è negli Stati Uniti della scena rap italiana?
«Sì, con gli americani ho sempre contatti attivi. Con El Gant parliamo spesso della situazione rap americana, da quanto mi dice i problemi che hanno loro adesso sono gli stessi nostri, l’avvento del mumble rap non è stata una cosa molto gradita; il tutto però senza fare il casino mediatico che facciamo noi, come faccio io, loro si chiudono in studio e pensano a tenere alta la bandiera del Classic Rap. Con ciò non mi riferisco al concetto di old school, ma al portare avanti quella che da loro è una tradizione sacra e intoccabile, che invece da noi è già corrotta dall’interno. Con Afu-Ra ho condiviso varie situazioni ed ora stiamo cercando di fare un album insieme, nonostante i miei e suoi impegni; sto sempre in contatto anche con MicHandz, che ora lavora nella def squad, come sono sempre in contatto con gli Snowgoons. Insomma, di collaborazioni con MC esteri ne faccio molte, ma soprattutto per piacere personale, visto lo scarso interesse che suscitano in Italia.»

Che ruolo ricopre, secondo te, la saga dei Poeti Estinti all’interno di una scena i cui riflettori puntano verso uno stile differente dal vostro?
«La setta dei poeti estinti cerca di tenere vivo lo spirito di collettività che ha reso forte la nostra scena per molti anni, prima dell’interesse dei media. Alcuni poi hanno preso strade diverse, qualcuno ha tentato un grande salto e altri hanno solo fatto bocchini per ricavarsi uno spiraglio di notorietà, portando la scena ad un ammasso confuso di MC, dividendo mainstream e underground; per me rimane solo chi vuole fare rap e chi il clown. Come tutte le mode anche questi mumble rapper saranno solo una cosa di passaggio, come fu la crunk, come fu la dubstep e altri rami modaioli del rap, l’unico a non aver mai interrotto la sua direzione è il rap undergorund. Il nostro dovere quindi è quello di creare una scena di MC potenti e coesi tra loro, dare spazio ad emergenti e assicurare un futuro di vero rap alle prossime generazioni. Come io sono cresciuto con l’esempio di molti produttori e dj, spero che un giorno qualcuno dei giovani ascoltatori porterà avanti la tradizione. Questo è il nostro ruolo.»

Cambiando discorso: hai iniziato da poco un’altra saga, ossia quella dei Cypher realizzati in diversi Paesi europei. Prima Londra, poi Amsterdam e a breve la Svizzera. Raccontaci un po’ questo progetto e come è stato esibirsi nella capitale olandese lo scorso dicembre.
«Esperienze devastante, quando ti trovi per quattro giorni ad Amsterdam con il mio team! Sicuramente indimenticabile, stancante ma allo stesso tempo appagante.

Siamo partiti quasi per sbaglio, con una data londinese organizzata dai ragazzi di True Passion, che oltre alla data ci proposero di girare un video al centro di Londra; accettammo e decidemmo di fare un Cypher per promuovere la formazione che mi seguirà in tour con DP2. Poi ci fu l’occasione di suonare ad Amsterdam sotto natale, ovviamente accettammo e ci venne in mente di invitare i ragazzi londinesi per girare un’ulteriore cypher anche in Olanda; alla fine si è deciso di continuare con i cypher facendone uno per ogni città estera che visiteremo quest’anno. La parte più bella del viaggio però è notare come anche a distanza di molti km trovi lo stesso identico pubblico che c’è in Italia con lo stesso calore di casa ma in un altra nazione. Questo è semplicemente stupendo.»

Quali sono i prossimi step di Dead Poets 2? Sappiamo che ci sono in programma alcuni live: come saranno strutturati? Dato che è alquanto impossibile portarsi dietro ogni volta tutti quanti gli ospiti…
«Per le date ho deciso di portare con me un team fisso di persone, quelle con le quali ho una maggiore sintonia, ovvero Sgravo, Wiser e quei due scoppiati di Mattak e Funky Nano. Questa è la formazione 2.0 indivisibile, indivisibile, perché questa squadra all’opera sul palco è qualcosa di indefinibilmente stupendo. Il nostro essere molto amici oltre che colleghi è il nostro punto di forza e questa intesa viene percepita da tutte le persone che ci seguono, si è creato qualcosa di magico, venite ai live per capire di cosa parliamo. Per quanto riguarda i tanti MC nel disco, stiamo cercando di chiamare con noi sul palco le varie persone in base alla città dove ci troviamo ad esibirci.»

Ultima domanda. Nelle scorse settimane in Italia si è parlato molto dei rapper presenti a Sanremo: qual è la tua opinione riguardo così tanto rap presente in questa celebre kermesse?
«Non me ne frega un c*zzo di chi pensa a Sanremo, ritengo una perdita di tempo prezioso anche guardare le partite di pallone, figurati se vedo o perdo tempo a criticare il festival del c*zzo.»