La filosofia degli opposti: intervista sul nuovo singolo di Nicola Siciliano

Nicola Siciliano
Foto di Vittorio Cioffi

Se la pazzia è relativa, la normalità, chi la stabilisce? Per un ventenne, la normalità coincide spesso con la semplicità nell’esprimersi, nella naturalezza con la quale descrive chi è e cosa fa, senza auto-costruirsi troppo. Nicola Siciliano, giovane veterano (classe 2002) è un ragazzo semplice, che professa e mette in pratica ciò che definisce ‘filosofia degli opposti’.

Unire elementi che sembrano apparentemente lontani in un quadro unitario, in una visione d’insieme che, nella semplicità della formula, genera complessità nella sua esecuzione. Niente più, il singolo fuori da Venerdì 15 settembre, mette in pratica proprio questa filosofia: dal connubio di vecchio e nuovo – tipo di questa generazione musicale – viene fuori tutta la sua verve, la sua passione, e la sua innegabile bravura.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui, sulla sua musica, la sua esperienza con la major, la sua visione.

Semplicità, e niente più: Nicola Siciliano è fuori con il singolo che anticipa l’album

Domanda iniziale e introduttiva. Come nasce la tua passione e quali sono state le tue prime influenze.

«Tutto questo nasce per un tramandamento, un passaggio, una trasmissione familiare. Mio padre è sempre stato affascinato dalla musica; e io ho sempre ascoltato tutti i generi musicali. Sono nato poi nell’epoca dei Co’Sang (sono del 2002!), l’epoca di 50 Cent (il periodo di Get rich or die tryin) e di tutto quel mondo. E piano piano ho iniziato a masticarlo, a comprenderlo meglio e conoscerlo, arrivando fino ad adesso»

Parliamo del singolo, Niente più, un brano che unisce il meglio del vecchio e del nuovo: liriche serrate e melodie più ‘pop’. Come nasce questo pezzo? Qual è stato l’imput che ti ha spinto a crearlo? È stata una cosa istintiva o più ragionata?

«È nata sicuramente di getto, istintivamente. Questo è un pezzo estratto dal nuovo album, ed è il pezzo più tranquillo, più rilassante, con quelle linee e melodie ‘pop’ che ti fa ballare. È insomma un assaggio ‘tranquillo’ di quello che sarà l’album. Un album nato con semplicità: vivendo esperienze, vivendo situazioni, e scrivendole in queste nuove canzoni. Ovviamente c’è sempre un messaggio dietro la canzone, che poi va a concettualizzare la Napoli che c’è in me, la Napoli vista dalla mia prospettiva. Nasce tutto da questo. Tanta semplicità, e niente di più».

Una domanda su Napoli 51, il tuo disco d’esordio, uscito con una major. Qual è stata la sua genesi? Come l’hai concepito e come è stato approcciarsi con una realtà come quella di una major? 

«È stato molto semplice in realtà ed è stata sicuramente un’esperienza che mi ha aiutato, ho trovato persone davvero squisite che mi hanno motivato a fare di più. Ho trovato persone che mi hanno consigliato cose giuste da fare, che io porterò sempre con me. Ho conosciuto tante persone, professionisti che mi hanno aiutato anche a guardare alcune situazioni e dinamiche che prima non sapevo neanche lontanamente come si gestissero. Quindi il discorso major mi ha anche aiutato nello sviluppo dell’album, Napoli 51 appunto (che a tutt’oggi, fortunatamente, è ancora disco d’oro). Indubbiamente tutto ciò è servito, mi ha aiutato molto – anche perché ero molto piccolo quando ho iniziato – ed è stata come una seconda famiglia che in certi casi ha saputo anche ‘guidarmi’. La mia esperienza in merito, dunque, ha avuto sicuramente più pro, che contro».

Sei sicuramente un valido esempio di esplosione di un artista tramite il web, grazie alla rete e al passaparola che si è sviluppato in rete. La cosa che volevo chiederti è cosa ne pensi del mezzo-web per diffondere la propria arte, e anche come mezzo di conoscenza dell’arte altrui.

«Penso che se non fosse stato per il mezzo social – che ti aiuta ad arrivare ad altre orecchie, ad espanderti – e questo metodo di comunicazione, non sarei stato nel posto in cui sono adesso. Mi ha sicuramente fatto conoscere, ha ampliato la conoscenza della mia musica. Oggi l’80 % lo fa il social: è un modo sicuramente efficace per espandere la propria musica, la propria arte, le proprie idee. Questo è il metodo più efficace oggi. Ed è quello che mi ha aiutato quando è uscita la canzone su Secondigliano, che girava sui social senza che le persone sapessero inizialmente chi fossimo».

Una domanda sulla produzione, visto che, oltre ad essere un rapper, sei anche un ottimo produttore. Come ti approcci di solito alla creazione di un beat? Cosa ne pensi della produzione in Italia? Ne trai ispirazione o sei proiettato di più oltre i confini?

«Ci sono sicuramente molti sound ai quali mi ispiro. Se penso ad altre nazioni, penso alla Francia (la cui produzione, per alcuni strumenti, è vicina a quella napoletana), o agli Stati Uniti (che è indubbiamente il sound che piace di più e al quale un po’ tutti si ispirano). Tralasciando il luogo di provenienza, le produzioni sono fondamentali: perché sono la base di tutto. A volte, quando devo creare qualcosa da zero, cerco di farmi ispirare da qualcosa che non sia ‘solito’, scontato. Per esempio nell’album mi sono ispirato a un mood spagnolo – e precisamente andaluso, dove nasce la cultura del Flamenco -. Quindi a livello di produzione mi lascio ispirare da molte culture, molte città, molti orizzonti. Tutto ciò che mi circonda, per me, è una fonte d’ispirazione, che faccio mia e modifico, in base alla mia prospettiva, alla mia ‘metafora’, perché mi piace scrivere per metafore, e pensare – quando scrivo – in modo metaforico».

Oggi si usa spesso il termine Urban, per definire quello che, effettivamente, è Hip Hop; si usa categorizzare troppo la musica, etichettarla eccessivamente, in preda a una sorta di ‘ossessione terminologica’. Volevo chiederti al riguardo come tu definisci la tua musica, se senti la necessità di definirla.

«Dico sempre che è un po’ come l’umore. Tutto ‘va’ in base a come ti senti. Guardando dalla mia prospettiva, la mia roba la vedo molto sperimentale. Quando sono in studio provo a fare delle cose spesso ‘eccessive’. Seguo un po’ la filosofia dell’opposto: gli opposti cioè si attraggono, nella vita come nella musica. E quando combaciano diventa sperimentazione. Così definisco la mia musica: cerco sempre di inserire un elemento che dia diversità ai pezzi».

Ultima domanda. Come te la vivi ad essere un giovane – e un giovane rapper – in Italia, notoriamente Paese per ‘vecchi’ ?

«Me la vivo normale, in modo semplice. Cerco di vivermi l’età che ho. Vivermi i 20 anni, divertirmi con gli amici, andare a ballare. Non mi privo di tante cose: me la vivo sciolto, in maniera umile, con tanta serenità. Basta che ci sia divertimento, positività… senza quella negatività che ti porta a stare fuori da tutto il ‘sociale’, a non inserirti e non importi nella società. Sono dunque un ventenne normale, e un artista normale».

Foto in copertina di Vittorio Cioffi