Roma, nella mappa del Rap Italiano, è una meta complicata: con quel passato alle spalle, non poteva non essere al centro, in qualche modo, anche in questa Storia. E anche in questa Storia Roma ha preso, a suo modo, la paternità della faccenda. Per quello che può valere, a Roma è stato stampato il primo disco di rap in italiano. Dentro un centro sociale (quel disco è Batti il tuo tempo, se qualcuno se lo fosse dimenticato). Quindi, per quello che può valere, il rap in italiano nasce dentro una Contro-Cultura, come una sua nuova – e indispensabile – forma d’espressione.
Oggi che qualsiasi persona può sperare di fare il rapper come lavoro (perché i rapper, oggi, sono Superstar, dentro una Cultura Ufficiale), a Roma il rap sarà sempre visto come qualcosa di diverso. Dj Exy, con il suo primo lavoro, prosegue in questa direzione, con una Compliation che racconta Roma, attraverso i suoi Cantori, nelle sue sfaccettature più intime, rappresentando il più possibile.
Cronache de Roma di Dj Exy: dentro la Storia del rap romano
Non a caso, ad aprire Cronache de Roma, ci sono Dj Baro e Dj Stile: un richiamo indelebile all’era dei Mixtape e al racconto che di Roma e da Roma arrivava attraverso questo mezzo quasi piratesco: un suono istintivo e sporco, crudo e de core.
Per quello che può valere – ma per me vale tutto – La Banda del Trucido del Rome Zoo è una messa a fuoco chiara di un momento, e del movimento che lo ha reso eterno. Con Cronache de Roma Dj Exy vuole farci rivivere, o almeno sentire, il fuoco che animava quella sottocultura che parlava dell’altra-Roma. Una Roma ostracizzata perché Alternativa, e nella quale un momento di condivisione è comunque un espediente ‘pe fa’casino’, che genera un virtuoso meccanismo di competizione, una battaglia stilistica e cinica, in puro stile romano. Se questo è senz’altro vero per La Banda del Trucido, per Cronache de Roma è vero in parte: in nomi chiamati in causa sono ormai veterani, con una visione più ‘matura’ e ragionata. E a posteriori meno istintiva. Il disco si fa portavoce delle due generazioni del rap romano tra i Novanta e i Duemila.
Danno, Suarez, Dj Ceffo, Fetz Darko, Mystic One, Er Drago, William Pascal; e poi Metal Carter, Sgravo, Zinghero, Lord Madness, Spampy, Wiser Keegan, Dj Kimo, Dj Snifta, Denay, Yamba, Black Damo. Un confronto dialettico tra due età, tra ‘padri’ e ‘figli’.
Tra le tante strofe di spessore, una, prevale su tutte. Una voce sempre discorde, una voce solitaria e profondamente romana, che ricorda sempre a tutti perché la gente ha cominciato a seguire, e poi a fare, quello che fa: la voce del Benetti DC.
Cronache de Roma: Dj Exy e “i dinosauri provenienti da una nuova era”
Benetti per me, è più di un rapper. È un simbolo. Un esempio. La prova vivente di un ragionamento. Perché se c’è chi si è dimenticato del perché è nato il rap e come è evoluto – permettendo a chiunque di potersi costruire una carriera facile – ci sarà sempre chi sarà orgoglioso della mentalità della Controcultura, e dell’Essere Contro, e saprò ritagliarsi uno spazio per esprimerlo.
Vita ulcerosa che implica devastazioni/studio sistemi che riduco in semplici schemi – causa e soluzione a tutti i miei problemi/questioni che affronterò, magari domani: per ora solo atteggiamenti poco sani/che mi portano a facili quanto inutili esaltazioni col rischio che mi sembrino cose normali
Mo sto bene, abbi fede/ ho smesso da crede che prima o poi succede/innocente fino a prova contraria/quattordici ore al giorno a mille euro ar mese: viva l’Italia!/Io c’ho confini ma non c’ho bandiera. Io so’Andrea
Il rap di Benetti è questo. Non c’è ‘pausa discografica’ perché non segue il Mercato. Segue la vita. È la vita, nuda e cruda. Dal suo primo – e oscuro – EP (con pezzi iconici come Faccio come me pare, Gli ubriachi delle tre di notte, La grande fuga), al disco Jagermasterz, per arrivare poi alle collaborazioni nei dischi di artisti vicini.
Io ce so entrato a spinta perché so na’ pippa/e a testa m’a deve taja Mastro Titta/davanti a tutti quanti in piazza e co’ tutto l’oro addosso/ staccame a’ testa dar collo che vado n’ do devo annà senza manco n rimorso
Che e parole tue stanno scritte sull’acqua/mentre le mie restano incise sull’osso/c’ho l’orologio e le lancette, sono logico e cartaceo/a casa mia ce sta n’oggetto misterioso che se chiama Stereo…/e sona sempre forte perché je devo rompe er cazzo a tutti…
Lo preferisci dov’è?
Dentro queste dieci barre c’è un credo che rivendica – e noi con lui – e riassume. C’è una dichiarazione di guerra ad ogni ‘trucco di scena’, ad ogni egotrip. Perché se regna l’individualismo, e non c’è direzione sociale. Restano gli anarchici. Irriducibili, perché dispersi.
Io c’ho confini ma non c’ho bandiera. Io so’Andrea…
Cronache di Roma, per quello che ci dovrebbe riguardare, vale già – e solo – per una strofa come questa, concepita da una persona – non da un Artista – come Benetti/Andrea. Perché nonostante oggi sia utilizzato per farsi accettare, e integrarsi, resterà comunque – e per sempre – una forma contro-culturale. A nostra disposizione.