Quel Fuoco Sacro che ci alimenta dall’inizio: intervista ai Cor Veleno

Articolo - Intervista ai Cor Veleno
Grafica di Mr. Peppe Occhipinti

Il nome Cor Veleno è un’istituzione nel rap italiano, inciso sull’asfalto di Roma dagli anni Novanta. Fuoco Sacro è non solo il loro nuovo album, ma sono due parole che se messe insieme descrivono brevemente ciò che in studio sono da sempre stati in grado di creare, sebbene ora non ci si più Primo Brown.

Grandi Numeri, Squarta e Gabbo hanno ancora una voglia matta di condividere voce e beat con i propri fan, riuscendo ad omaggiare contemporaneamente sia questo genere musicale che la memoria di Primo, con tanto di due strofe inedite incluse all’interno del disco.

È stato bello ascoltarlo per intero, così come è stato bello parlarne su Zoom con chi ha creato questo sound: Squarta e Gabbo, di cui trovate qui di seguito le risposte alle nostre domande.

Buona lettura!

Dentro il Fuoco Sacro dei Cor Veleno: l’intervista

Esplorate diverse influenze musicali in “Fuoco Sacro”, dalle sonorità più classiche alle sperimentazioni jazz e perfino la cumbia colombiana. Come avete bilanciato queste varie ispirazioni per creare un sound coeso per l’album?

Squarta: «Il disco ha un sound coeso perché siamo bravi (ride, ndr). Diciamo che ognuno di noi ha un bagaglio culturale e quindi ognuno porta la propria attitudine all’interno dello studio nei momenti in cui lavoriamo al disco e ai live. La figata di fare questo lavoro è che metti insieme tutte queste idee nel frullatore magico dello studio per tirare fuori una miscela e un sound unico. E quindi, se tu sei un artista che ha una propria identità forte – fondamentale al giorno d’oggi, specialmente per distinguersi – riesci a prendere le esperienze dei musicisti, dei componenti, di chi ti sta aiutando in quel momento e riesci a creare il tuo sound, contaminato da altre cose».

Gabbo: «Anche perché forse il valore aggiunto è proprio quello di non venire tutti dallo stesso genere musicale, perché altrimenti si rischiava di rimanere soltanto tra quelle mura delineate del genere. Invece, avendo ognuno di noi proprio punti di partenza diversi, alla fine riusciamo con naturalezza a creare questo sound che magari per chi ascolta può essere una cosa strana invece a noi ci viene in modo naturale perché ci appartiene».

E ci sono tracce nell’album che si distinguono per particolari sfumature o sperimentazioni che vorreste evidenziare? Sia musicali che liriche.

Squarta: «Sai, spiegare un disco è sempre una cosa complicata, soprattutto per chi l’ha fatto, ma forse è anche sbagliata, perché ognuno poi dal disco trae le proprie emozioni, le proprie idee, le proprie sensazioni. Se io ti devo ti devo spiegare prima quello che ti devi aspettare ti condiziono anche. Quindi ognuno nell’ascolto del disco trae quello che vuole in quel momento, anche a seconda del proprio stato emotivo».

Gabbo: «È un po’ come quando uno vede un quadro: questo esprime diverse sensazioni a seconda della persona che lo vede. Quindi diciamo che la musica deve essere un po’, questo: ognuno deve far uscire fuori quello che la musica in quel momento gli sta tirando fuori».

Mi piace come risposta, come mi sono piaciute anche le collaborazioni del disco. Molto varie, con leggende come i Colle der Fomento, Inoki e Fibra, ma anche nuovi talenti emergenti. Qual è stato il processo di selezione dei collaboratori e come avete gestito la dinamica di lavoro con artisti provenienti da generazioni diverse?

Squarta: «Nei nostri dischi c’è sempre e solo la profonda stima per l’artista. Noi siamo proprio fan della musica di chi ospitiamo nei brani e non potrebbe essere altrimenti. Prima di tutto siamo ascoltatori dei dischi di Fabri, Ugo Crepa, Ele A, Klaus…. Facendo musica e stando in studio incominci a dire “ma sai che secondo me la voce di Ele A qua ci sta e sarebbe una bomba? Proviamo a scrivere, vediamo lei che cosa che cosa ne pensa?“. Così nascono le collaborazioni, almeno per noi. Se deve essere una cosa studiata a tavolino, diventa palloso e anche poco produttivo o proficuo. Ogni artista che tu ospiti porta un valore aggiunto…».

Gabbo: «E porta un valore vocale a quello che è già è la produzione. Quindi molte volte diciamo che ti proietti verso un artista perché lo stimi, perché ti piace, ma anche perché pensi che la sua voce, il suo modo di scrivere, possa arricchire ulteriormente quella produzione che magari a te stesso già comunque ispira determinate cose, capito? Quindi lo trovi come un arricchimento a quello che già è la musica, la produzione e quello che già ha scritto Giorgio (Grandi Numeri, ndr). È quindi un valore aggiunto, ma tutto deriva dalla stima sia personale che artistica».

Chiaro. Rimango sul tema con una domanda banale, ma sono curioso di sapere se magari mi sorprendete. C’è un featuring in particolare che vi ha sorpreso maggiormente in questo disco, per qualsiasi motivo (sia pre-studio che per la strofa stessa), perché comunque credo che non sia all’ordine del giorno poter dire di essere al lavoro per il disco dei Cor Veleno.

Squarta: «Tutti gli ospiti del disco sono, oltre a quanto detto poco fa, anche super professionisti, quindi la loro risposta veloce e precisa è sempre qualcosa che ti lascia col sorriso. Perché tu magari mandi un provino su WhatsApp e dopo cinque minuti ti rispondono dicendo “Cazzo che bomba! C’ho l’idea!”: questo è sempre un momento che ti esalta. Perché tu già sei in studio gasato perché stai facendo la tua musica che ti piace e pensi che non esista una roba più figa al mondo. La mandi a un altro che ti risponde dopo cinque minuti dicendo “Oh, cazzo, che figata, c’ho l’idea, spacchiamo tutto” lì si crea quella magia, quel Fuoco Sacro che ci alimenta dall’inizio. Ad ogni modo, dirti uno che ci ha colpito sì ce l’ho: Ugo Crepa, che ha scritto quella strofa in Tuta Acetata che ogni volta che la sento mi fa venire la pelle d’oca. Quindi ok, gli altri spaccano tutti, ma in quella roba lì è come se Ugo si fosse proprio messo a nudo».

Cor Veleno ha una storia lunga trent’anni: come avete visto evolversi l’hip hop in Italia e in che modo questa evoluzione ha influenzato la vostra musica in Fuoco Sacro?

Squarta: «Allora, quando abbiamo iniziato noi il rap era, per assurdo, pieno di regole, di schemi, si doveva fare in un certo modo e se lo facevi in maniera diversa eri uno strano. Finalmente tutte queste cazzate si sono sgretolate, ognuno fa il cazzo che vuole ed è fondamentale questo dato che contribuisce ad arricchire un genere, a tenerlo vivo, a far sì che non rimanga fermo su se stesso e a far sì che evolva. A noi guardare indietro sì ci piace, ma in realtà guardiamo sempre avanti, guardiamo sempre ai pischelli che ci sono oggi e ce ne sono tantissimi forti sia tecnicamente che a scrivere. È chiaro che questo genere è diventato per tutti, è diventato normale, si sente ovunque e questo porta all’interno del genere anche i visitatori, ossia gente che ci passa per striscio e che ne prende una piccola parte. Va benissimo, è giusto che sia così, ma è pieno di robe fighe che alimentano anche noi. Sentire un pischello di diciott’anni che scrive da paura, che si rifà magari a cose di prima ma le porta nel futuro: è proprio questo il rap, fai un passo indietro, ma poi ne devi fare dieci avanti».

Gabbo: «Sì infatti, devi guardare al futuro, ma con la consapevolezza di tutto quello che è successo prima che crea poi il tuo sound, il tuo background e la tua identità. Questo probabilmente è quello che facciamo noi, cioè non rimanere soltanto ancorati al passato, anche se il passato è comunque fondamentale per guardare il futuro».

E pensando ai giovani e all’argomento “passato, presente, futuro”, mi viene in mente una cosa: agli inizi dei Cor Veleno si cercava di prendere le distanze da stampa e televisione che iniziavano ad interessarsi al rap nostrano, spesso in malomodo. Ora invece la situazione sembra ribaltata, con molti rapper che fanno di tutto per essere trattati dai grandi media: cosa ne pensate?

Gabbo: «Beh, sai, noi abbiamo sempre pensato che fare musica significasse cercare anche di veicolarla e farla arrivare a più persone possibili e i social e la televisione sono il mezzo con cui tutto ciò succede. Quindi probabilmente si è soltanto adeguato il genere all’andamento della vita di tutti i giorni. Come il rap è arrivato ad essere un linguaggio per tutti, questo linguaggio per tutti lo si trova nei mezzi di comunicazione che sono per tutti. Quindi diciamo che è un adeguamento a quello che è la cultura, niente di più, secondo me».

Squarta: «E in più, secondo me, è folle pensare di adattarsi al mezzo di comunicazione. L’artista deve cercare di veicolare la propria musica a più gente possibile rimanendo se stesso».

Gabbo: «Anche perché ormai è il mezzo di comunicazione a cercare il rapper, in quanto cercano anche loro quel modo di comunicare che arrivi a un livello più ampio possibile. Quindi diciamo che più che essere i rapper alla ricerca della visibilità, sono proprio questi mezzi di comunicazione che vogliono sposare questo nuovo tipo di linguaggio, visto che è in grado di comunicare a molte persone».

Eh sì, visto che tira, salgono subito sul nostro carro.

Squarta: «Visto che tira puoi andare dappertutto come artista ma ci vai con la tua identità: devi essere forte, devi essere quadrato, perché è un attimo che vieni un po’ inglobato nel meccanismo. Se però ci vai con le spalle larghe e con la tua identità, puoi andare dappertutto, non c’è problema».

Non è affatto semplice immagino…

Squarta: «Non è semplice, però se sei uno che sa quello che vuole e se sei conscio dei propri mezzi, vai e porti la tua musica ovunque, ne esci sempre pulito».

Un esempio che a tal proposito mi viene in mente è Nuova Scena, il talent di Netflix sul rap e che tra l’altro ti ha visto coinvolto. Come è nato il tuo coinvolgimento? Te lo chiedo perché è un nome, il tuo, che probabilmente prima del programma mai mi sarei immaginato di vedere in un talent del rap su Netflix e credo possa essere essere bene per le nuove generazioni che si affacciano a questo genere, come è stato nell’edizione americana dove avevano coinvolto gente come Killer Mike, Jadakiss, Fat Joe.. 

Squarta: «Hai fatto dei nomi proprio rilevanti per la cultura. Jadakiss, Killer Mike che vince il suo primo Grammy a quasi cinquant’anni. Sono la prova del fatto che se tu porti la tua attitudine, come dicevamo prima, puoi fare qualunque cosa: puoi fare TV, radio, cinema, puoi fare quello che vuoi».

E infatti è stato fighissimo per me vedere sia loro ma anche te, penso possa fare del bene a questa cosiddetta nuova scena di rapper e di fan. È stata un’esperienza positiva suppongo, confermi? L’aneddoto iniziale tra te e Fibra di quando vi siete conosciuti, ad esempio, è stato bellissimo.

Squarta: «Certo. Il fatto che ci sia stato Fabri era fondamentale perché è un artista che c’è da sempre, è riuscito ad arrivare a tutti e ha quella consapevolezza e maturità per poter parlare di questo genere musicale a tutti. Non è facile. Avere la capacità di parlare di una cosa che inizialmente non era per tutti ma lo è diventata, avere le parole giuste, la sintesi giusta per comunicare questo messaggio, è una grande dote e secondo me era proprio uno dei pochissimi che lo può fare».

Ed è stato lui a volerti coinvolgere?,

Squarta: «Yes!»

Cosa non scontata, immagino tu l’abbia apprezzato molto.

Squarta: «Cosa non scontata, l’ho apprezzato e, come dire, è dall’inizio che ci conosciamo, c’è sempre stato un filo che ci legava e che ci lega ancora».

E indubbiamente un filo vi legherà per sempre al grande Primo Brown. Per me svegliarmi il primo gennaio di quest’anno con il vostro brano con dentro la sua strofa è stata una bomba. Da dove viene questa sua strofa e quanto materiale inedito ancora avete di Primo?

Squarta: «Allora, diciamo che Primo è stato un artista prolifico da morire, ha scritto tantissimo e ha lasciato tantissimo. Ha fatto uscire tantissime cose e questa strofa era una cosa inedita, così come anche quanto sta su Lo Spirito Che Suona, che fanno tutte parte di vari periodi in cui, sai, scrivi registri, poi quella cosa non la finisci perché non è il momento di finirla e magari poi non hai più il tempo di ritornarci sopra. È perciò anche nostro compito mostrarle a tutti anche per far capire la grandezza dell’artista Primo che è morto otto anni fa ma quando esce una strofa sembra che l’ha registrata l’altro ieri. O sei un cazzo di capo o non si spiega. E quindi lui è un cazzo di capo, perché le cose che ha registrato otto, dieci, dodici anni fa oggi ancora sono attuali e spaccano il culo: è il più forte di tutti, non c’è nient’altro da dire».

Tra l’altro ci tenevo a dirvi grazie per un live che voi due faceste a Brescia circa dieci anni, davanti a tipo venti persone, e avete performato come se ci fosse il locale pienissimo, super presi bene. Me la porto sempre con me quella serata. 

Squarta: «Ma sai, questa cosa me l’ha insegnata proprio Primo insieme a Grandi. Nella vita artistica dei gruppi ci sono degli alti e bassi ma, soprattutto, ci sono dei momenti in cui vai a suonare in posti che esplodono e scoppiano di gente e altri dove ce ne è pochissima. Loro due mi dicevano sempre: “ok se c’è il locale pieno, ci divertiamo, ma se sono cento o cinquanta persone che sono venute per vedere noi, è nostra responsabilità performare al top e mandarli a casa con l’idea che noi abbiamo dato tutto e abbiamo spaccato il culo“. Per questo motivo la nostra idea di live era questa: salire sul palco per intrattenere tutti quelli che erano venuti, che poi erano pochi o tantissimi poco conta».

Solo amore per questa roba. E solo amore per il documentario Sempre Grezzo: come è nata l’idea e come sta andando? 

Squarta: «Il documentario nasce ovviamente per volontà dei Cor Veleno e di Mauro, il papà di Primo. Nasce con l’idea di raccogliere più materiale possibile su Primo e raccontare la sua vita che poi, inevitabilmente, è diventato anche il racconto di una generazione che ha iniziato a fare rap a prescindere dalla vita di David: si racconta quindi la sua storia, ma inevitabilmente si vanno a toccare tanti aspetti di quel periodo della scena. Questo documentario nasce proprio con l’idea di raccontare una storia e c’è voluto tanto, perché il materiale che il regista Guido Coscino ha trovato nel corso del tempo è enorme. C’è voluto tantissimo per raccoglierlo, per montarlo. Abbiamo fatto delle visioni a Roma perché il film nasce proprio con l’intento di partecipare a dei Festival. quindi ne faremo anche altri: lo annunceremo, non è facilissimo. Poi, la nostra idea, una volta finita questo giro di festival, è quella di traghettare il documentario su qualche piattaforma per far sì che venga visto da più gente possibile e, ovviamente, essendo un lavoro indipendente non è facile per niente. Ci teniamo a farlo vedere a più gente possibile perché merita: è una fotografia importante di un periodo storico fondamentale per il rap, ma non solo, lo è per la musica italiana».

Da tempo, ormai, molti considerano Milano come la capitale del rap italiano. Tralasciando la questione logistica di major discografiche e studi di registrazione, siete d’accordo con questa visione? Dopotutto anche da Roma vengono fuori continuamente esponenti di spicco della scena nostrana.

Gabbo: «Secondo me semplicemente sono due modi diversi di fare rap. È un po’ come Los Angeles e New York: sono due realtà diverse, raccontate in maniera diversa con i propri interpreti. Sono due linguaggi differenti per esprimere la stessa cultura. Quindi, non c’è una capitale dell’hip hop. È sempre stata detta questa cosa che il cinema sta a Roma e la musica sta a Milano: fondamentalmente è questo forse che raccoglie più musicisti a Milano. Io almeno la vedo così, poi non so Squarta…»

Squarta: «No, no, è così, è così sicuramente. Quindi sì, Milano è il centro del business discografico, però poi, come vedi anche tu, la musica arriva da ovunque, ma anche gli stessi che stanno a Milano, tanti non sono di lì. Il rap arriva da ovunque, con le proprie identità, con il linguaggio ed è giusto che sia così. Quindi sicuramente Milano è il centro del business ma non è il punto dove nasce l’hip hop e finisce lì: no. A Milano, ci si va per lavorare, ma il rap è dovunque, per fortuna, perché questa cosa contribuisce ad arricchirlo».

Esatto. E se penso a Roma penso subito ai Cor Veleno e ai Colle Der Fomento, due collettivi iconici della scena rap capitolina. Con il passare degli anni, vi è mai sembrato di vedere un vostro degno erede?

Gabbo: «Un bel collettivo è quello della LoveGang, ad esempio, ma non lo penso come un erede di qualcosa, penso che sia un forte collettivo a sé stante, molto figo, fatto da giovani ragazzi molto bravi e sapienti di quello che fanno».

Squarta: «E io ci aggiungerei un artista che secondo me ha saputo guardare tutta la prima parte di Roma, l’ha presa e la sta traghettando nel futuro, è Nayt, che è sicuramente un artista con le palle quadrate proprio, cioè è uno proprio forte forte forte».

Gabbo: «D’accordissimo»

Squarta: «Nayt è proprio uno forte, sa scrivere, è super tecnico, sa emozionare la gente ai live e spacca il culo a tutti. Ha preso proprio quello spirito, ma lo porta nel futuro ed è solo merito suo, non di qualcun altro: lui è tutto farina del suo sacco. Ha saputo prendere, rielaborare, riproporre e portare nel futuro. E quindi questa è una roba super importante».

Fortissimo e lo dimostra anche la strofa per il vostro disco: riagganciandomi a quanto mi avete appena detto, è volutamente messa come prima traccia di Fuoco Sacro?

Squarta: «Sì, lì mi sono fatto un po’ un film, l’ho proposto al resto del gruppo e hanno accolto la mia idea di mettere come prima traccia Nayt e come ultima traccia i Colle: è un po’ un cerchio che si chiude, no? Sono due pezzi per noi importantissimi questi tra l’altro, perché quello con i Colle lo è per tutta una serie di motivi che sai da solo e Nayt altrettanto perché, appunto, è il seguito, è il traghettatore».

Bomba. Ora, per concludere, un’ultima semplice domanda: Fuoco Sacro tour?

Squarta: «Annunceremo presto le date perché, ovviamente, se non suoniamo non ci divertiamo, è la parte che ci esalta di più. Faremo delle comunicazioni appena è il momento, ma sicuramente da maggio in poi saremo in giro a suonare. Stiamo lavorando al live ma non diciamo un cazzo perché sennò spoileriamo (ride, ndr). Però ci sarà la potenza dei Cor Veleno come sempre, ci sarà la presenza in Spirito di Primo e ci sarà tutto quella…»

Gabbo: «Basta, basta, non spoilerare!»

Squarta: «Ok basta, ciao, ciao (ride, ndr)»

Ciao ragazzi, grazie ancora una volta per questo Fuoco Sacro.