Ape ritorna per restare – Recensione di “The Leftovers”

Ape

Ape, ieri oggi e domani: un altro dei leftovers della scena Hip-Hop italiana.

Grazie di essere tornato!

Finalmente Ape torna sulla scena con un album da solista. I tratti nostalgici e le metriche a colpi diretti restano il marchio di fabbrica del rapper della Brianza anche nella sua nuova opera: “The Leftovers”. Undici tracce, zero featuring e tante produzioni di spessore.

L’artwork del disco realizzato da Francesco Pioda calza a pennello con il concept generale. Nei vicoli di una buia metropoli si alternano vinili (Debutto), cartoni di uova rotte (Borghesia suburbana), mani e topi che sono la perfetta metafora dei tempi moderni, pensiero espresso limpidamente nel secondo singolo prodotto da Beat Provider.

The Leftovers

Noi che “con Venticinque ci siamo cresciuti” non potevamo ricevere una notizia migliore per iniziare questo 2018. Dopo il progetto dell’anno scorso con Asher Kuno chiamato “Gemelli”, “The Leftovers” non tradisce le attese, essendo un disco compatto e variegato, con un pizzico di amarezza che traspare in ogni pezzo ma che non appesantisce il risultato finale. Una fluency che non subisce scossoni e si adatta a delle basi che spaziano notevolmente e che spesso sfociano in bassi potenti e contaminazioni elettroniche.

“Le cose sono destinate a cambiare,
le fasi che attraversi plasmano il modo di fare”

Debutto” è la traccia di apertura, prodotta da un Dj Fastcut in formissima, con un titolo e un testo tanto provocatorio quanto azzeccato (“Non ti aspettavi il mio ritorno vivi nel passato, e mi vorresti uguale agli anni nei quali ho mollato/scavo alla superficie fidati poco è cambiato, 10 anni fa ci fossi stato lo avrei apprezzato”), oltre ad una strizzata d’occhio ai più datati fan. Per Ape sotto un certo punto di vista infatti si tratta di un vero e proprio debutto, vista la necessità di confrontarsi con una tipologia di scena musicale (trap in primis) molto diversa da quella ad esempio di “Generazione di sconvolti” e lontana dai suoi canoni, soprattutto a livello di profondità dei contenuti.

Demoni” e “Prigioniero” (prodotte rispettivamente da III Papi e Tyrelli) si presentano con uno stile leggermente diverso, soprattutto a livello di beat, mentre mantengono con costanza un flow molto scorrevole e rappresentano sicuramente un tentativo di innovazione riuscito. Il secondo singolo, “Borghesia suburbana“, è a mio avviso la perla dell’album: un’analisi lucida e distaccata della subcultura giovanile. In particolare ci si concentra sulla fascia d’età 18-30 anni, dove le differenze socio-economiche spesso sembrano rispecchiare anche gli interessi, le opportunità e i valori dei giovani. Un’analisi sicuramente interessante per il nuovo Millennio, che potrebbe rivelarsi valida e mantenersi tale per almeno un altro paio di decadi.

“Tra certezze andate perse relazioni basate sui forse,
non conta più l’ambizione se quello che manca sono le risorse,
imbrigliati da regole prive di logica, le infrange chi giudica”

Leader” e “Vocazione” sono altre due tracce prodotte da III Papi (produttore maggiormente presente all’interno dell’album). La prima ha forti tratti di storytelling, la seconda invece è decisamente impronosticabile.

“Tu sempre a casa ad aspettarmi ogni singolo giorno,
qualsiasi cosa capitasse gravitasse intorno,
luce notturna di una stella che indica la strada,
quando la notte è buia non c’è vada come vada”

La linea di piano che fa da sfondo è la perfetta colonna sonora per l’unico pezzo veramente d’amore di “The Leftovers”, saggiamente collocato a metà della scaletta, risultando molto orecchiabile.

Subito dopo “Attore non protagonista” di Apoc ci rimette in riga, riportandoci al clima dell’album. “Sedici noni“(prodotta da uno strabiliante Jack the Smoker) è un brano potente, probabilmente il più robusto del disco, uno di quelli da pompare in macchina e che rappresenta indubbiamente un outsider nella tracklist, dopo aver pubblicato due singoli completamente diversi. “Alieno” (prodotta da Kanesh) e “Noi due” (prodotta da Eiemgei) sono due scommesse non da poco. Mentre la seconda fa ampio uso di elettronica e di modulazione della voce, riuscendo dopo un inizio stentato a trovare un proprio equilibrio, la prima sembra leggermente forzata e nel complesso quasi un corpo estraneo.

Quale chiusura migliore se non sputare barre dal cuore su una splendida base prodotta dal collega e amico Bassi Maestro?

“Non pensare ci siano dei limiti, te li crei quando pensi di averli
E i traguardi cominci a sognarli, prima o poi smetterai di temerli
Occhi aperti c’è tanto a cui attingere, ti potrà capitare di piangere
Tieni duro non farti confondere, sono fasi che servono a crescere”

Qui lo spirito introverso e in fondo speranzoso di Ape esce alla scoperta e permette una chiusura dell’album molto più leggera.

Questo è un piccolo viaggio all’interno di “The leftovers”, un disco che non può non essere consigliato, sia per il background dell’artista che per l’indiscussa freschezza e qualità. Resta tuttavia un filo di rammarico per non aver trovato, dopo un’attesa di 9 anni, una traccia alla “Idea 2005” o “Cose che succedono”, capaci di segnare un’intera generazione. Logicamente si tratta di un piccolo “capriccio da fan”, da parte di chi come me nutriva tantissime aspettative su questo ritorno da solista, che nell’insieme sono state soddisfatte.

Tutti gli amanti del rap italiano sperano che “The Leftovers” sia stato un volo di ricognizione eseguito con successo, per valutare la possibilità di restare stabilmente nel panorama musicale nostrano, al fine di incantarci con quella che è sempre stata l’abilità migliore di Ape: raccontarci la realtà, con l’alternanza di tristezza e la felicità caratteristica di ogni fase della nostra vita.