«Penso ogni giorno a fare un disco rap» – Intervista a Ghemon

Intervista a Ghemon rap
Artwork di Mr. Peppe Occhipinti

Nel variopinto panorama della musica italiana, Ghemon emerge come un camaleonte creativo. La sua notorietà al grande pubblico è arrivata grazie alle sue partecipazioni a Sanremo, ma la sua storia artistica ha radici profonde nel mondo del rap, dove si è affermato anni fa, diventando una sorta di leggenda del genere in un’epoca in cui le regole del gioco erano diverse, grazie alla sua penna affilata e uno stile impeccabile.

Avellinese trapiantato da anni a Milano, Ghemon ha recentemente svelato un nuovo lato del suo io artistico, presentando al pubblico il suo primo spettacolo di stand-up comedy, Una Cosetta Così. Questo passo verso la comicità rappresenta solo l’ultimo capitolo di una carriera già ricca di sfumature e sfaccettature.

Ghemon: dal rap alla stand up comedy: l’intervista esclusiva

Durante la nostra intervista, abbiamo avuto l’opportunità di addentrarci nel mondo creativo di Ghemon, esplorando le intricanti vie della sua creatività e le ragioni che lo hanno spinto verso questa nuova e inaspettata direzione.

La sua capacità di spaziare tra stili musicali diversi è uno dei tratti distintivi della sua arte. L’evoluzione di Ghemon come artista è un vero e proprio viaggio: l’hip hop, una volta conosciuto e amato, ha lasciato un’impronta indelebile che ha agito come un faro, guidandolo nell’esplorazione di nuove frontiere senza mai dimenticare le sue radici.

 

Ciao Gianluca, benvenuto su Rapologia. Possiamo dire che sei nel pieno del tuo secondo tour da stand up comedian: come sta andando? Rispetto al primo ti senti di avere più fiducia o hai più aspettative?

«Aspettative ne ho, ma di sane: aspettative di farcela, di farcela bene, con i miei mezzi, a modo mio. Ho appena iniziato qualcosa di totalmente nuovo nella mia vita, nel mondo drogato delle performance e dei sold out a tutti costi non bisogna cadere nell’errore di cercare il tutto esaurito ovunque a tutti i costi.

L’aspettativa è di portare quello che sto facendo il più lontano possibile e affinare lo spettacolo data dopo data. Di queste date ne faremo più di 40: era utopia fino a qualche tempo fa.»

La strada è ancora lunga…

«Eh, sì, è ancora lunga perché per quanto mi riguarda potremo arrivare anche a fare 80 date. È tutto diverso rispetto a quello che faccio di solito: quando fai uno spettacolo del genere, soprattutto con un taglio comico, sei giudicato in continuazione, ogni 15 secondi: la gente o ride o non ride. Se la roba non fa ridere ti arriva un giudizio immediato.

Sembra una piccolezza ma è molto diverso dalla musica, lì non vieni giudicato ad ogni rima. Nel rap, al massimo, se hai chiuso 4-5 rime di fila urlano oppure quando canti e sei stato particolarmente intonato in un passaggio c’è entusiasmo, ma la frequenza è diversa. Sto imparando un altro mestiere piano piano mentre lo faccio. Porto molto rispetto a questo genere di arte che mi sta dando moltissimo e mi sta facendo sentire particolarmente vivo.»

Sto imparando un altro mestiere piano piano mentre lo faccio. Porto molto rispetto a questo genere di arte che mi sta dando moltissimo e mi sta facendo sentire particolarmente vivo.

 È un po’ come tornare agli inizi o ti sei già abituato a questa nuova modalità di stare sul palco?

«No, ce ne vorrà ancora di tempo per abituarmi. Ho solo l’abitudine dello stare sul palco e quella non posso più perderla. Poi però quando inizia lo spettacolo le incognite sono tante e diverse. Ma va bene così, per me fare il mio lavoro è anche questo: se vuoi fare il mio lavoro – che non so più nemmeno qual è – diciamo l’artista, è fondamentale mettersi in questa situazione.

Il vero motivo per cui faccio questa cosa lo vedo ad esempio quando vado nel teatrino di provincia con 100 persone di tutte le età che stanno lì con me, dall’inizio alla fine e ridono.

Una delle cose che posso dire proprio perché sono con Rapologia, ad esempio, è che è anche uno spettacolo da un grande innamorato dell’hip hop. Sto andando praticamente in paesi di provincia a raccontare come ho scoperto il rap. Io potrei anche farmi i cazzi miei a 42 anni e parlare di altro, eppure ho una forma di amore talmente profonda che voglio parlarne come una roba che dovrebbe essere storia anche per una persona anziana.»

Ci sarebbero stati effettivamente mille temi più sexy…Nello spettacolo c’è anche qualche inedito: come sono nati?

«I pezzi sono stati scritti ad hoc per lo spettacolo e due sono stati scritti esclusivamente per questo secondo tour. Lo spettacolo aveva assunto una forma nel tempo per la quale ho voluto pensare e costruire questi altri brani.

Tutti mi dicevano di essere pazzo a non mettere Rose viola e Momento perfetto, mi sono preso anche qualche insulto (ride, ndr), ma io sono una persona abbastanza netta, per onestà intellettuale volevo farlo così. Non mi piace fare il revival di me stesso, mi dispiace per i miei fan da un certo punto di vista ma insomma, mi piace la malinconia ma non la nostalgia.»

Una delle cose che posso dire proprio perché sono con Rapologia, ad esempio, è che è anche uno spettacolo da un grande innamorato dell’hip hop. Sto andando praticamente in paesi di provincia a raccontare come ho scoperto il rap. Io potrei anche farmi i cazzi miei a 42 anni e parlare di altro, eppure ho una forma di amore talmente profonda che voglio parlarne.

Ho il ricordo un tuo concerto di più di dieci anni fa con pochissime persone, nonostante venissi da un disco di tutto rispetto. Io oggi ho l’età che tu avevi all’epoca, quell’età in cui il tempo ha un peso maggiore e ti chiedo: dove trovavi all’epoca la fiducia in te stesso per guardare dritto al risultato? E dove la trovi oggi, quando ti trovi a svoltare radicalmente nel tuo percorso artistico?

«Io ho fiducia nel momento in cui credo in quello che sto facendo. Spesso è la fiducia che una cosa in una maniera o un’altra possa funzionare, sono quelli i miei mezzi. Non penso di riuscire in determinate cose per diritto divino, ma perché mi sono fatto un bel mazzo prima.

Questa è una cosa che è stata molto abusata e detta da molti, io però ti posso dire che nella maggior parte della mia vita ho dedicato alla musica e non tantissime ore tutti i giorni, tralasciando tutta la mia vita privata, facendomi mille domande, per raggiungere un obiettivo. I dubbi arrivano a tutti durante il percorso, lavorare tanto per un obiettivo mi aiuta a spegnerli.

Però per bello che è il mio coraggio, visto da fuori, fa paura: quando rischi tutto, rischi tutto, soprattutto da adulto. Non so neanche se ho risposto alla tua domanda, posso dirti che ho una specie di fiducia cieca che le cose andranno in un certo modo, a volte mi chiedo “ma sei proprio sicuro?”, ma poi in qualche modo la girandola parte da capo.»

Tra poco il tuo ultimo progetto “rap”, Aspetta un minuto, compie dieci anni: come ricordi quel periodo?

«Lo ricordo come un bel periodo, perché quando ho fatto quel disco avevo già quasi pronto OrchiDee. Sapevo che OrchiDee era qualcosa di nuovo per chi mi ascoltava e sapevo che avrebbe necessitato di tempo sia per essere lavorato che per essere digerito dalle persone. Mi sono quindi applicato con Aspetta un minuto per togliermi gli ultimi sfizi, per divertirmi a fare brani più divertenti come Bugiardo a parole e sperimentare un po’.

Anche Scusa, non c’entrava niente con quel mixtape ma forse nemmeno con OrchiDee e quindi lo abbiamo messo lì. Lo ricordo come un momento felice perché è stato un po’ un piccolo momento di raccolta. Non sarei potuto avanti troppo a fare quel tipo di rap, lì mi sono tolto tutti gli sfizi e poi è arrivato il momento di girare pagina.»

Pensi di essere rimasto un grande amante dell’hip hop proprio perché in un certo momento ti sei spostato in un’altra corsia?

«Forse sì, perché sono innamorato del concetto, dell’idea, della cultura. Vivo la mia vita attraverso l’hip hop, ancora oggi. Per me anche una persona è o non è hip hop, è un mondo talmente vasto… Però non mi sento tanto lontano, c’è un grande equivoco sul fatto che io abbia lasciato il rap, ci scherzo anche nello spettacolo, però se qualcuno fosse all’ascolto avrebbe notato che di strofe rap ne ho lasciate parecchie in giro in questi anni e anche lo stesso OrchiDee è un disco rap a tutti gli effetti, semplicemente distante dai crismi che erano stati utilizzati fino a quel momento per i dischi rap.»

Paradossalmente se uscisse oggi avrebbe un’accoglienza diversa…

«È un disco che mi ha dato tantissima fortuna ma all’inizio erano tutti preoccupati (ride, ndr), tempo due mesi ed è stato accolto benissimo. Io mi diverto in questa maniera, a trovare una lente diversa nel fare le cose.

Lo stesso sto facendo anche con la stand up: la stand up comedy non è solo battute e punchline una dopo l’altra, è proprio come il rap, un territorio vasto in cui le persone non possono decidere quali sono i confini sulla base di quello che magari hanno visto in una story su Instagram. La responsabilità che sento, a costo di essere presuntuoso, è di provare ad allargare il campo.»

C’è un grande equivoco sul fatto che io abbia lasciato il rap, ci scherzo anche nello spettacolo, però se qualcuno fosse all’ascolto avrebbe notato che di strofe rap ne ho lasciate parecchie in giro in questi anni e anche lo stesso OrchiDee è un disco rap a tutti gli effetti, semplicemente distante dai crismi che erano stati utilizzati fino a quel momento per i dischi rap.

Anche nello spettacolo parli di depressione e una sfumatura che mi colpisce a riguardo è che spesso ne parli dando molto peso alle parole, non come qualcosa che si può accendere o spegnere magicamente. È un dettaglio che in una comunicazione che cerca la viralità non capita tanto spesso di trovare: secondo te c’è un rischio boomerang nel parlare semplicisticamente di alcune cose?

«Alla fine non credo, perlomeno si pone l’attenzione su temi importanti, le cose però vanno prese seriamente, i termini hanno importanza, si fanno diagnosi sui social, malinconie scambiate per depressioni, narcisisti patologici da tutte le parti, le relazioni tossiche… L’abuso di determinate frasi porta sicuramente a decontestualizzare realmente le situazioni di difficoltà reali. Chi si è trovato in mezzo a certe situazioni sa che la vita non è bianca o nera, ma che a volte è bianca, nera, grigia o rossa. Per quello cerco di parlare di certi temi, perché dire “sono guarito” è una bugia, spesso.

Se ti rompi una gamba, ti metti il gesso, chi ti garantisce che non te la rompi il giorno dopo? Perché non dovrebbe ricapitare con qualcos’altro che fa parte di te come la tua salute mentale? Sei tu che devi cercare di comprendere cosa ti succede tramite alcuni segnali o con l’aiuto di qualcuno se necessario, in ogni momento. Non penso che parlarne tanto sia sbagliato, come non credo che la depressione sia qualcosa di nicchia tipo il tuo gruppo preferito, ma l’abuso di alcuni termini può essere realmente dannoso.»

Se si cerca il tuo nome su Google immagini vengono fuori almeno cinque look diversi. Nel corso degli anni la tua fisionomia è cambiata più volte: che rapporto hai con il tuo corpo e l’esposizione pubblica?

«Il rapporto con il mio corpo è cambiato perché a un certo punto della mia vita, grazie a una cosa che non mi manca ovvero la forza di volontà, ho portato il mio corpo ad essere uguale alla persona che ero dentro, perché le due cose non collimavano e io ero infelice. Sicuramente ho avuto alcuni problemi con l’alimentazione, anche se non parlo ne parlo spesso. Sono passato dall’essere un ragazzo vorace ad esser diventato uno che mangiava per compensazione, come sfogo.

Ho cercato di essere più felice con me stesso, contento della persona che vedevo davanti lo specchio, non per gli standard della società ma per quello che volevo essere nel profondo. Spesso mi vedevo triste e con tanto peso addosso, ma non un peso felice, ma un peso messo addosso per copertura, per difesa. Anche su questo tema, mica si “guarisce”, uno dimagrisce ed è finita lì. No, si impara, giorno dopo giorno, poi si cade, poi ci si rialza, un giorno hai paura a mangiare una pizza, un altro giorno te ne mangi tre. Fa parte del gioco.»

Ho cercato di essere più felice con me stesso, contento della persona che vedevo davanti lo specchio, non per gli standard della società ma per quello che volevo essere nel profondo. Spesso mi vedevo triste e con tanto peso addosso, ma non un peso felice, ma un peso messo addosso per copertura, per difesa. Anche su questo tema, mica si “guarisce”, uno dimagrisce ed è finita lì. No, si impara, giorno dopo giorno, poi si cade, poi ci si rialza, un giorno hai paura a mangiare una pizza, un altro giorno te ne mangi tre. Fa parte del gioco.

Sin dall’inizio della tua carriera, il tuo essere vicino alla causa femminile ti ha caratterizzato come artista e a volte esposto a critiche da parte di alcuni tuoi colleghi. A che punto ci troviamo secondo te su questo tema, nel rap e non solo?

«Sinceramente credo che il campo si sia allargato. Sono contento di essermi preso qualche insulto per aver fatto certe cose, ma mi pare che oggi quelle cose le fanno in tanti in un modo simile.  Non credo sia stato merito mio ma forse ho contribuito magari a sensibilizzare qualche ascoltatore. Mi insultavano perché facevo i pezzi sulle tipe e oggi mi sembra li facciano tutti. Per il resto l’ignoranza c’era e ci sarà sempre, non è colpa del rap, è il mondo che è così. Il rap rispecchia al massimo il mondo stesso, in cui ci sono persone ignoranti e stupide come ce ne sono di intelligenti, sensibili e così via.»

Hai avuto modo di lavorare sia come autore che insieme a degli autori: come è stato?

«Mi è capitato di lavorare con degli altri autori solo mentre scrivevo lo spettacolo ed è stato bellissimo. Ho trovato in Carmine Del Grosso che ha scritto lo spettacolo con me una grande risorsa. Ha capito che volevo scrivere le mie cose in prima persona e mi ha guidato: gira di qua, fai così, questa falla diversamente. Alcune battute venivano a cena altre davanti la scrivania, sicuramente è una cosa che può succedere anche con la musica ma in quel caso non è mai scattata la scintilla.

Ricordo ad esempio nel 2019 dopo aver fatto Rose Viola con Zef, ho fatto una session con lui e Davide Petrella per un brano (loro nel frattempo hanno sfornato una hit dopo l’altra) e in quell’occasione ricordo di aver detto: “ragazzi io non mi trovo a scrivere con altre persone, terminate senza di me, non vi preoccupate”.

Con la musica quindi faccio più fatica, mentre con la stand up è qualcosa che mi somiglia di più. Diverso invece è fare da autore per altre persone, per altri interpreti, mi è capitato qualche volta e mi piacerebbe mi ricapitasse in futuro, magari per qualche artista donna, lavorando pensando a una sensibilità diversa ma simile alla mia capendo che incastro può nascere.»

Ricordo ad esempio nel 2019 dopo aver fatto Rose Viola con Zef, ho fatto una session con lui e Davide Petrella per un brano (loro nel frattempo hanno sfornato una hit dopo l’altra) e in quell’occasione ricordo di aver detto: “ragazzi io non mi trovo a scrivere con altre persone, terminate senza di me, non vi preoccupate”.

Stand up comedy in Italia: chi sono i tuoi preferiti?

«Mi farò sicuramente qualche nemico (ride,ndr). Ti dico Carmine Del Grosso, Eleazaro Rossi, Ciccio Mileto ma anche Laura Formenti e Michela Giraud.»

Qualche settimana fa sei stato ospite di Shocca a Bologna: ci pensi ancora a fare un disco o un tour rap?

«Penso a queste cose tutti i giorni. Ultimamente guardavo un’intervista ad Andrè 3000 – uno dei miei preferiti – e diceva delle cose che penso anche io su questo tema, nel senso che come lui anche io penso veramente tutti i giorni della mia vita a fare un disco rap. Il punto è che tra il desiderio, il gasarsi per l’idea e il farlo c’è un mondo. Non tanto per volontà ma per contingenze pratiche e ora non so se sono la persona adatta per monodimensionarmi, ora ho trovato il modo di fare musica ma aggiungendo anche altri aspetti artistici.

La verità è che non lo so, ora come ora non so nemmeno se farò più dischi, la forma dello spettacolo mi piace tanto e non riesco a vedermi nella forma “precedente”. Questo non significa che ho abbandonato la musica, sto solo trovando una nuova dimensione per esprimermi. Con Shocca ne parliamo in continuazione, lui nel giro del rap è uno di quelli che sento di più.»

Penso veramente tutti i giorni della mia vita a fare un disco rap. Il punto è che tra il desiderio, il gasarsi per l’idea e il farlo c’è un mondo. Non tanto per volontà ma per contingenze pratiche e ora non so se sono la persona adatta per monodimensionarmi, ora ho trovato il modo di fare musica ma aggiungendo anche altri aspetti artistici.

In molti mi hanno parlato bene di Shocca…

«È simpaticissimo, intelligente, ha humor: è una grande persona.»

Allora magari potrai ospitarlo al tuo fianco in uno spettacolo (ride, ndr)

«Perché no, mai dire mai! (ride, ndr)»

 

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Foto di Martina Amoruso e Matteo Mora

Grafica dell’articolo a cura di Peppe Occhipinti.