È evidente che ci sia una certa pace a cui Dave aspira ogni volta che decide di architettare un nuovo capitolo discografico. Tra i record battuti dal premiato We’re All Alone In This Together e il successo vertiginoso di Sprinter, l’artista britannico si prende sempre il tempo necessario per rispettare la sua voce e il suo silenzio. Dave come nessuno prima di lui ha mantenuto una coerenza artistica in grado di aprire un nuovo capitolo nel rap UK, uno in cui nessun progresso discografico deve necessariamente incontrare compromessi per continuare la salita al successo e The Boy Who Played the Harp ne è la più grande rappresentazione.
Dave affronta il silenzio in The Boy Who Played the Harp
La figura luminosa alata in copertina e il titolo aiutano a identificare simbolicamente i dieci brani che costituiscono il lavoro: l’arroganza di Icaro bruciata dal sole? O un angelo che suona la sua gloria nella propria oscurità? Come i precedenti due capitoli però, anche qui il limitato numero di tracce nasconde una considerevole densità, dato che la narrativa spesso è approfondita orizzontalmente con singoli brani che possono pesare quanto un album a sé stante.
Il contesto in cui arriva TBWPTH è tanto interessante quanto il contenuto che presenta, dopo un simile macigno discografico come lo sforzo del 2021, ci si poteva facilmente aspettare qualcosa di distante rispetto ai concetti espressi in quel album eppure l’autore ha deciso di buttarsi all’interno di sé stesso ancora di più. La brusca divisione tra la ricerca di hit e l’esplorazione introspettiva che poteva aver braccato l’ascolto per alcuni in PSYCHODRAMA o We’re All Alone, qui svanisce del tutto, a favore di un ritmo che si rivela solo a chi decide di ascoltare più che sentire.
La mano di James Blake ritorna, questa volta in maniera ancora più marcata insieme ad un Dave ormai produttore. History testimonia di come il rapper londinese non stia solo scrivendo album ma anche un libro sulla sua vita.
Dopo il preludio c’è una conversazione in 175 Months dove Santan si rivolge a Dio, non per redenzione ma comprensione. Il rapper si lascia colpire dalla brutalità della sua penna mentre insegue dilemmi esistenziali a cui non può che ricevere silenzio dalle domande che propone. Musicalmente il disco si muove tra pianoforti (vera seconda voce di Dave) e suggestioni gospel, riflettendo quelle stesse contraddizioni sonore che Ye esplorava nel passaggio da Yeezus a Pablo. Una coesione che permette stavolta di passare da profonde analisi personali ad anthem come No Weapons dove il portento Jim Legxacy eregge le coinvolgenti melodie.
I prayed for new shoes and I used them to walk away from You
La colluttazione nata attorno ai successi travolgenti di Stormzy e alle frizioni con Wiley e Chip ha lasciato un sapore amaro nella bocca di chi vedeva crescere l’identità hip-hop britannica e l’evoluzione possibile del grime. Con Chapter 16, Dave torna a dare forma a quella speranza smarrita. Il dialogo con Kano è come quello di un giovane Kobe Bryant con Michael Jordan: l’uno ha tutto da imparare, ma la lucidità del veterano non scalfisce l’ambizione del ragazzo. È un brano cardine, non solo per la carriera di Dave, ma per tutto il panorama rap inglese.
Il secondo colpo ritmico del progetto arriva con il potenziale singolo Raindance in cui Dave lascia respirare il talento e la versatilità di Tems prima di iniziare a marcare il cuore dell’intero progetto con Selfish. È probabile che tra questi versi ci sia nascosta l’esigenza e l’ispirazione dietro l’intero album dato il peso che reggono. Santan rivolge la sua attenzione verso la parte più profonda del suo io interiore, trova dubbi, paure, aspettative e rimpianti umanizzando sé stesso in quella che è la collaborazione più intima tra lui e James Blake. Selfish è necessaria per il salto che Dave farà da qui in avanti nel progetto, passando da una prospettiva personale a voce del popolo. Contestualizzando la sua posizione nella scena, brani come questo sono esempi incalzanti su quanto gloria e celebrazioni possono percorrere strade molto diverse dal benessere umano interiore.
What if I’m damaged or what if I waited too long and have mould on me?
What if i’m cold on me? What if I cut off the hand that I hold on me?
What if I’m rapidly spiralin’ and tired and jaded? Or what if I’m faded?
Or what if anxiety’s growin’ inside me that I might have left all my best years behind me?
Il discorso iniziato è più grande del brano stesso e sfocia inevitabilmente nella successiva My 27th Birthday. Il pezzo fa da preludio al tema dell’intero album, mostrando come anche l’apparenza di una “bella vita” possa logorare chi è condannato alla sensibilità. L’MC non nasconde i privilegi ottenuti grazie alla sua carriera, ma alcuni momenti lo riportano a interrogarsi sul significato del suo nome, donatogli da quella che resta la musa onnipresente della sua vita: sua madre. L’infedeltà e la ricerca di una pace interiore ed esteriore sono forse le protagoniste di un loop apparentemente infinito di errori-riflessioni-aspettative-errori, tema che farà anche da outro all’intero progetto.
I’m terrified of livin’ by myself ‘cause there’s a kid inside myself I haven’t healed and me and him debate each other
Nonostante TBWPTH sia praticamente un self title project in tema e in forma, Marvellous e Fairchild sono due facce della stessa medaglia volta alle vite che Dave ha incontrato nel suo percorso nella parte sud di Londra. Un gesto che esalta la potenza del rap nel raccontare storie in ogni forma ed in ogni accento. La storia di Joseah e Tamah seppur esterne all’autoanalisi biografica del disco, sono il tronco portante di ciò che fa funzionare il lavoro di Dave. Se la prima è costruita con la formula classica della canzone toccando il modo in cui la vita di strada disintegra le opportunità di chi ne rimane incastrato, la seconda se ne frega di ogni schema narrativo trattando di qualcosa che è motivo di discussioni ma troppe poche volte di riflessione.
Fairchild riprende una conversazione cara a Dave da Lesley, ampliandone la portata e la precisione con cui viene affrontata. Accompagnato dalla talentuosa Nicole Blakk, Dave racconta una finestra di realtà moderna dagli occhi di una ragazza di 24 anni. L’autenticità del brano non è data solo dalla narrativa ma del riconoscimento da parte dell’autore di come la parte del problema esposto sia molto più ampia di quello che si tende a credere. Non è un genere musicale o un artista in particolare a doverci preoccupare ma la cultura in generale incapace ancora di riconoscere quanto 10 metri di passeggiata notturna per una donna possano farsi sentire come 2 kilometri concreto nel terrore. È un brano intelligentemente costruito che non cerca di creare empatia ma strappare il velo su ciò che si ignora.
The Boy who Played the Harp di Dave si conclude con un ultimo ma non meno importante spunto di riflessione.
Nel corso del progetto Dave ha ritrovato in sé stesso non solo vecchie ferite e dilemmi esistenziali ma ha accuratamente analizzato le influenze esterne e il punto di vista di cosa o chi lo circonda. In una realtà piena di guerre, genocidi e prese di posizioni, la title track del album vede il suo protagonista mettere in discussione il suo ruolo in tutto questo, chiedendosi se anche in altre ere di dubbio e tragedie avrebbe preso decisioni giuste, sbagliate o insignificanti. È un conflitto diretto col peso del silenzio in un mondo che strilla in agonia. In un album così intimo e introspettivo Dave ha raccontato sé stesso per trovare un punto di connessione con la sua generazione, in un certo senso il vecchio titolo We’re All Alone In This Together potrebbe applicarsi perfettamente anche alle melodie dell’arpa di Davide.
I get in my head sometimes, I feel like I’m in despair. That feelin’ of total powerlessness, I get that sinkin’ feelin’ that good ain’t defeatin’ evil
Se il mondo al momento può apparire assordante e senza speranza per un adulto, per un giovane è probabilmente un percorso di burroni senza arrivo. Dave fa atto di questo e crea un punto di conversazione in forma d’arte per chi, come lui si sente smarrito. Non ci sono soluzioni in TBWPTH ma qualcosa di più prezioso, una una grande voglia di vivere a dispetto del continuo scoraggiamento che può arrivare dall’esterno o dall’interno della nostra persona. Un album fondamentale in questo 2025 ricco di uscite, un punto di incontro tra passato e futuro e una perfetta base di partenza se si vuole iniziare ad approfondire il rap inglese.
Capolavoro.


