Sulla riva del fiume, ad aspettare la fine, insieme a Willie Peyote

willie peyote

Nonostante tutto sembra sommerso, nelle torbide acque di oggi – un oggi tormentato, da spettri di un passato non così remoto, e da quelli di un futuro che scoraggia, anche i più ottimisti – la musica è l’ultima ad andarsene. Willie Peyote – “nichilista, torinese e disoccupato” (perché dire ‘rapper’ fa bimbominkia) – torna con un nuovo, breve progetto. Nuova musica, figlia di un periodo storico confuso, ma gravido di conseguenze. Anche (fortunatamente) a livello artistico. Sulla riva del fiume, EP di 6 tracce, stilistica sintesi del suo percorso nel panorama musicale. E chiamatelo pure indie, o in qualsiasi altro modo desideriate. Per noi, resta rap, semplicemente. E da paura.

Sulla riva del fiume, insieme a Willie Peyote: il Manuale del nichilista maturo

Sulla soglia dei 40, in evoluzione costante (e coerente) dalle premesse, Willie Peyote è fuori con Sulla riva del fiume. Progetto amaro, di un’amarezza nichilista che si stempera nell’ironia – dissacrante e leggera -, caustico mezzo di difesa, affinato negli anni.

Progetto d’amore, nonostante il tormento e le delusioni, che trapelano con forza sotto i ritmi ‘ballabili’ e melodicamente semplici; progetto che coniuga consapevolezza e disillusione, attraverso il filo rosso della sua produzione passata, che riecheggia nei versi, rinfrescandosi di nuova linfa vitale:

seduto qui sulla riva del fiume a dirsi “addio”/vedo i cadaveri passare, e aspetto passi pure il mio/che poi dopo vent’anni ormai ho capito che in teoria/tutto è più facile in teoria, so che se sbaglio è colpa mia

Dal richiamo a un suo vecchio brano (In Teoria: “In teoria che differenza c’è fra talento e pazzia/ed è geniale o un’idiozia, pace dei sensi o malattia…“) nella title track (Sulla riva del fiume), a schemi metrici e rime che vanno a scavare, facendo ri-emergere/tornare a galla vecchi tesori obliati nel tempo, rimasti tuttavia vitali, e attuali.

In teoria, vorrei saper la differenza/ che passa, tra solitudine ed indipendenza/fra abitudine e indifferenza,/ fra attitudine e sopravvivenza/tra sostanza e apparenza, stupidità e coerenza/ciò che si fa e ciò che si pensa…

È una coerente evoluzione, appunto, quella di Willie Peyote. Artista (nichilista) che, dopo gli exploit dei primi due dischi ‘ufficiali’ – Non è il mio genere il genere umano e Educazione Sabauda – ha seguito un proprio percorso, in parte in linea col rap dal quale proviene, in parte proiettandosi verso nuove direzioni.

Il rap, come tecnica di scrittura, che ingloba altre forme metriche, ingoia altre platee, e nel wok di una mente artistica (e nichilista, come nel caso di Willie Peyote), riesce a ‘semplificarsi’ nella comunicazione, senza snaturarsi nell’esplicitazione dei contenuti.

Evoluzione costante e coerente

Di questa produzione post-Educazione Sabauda (croce e delizia della sua carriera, come afferma lui stesso nell’intervista a Tintoria) si è parlato poco, nelle riviste di settore. Considerato ormai non più un Rapper, come se il rap fosse qualcosa di fisso e immutabile, legato a vita al giro di 4/4, alle rime da battaglia e all’elitario senso di isolamento verso ogni contaminazione.

Di questa produzione – che si consolida a partire da Sindrome di Tourette in poi – si deve prendere atto, per capire il lavoro dietro Sulla riva del fiume. E citare almeno un brano, uscito lo scorso anno, che in qualche modo prepara e anticipa il lavoro in questione.

Per chi ha pensato che “Willie Peyote non è più un rapper,ormai”, consigliamo l’ascolto di Picasso, manifesto della nichilistica ironia di Peyote, piccolo capolavoro che gioca – portandola al centro, mettendola in risalto – la ‘provincia’ italiana, e il suo vizio più grande…che omettiamo, ma che tutti(!) riconoscerete:

Tra i miei sbalzi di umore non so più che gusto ha (Senza te)/Sembra tutto mediocre non so più che senso ha (Come se)/Vedessi il mondo intero in bianco e nero/È un film muto e la trama non c’è/Nero come il mio umore che va giù e lì resterà/Fino al prossimo incontro con te

Denuncia sociale (auto-riflessiva) che, in Sulla riva del fiume, diventa politica, nel pezzo più riuscito del lotto, per tutto il discorso che stiamo cercando di fare: Giorgia nel paese che si meraviglia. Politica e ironia, intrecciati su una base che fa ballare, senza smettere di farti pensare.

Obbiettivo del testo, ovviamente, il Governo Meloni. Che in questi giorni ha pubblicato il nuovo documento di Economia e Finanza, un ulteriore tassello a un quadro che – a partire ‘simbolicamente’ dal decreto anti-rave ad oggi – si delinea verso un premierato di Tatcheriana memoria.

Un pezzo che gioca sulla nostra coscienza ‘sporca’, come italiani, e dunque come cavie privilegiate di un sistema di governo che noi abbiamo vissuto negli anni Venti del secolo scorso, ma che è riuscito a fare scuola a Dittatori e aspiranti tali in molte parti del mondo.

Sogno altri vent’anni insieme ho troppa nostalgia…/di quei sapori forti, e le cose di una volta, ho tanti bei ricordi-passati, è una bugia…/ma ce lo raccontiamo, altri vent’anni insieme, ora che sei mia:/mi tiri fuori il peggio, e ora mi riconosco, ritorno me stesso, e il resto è una bugia…

Ma non c’è solo la politica, che spinge il nostro sul tettino di una macchina, ad aspettare – i cadaveri che passano –,  che tutto venga sommerso. Il disco si conclude con tre pezzi ‘leggeri’, che arrivano in profondità, restando in superficie.

Buon auspicio, Piani e Narciso (con un ritornello che ricorda vagamente Pino D’angiò, nella sua versione più funkeggiante), una sorta di Trilogia della Disillusione, manifesto della sua poetica. Ballate-Sballate e scanzonate, che virano verso il pop più generico. Ma che attestano, se ancora ce ne fosse il bisogno, la complessità di un artista. Che per approccio, stile e coerenza, resta un Rapper. Nel bene come nel male.