Abbiamo chiesto a Don Diegoh di raccontarci il 2018 del rap italiano secondo il suo punto di vista.
È il 2 gennaio. Ci siamo lasciati alle spalle Natale, capodanno e ora ci manca solo la Befana e tutto tornerà come prima: “Ray-Ban caffè, palestra ufficio caffè, parco spesa caffè, vino cena caffè” e così via…
Ci siamo però lasciati alle spalle un incredibile 2018 del rap italiano, contraddistinto da un numero ampio di uscite, molte di livello, altre un po’ meno, ma che hanno permesso ai fan e addetti ai lavori di poter aver a disposizione un bagaglio sempre in aggiornamento di musica rap. Ve lo abbiamo fatto rivivere in parte con la playlist di Drimer e con le nostre consuete classifiche di fine anno, ma mancava ancora qualcosa per chiudere il cerchio.
Abbiamo così contattato Don Diegoh – fresco di Disordinata Armonia, bellissimo album di cui ce ne ha parlato QUI insieme a Macro Marco – per farci raccontare da lui come è stato il 2018 del rap italiano, per potere apprezzare così il punto di vista di un MC da sempre conscio del potere che questa musica porta con sé:
«Il 2018 sarà ricordato come un anno importante per il Rap italiano, capace di tirare fuori l’argenteria in un momento in cui non è facile brillare sotto i riflettori. Sotto i riflettori ci vanno spesso e volentieri (?) le chiacchiere, i paragoni insensati tra cosa è vecchio e cosa è nuovo, le guerre via Social e – mi spiace dirlo – tanta (troppa) musica con la ‘M’ minuscola che rende abbastanza ‘flat’ il panorama delle uscite.
E non è una questione di generi, ma di amore verso ciò che si fa; perché qui nessuno ce l’ha con la Trap, con l’autotune o con i nuovi fenomeni a cui auguro di campare a lungo facendo questo lavoro. Il Rap italiano, però, ha una sua storia e una sua peculiarità: sa brillare di luce propria, in tutte le epoche, perché sa come raccontarle. Senza l’ossessione di finire nelle classifiche, in qualche rap reaction o sulle prime pagine dei giornali on e offline.
Ho fatto questa premessa spinto da ciò che i dischi usciti quest’anno mi hanno trasmesso: un forte senso di appartenenza a un genere che a volte viene ingiustamente bistrattato e a cui troppo spesso è stato fatto un funerale che non ci sarà mai. Dischi che, una volta usciti, hanno avuto ben poca difficoltà ad arrivare in breve tempo oltre le aspettative e nelle cuffie tantissime persone: questo tocca sottolinearlo, perché è un risultato raggiunto senza godere di un marketing budget elevato. Vuoi vedere che, insomma, la qualità può fare ancora la differenza? Sicuramente, per uno come me che ha superato i trenta, è una discriminante tra le cose fatte bene e quelle fatte e basta. Perché le prime diventano ‘eventi’, le seconde continuano ad essere ‘avvenimenti’ e per ‘avvenimenti’ intendo che fai il disco, gli instore, il solito giro di live nelle solite location, i post e le stories con un engagement altissimo e poi ciao. Hai raggiunto i risultati, ma spesso ciò che hai fatto non ‘rimane’. Magari sbaglio, ma (tornando alle cose fatte bene che diventano ‘eventi’) sono sicuro che molti dei dischi di Rap italiano usciti quest’anno rimarranno. Penso in primis ad Adversus e a Lo Spirito Che Suona, a dimostrazione che tutte le strade del Rap italiano passano da Roma.
Il 2018, per me che di questo genere sono prima di tutto un fan, ci ha anche dato una cattiva notizia: lo scioglimento di una delle band più longeve, trasversali, potenti sia in studio che Live di sempre. E mi riferisco a Stokka & MadBuddy, non a J-Ax e Fedez. Un fan spera sempre che prima o poi arrivi un disco nuovo e io spero che i Tasters ci ripensino perché ogni volta che è uscito qualcosa che li riguardasse ho trascorso mesi (a volte anni) ad ascoltarla.
Approfitto di questo spazio anche per menzionare alcuni artisti che anche durante il 2018 mi hanno particolarmente colpito: Blo/B, il DYT, Rancore, Dutch, Lethal V, Davide Shorty. Tutta gente che sa quello che sta facendo.»