Perché i rapper si ostinano ad andare a Sanremo?

rapper sanremo 2020

Andare a Sanremo è utile per un rapper?

Se esiste un girone dell’inferno per quelli che in questa settimana parlano solo del Festival di Sanremo, questo sarà sicuramente vicino alla balza infernale che ospita chi ostenta il non considerare minimamente la kermesse canora quasi come segno di superiorità intellettuale, non si sa sulla base di cosa.

Chi in questo momento scrive – e questo sia chiaro – non è assolutamente un fan del Festival della canzone italiana, e credo non ci sia neanche troppo bisogno di spiegare il perché. Ciò che, però, prescinde dai gusti personali è che da Sanremo arrivano, inevitabilmente, spunti di riflessione per chi si occupa di musica. A volte questi sono positivi – come la vittoria di Mahmood l’anno scorso, indice di un’apertura del pop italiano verso sonorità che non sembrino venute fuori dallo studio dei Ricchi e Poveri, per citare un gruppo a caso – altre volte sono negativi – e qui non c’è neanche bisogno di trovare esempi.

Su Rapologia, però, ci occupiamo di rap ed è quindi nostro compito carpire e capire gli spunti provenienti da Sanremo riguardo questo genere. Dopo le prime due serate della gara canora, quindi, una domanda sorge spontanea: perché i rapper si ostinano ad andare a Sanremo? Prima di lanciarsi in risposte ed analisi, però, sarà bene ripercorrere i fatti.

Rancore

La situazione

Per la settantesima edizione del Festival i rapper in gara sono tre: Anastasio, Junior Cally e Rancore. Per la verità già a questo punto sembra giusto fare un distinguo, perché se è vero che l’artista campano a tutti gli effetti rappa, è innegabile che per background di provenienza ed esperienze passate lui sia più vicino all’universo “sanremese” che alla scena rap italiana, con la quale, infatti, non sembra avere molti legami. Addirittura, l’anno scorso, fresco fresco di vittoria ad X-Factor, a Sanremo andò, sì, ma come ospite. Anche Rancore l’avevamo già trovato nella passata edizione come “spalla” di Daniele Silvestri in Argentovivo, brano che si era portato a casa sia il premio della critica che quello di miglior testo.

Sulla presenza di Junior Cally, invece, si è già detto tutto e il contrario di tutto con le polemiche sorte riguardo il testo del brano Strega, datato 2017, con annesse accuse di istigazione alla violenza sulle donne mosse al rapper romano. Per trattare in maniera esaustiva la questione si rischierebbe di non finire prima della prossima edizione del Festival.

Sta di fatto, però, che ancora una volta il “sistema Sanremo” – cioè quello della musica nazional-popolare italiana – ha dimostrato di non aver minimamente compreso il rap e i suoi linguaggi. O di non aver compreso, più in generale, la differenza tra realtà e intrattenimento.

Anastasio_Rapologia

Sulla base di queste premesse è stato interessante vedere come è andata la prima partecipazione vera e propria di questi artisti. I tre rapper hanno portato, ovviamente, tre brani tra loro molto diversi, abbastanza in linea con il proprio stile. Dopo le prime due serate, la classifica generale vede Anastasio quindicesimo, Rancore ventiduesimo e Junior Cally ventiquattresimo, ultimo. Diciamo che si è visto di meglio. Può essere utile, inoltre, buttare un occhio all’indietro per vedere come sono andate, negli anni, le cose per il nostro genere nella città dei fiori.

La presenza di rapper tra i partecipanti del Festival è diventata un qualcosa di stabile solo dal 2014 in poi, anno della vittoria di Nu juorno buono di Rocco Hunt nella categoria giovani. Il rap arrivato a Sanremo è sempre stato, però, una copia in carta carbone – e su un foglio rosa pallido – di ciò che questa musica è.

Ci siamo sempre trovati davanti o a canzoni d’amore piuttosto banali e con arrangiamenti più sanremesi possibili, o a pezzi politici-contro-il-sistema. Quasi come se il rapper di turno fosse o costretto ad adeguarsi al sentimentalismo melenso di tanta musica italiana, o a confermare la concezione parziale e sbagliata che l’italiano medio ha del rap come genere esclusivamente di denuncia.

Quando gli italiani si sono ritrovati sul palco dell’Ariston del rap così come sono abituati a concepirlo gli ascoltatori di questa musica, cioè quando nel 2001 andò Eminem come ospite, ne sono venute fuori polemiche infinite e figure barbine, esemplificate dall’immagine di Raffaella Carrà che batte le mani sorridente mentre l’autore di I’m back mostra il medio alla platea.

Junior Cally

È davvero una tappa necessaria?

Ma, allora, perché i rapper continuano a voler andare a Sanremo? La risposta, apparentemente, è la più semplice di tutte. Il Festival resta comunque la vetrina migliore d’Italia e la più ambita dal punto di vista commerciale e promozionale. Qui, però, già è possibile sollevare dei dubbi, che ruotano inevitabilmente anche intorno a un discorso generazionale.

Siamo sicuri, innanzitutto, che il pubblico che guarda Sanremo possa realmente appassionarsi alla musica di un rapper scoperto al Festival? Quando succede, e il caso di Rocco Hunt citato prima è esemplificativo, spesso è proprio perché l’artista si sta a poco a poco allontanando dal rap più propriamente detto, se non dal punto di vista prettamente musicale, quantomeno come linguaggio ed attitudine.

Inoltre, ammesso che succeda quanto immaginato prima, davvero un ipotetico spettatore e potenziale fan di Rancore o Junior Cally o chi per lui non ha altro modo di arrivare musica di un artista se non imbattendocisi al Festival di Sanremo? Tra altri eventi noti al grande pubblico – concerto del primo Maggio e di Capodanno su tutti –, tour in tutta Italia e brani che raccolgono numeri importanti tra YouTube e streaming possibilità ce ne sono eccome.

Proprio gli ultimi anni della musica italiana ci dimostrano come i social e internet abbiano permesso ad artisti venuti su dal nulla di costruirsi un successo importante. E – attenzione attenzione – questi artisti sono praticamente tutti rapper. È questo, a tutti gli effetti, il genere musicale commercialmente più in crescita e, sicuramente, è questa la motivazione principale dietro la presenza costante di qualche suo esponente alla kermesse sanremese. Non di certo l’interesse per questo tipo di musica dei vertici Rai, dato che si cerca sempre di scolorirla un po’ prima di mandarla sul palco.

Guardando i numeri che il rap riesce a tirare su, quindi, viene da dire che forse ce la può fare anche senza Sanremo, come dimostrano i vari Sfera Ebbasta, Marracash, Tha Supreme, FSK Satellite, Lazza, Geolier, Massimo Pericolo, Capo Plaza ecc ecc (tutti artisti presi dalla classifica della FIMI, quindi valutati secondo parametri commerciali). Non è un caso, anzi, che i rapper che più racimolano numeri significativi siano quelli più lontani dall’immaginario sanremese. A questo immaginario, invece, cercano spesso di avvicinarsi gli artisti che invece prendono parte al Festival, con un effetto meno convincente, così, anche dal punto di vista della presa sul pubblico.

Rancore in gara con

Insomma, tralasciando aspetti artistici e di coerenza e concentrandoci su quelli commerciali, possiamo dire che fortunatamente gli anni in cui per avere successo bisognava immergersi nelle acque sacre di Sanremo sono passati. Eppure, tanti rapper italiani continuano ad andarci e a dimostrare, così, quanto siano fuori luogo in quel contesto, non per colpa loro – sia chiaro – ma perché è quel contesto ad essere vecchio, stantio e in declino. Tutto ciò che il rap italiano, in questo momento, non è.

A questo punto viene, quindi, da chiedersi ancora di più, cari rapper italiani: perché vi ostinate a voler andare a Sanremo?