Othelloman presenta Marco e Luca. Attraversare l’odio, come monito

Othelloman Marco e Luca

Il rap è lo specchio della società, se non è fine a sé stesso. La tecnica del rap, senza un contenuto ‘etico’, rimane una forma vuota, un esercizio di stile. Con Marco e Luca, Othelloman ci conferma come, nonostante il meccanismo distorto in atto, il rap può (dovrebbe sempre?) essere utilizzato per veicolare la realtà, i problemi che impone, le soluzioni che esige.

Abbiamo avuto l’opportunità di assistere alla conferenza stampa di presentazione di questo nuovo singolo, Marco e Luca – che anticipa il suo prossimo disco intitolato Attraverso l’odio -, nella quale è emerso quanto il racconto della realtà in chiave rap – nella sua immediatezza – contribuisca alla messa a fuoco di problematiche sociali di ampia portata (come, appunto, le dipendenze).

Othelloman, Marco e Luca e P.A. Crack City

In Marco e Luca si muovono due personaggi, due persone qualunque, che potrebbero essere chiunque: perché chiunque può rimanere incastrato in un loop autodistruttivo, per sopravvivere al loop della quotidianità.

<Fumare, andare a cercare i soldi, fumare>… e non parliamo certo di spinelli. Ogni epoca, in fondo, ha la sua droga. Qui e ora, c’è il crack. Sostanza – e merce, all’interno del fagocitante sistema capitalistico – con 3 proprietà fondamentali: si fuma (è, in qualche modo, “comoda”); costa – relativamente – poco; crea una dipendenza pesante e rapida.

Il crack – droga che nasce in realtà negli anni 80, anni fondamentali che hanno marchiato a fuoco ciò che ne è storicamente seguito – consuma rapidamente i suoi adepti. Crea un vuoto intorno, si fa esigenza primaria, risucchiando ogni altra attività. E Palermo è, in Italia, la sua prima piazza di spaccio.

Questa droga – che è, innanzitutto, un business, ampiamente ramificato – sembra dare una risposta ‘semplice’, dalle conseguenze terribili, a un quesito insistente. Quesito che in alcuni ambienti si avverte maggiormente, facendo incetta della disperazione – e del male di vivere – di chi la consuma (per lo più giovani e giovanissimi).

Il successo di questa sostanza – che crea una forte dipendenza psicofisica – è evidente, e ha ragioni complesse, dietro: non avere un sostituto equivalente, sommato ai tagli alla sanità (che hanno portato ad avere, nel territorio, meno strutture, meno psichiatri) ne hanno sancito la diffusione a macchia d’olio.

Si può dire di no, con la musica? Il rap – <la radio della city> – per Othelloman (il quale si muove da anni dentro varie associazioni per una cittadinanza attiva – come il progetto Combomastas o “La casa di Giulio”, una delle prime, in Italia, nella lotta alle dipendenze -) può fungere da metadone: non elimina il dolore, ma lo rende sopportabile.

L’Hip Hop e Il Rap per Othello

L’Hip Hop – con tutto il suo bagaglio di convinzioni, e di deformazioni, che negli anni ha accumulato – è la cultura più influente nelle nuove generazioni. La società in cui viviamo, tuttavia, ne ha distorto gli obbiettivi, risemantizzandone i cliché.

Il ‘male’, il nemico comune da combattere (la droga, l’uso delle armi e della violenza, il machismo) viene sempre più tradotto come un ‘vanto’, come un motivo d’orgoglio.

ma che ne sai di stronzate, di vite strozzate che non hanno scelte

La presa di posizione di Othello deve servirci come monito. Quando “la pressione inghiotte” e “distorce la realtà“, quando dietro una sostanza si muovono interessi economici così prepotenti – ecco il provocatorio sottotitolo: la mafia non esiste – ci consola sapere che un rapper è lì, a raccontarlo.

Marco e Luca

A questo punto è quasi superfluo parlare del brano. Le reazioni ad un’opera sono emozioni così complesse da definire che rischiano di fuorviare. Ma l’ampio preambolo era necessario, dato l’enorme lavoro che precede la lavorazione di Marco e Luca di Othelloman.

Sicuramente non sarà ‘la canzone dell’estate’. Non la sentirete fino allo sfinimento su Tik Tok né in rotazione sulle radio più gettonate. E meno male, direbbe il nostro lato più purista. La cultura non è commerciabile e non va contaminata né esposta sul banco, come una merce qualsiasi.

I due protagonisti – omonomi, rispettivamente, del Marco di Anna e Marco, di Lucio Dalla; e del Luca di Silvia lo sai, di Luca Carboni – con la storia che si trascinano addosso, non possono essere capiti da tutti. Ma è proprio su questo punto che emergono le infinite potenzialità del rap come disciplina espressiva.

Nonostante il pezzo non sia ballabile (né strettamente ‘cantabile’) ci resta incollato, come un’ombra malinconica, per la traumatica realtà che trasmette.

Certo, il pezzo non è uno storytelling ‘classico’, e non ha l’incisività di brani simili – mi vengono in mente Stokka & Madbuddy di 19:30: giungla urbana, o i Flaminio Maphia di Tony e Dino, oppure Punti di Sospensione, di Brain e Murubutu –ma ha la forza di aprire uno squarcio su un mondo. Che ci è sconosciuto. E che ci è necessario capire.