Breaking in Italia: Kacyo, l’Icona del Bboy palermitano

Kacyo, allenatore nazionale breaking italia

Se si parla di breaking in Italia, non si può non menzionare Kacyo. Bboy palermitano, ha portato il suo breaking a livelli assurdi, viaggiando per tutto il mondo. Vince Battle of the Year Italy nel 2009 e successivamente vince il Red Bull BC1 Italia 2010 e 2014. Ora è il CT della Nazionale Italiana di Breaking, ha contribuito a divulgare e promuovere la cultura Hip Hop a 360 gradi.

Attualmente vive a Padova dove insegna e prepara i futuri campioni Italiani. Lo abbiamo contattato per fargli qualche domanda.

La nostra intervista a Kacyo, CT della Nazionale italiana di Breaking

Chi è Kacyo e come è nato?

«Nasco a Palermo, nell’84 da una famiglia abbastanza umile, ho iniziato a praticare danza classica, moderno e Ju jitsu, l’ho fatto per diversi anni, specialmente il ju jitsu, praticato fino all’età di 20 anni. All’età di 14 anni però durante la ricreazione a scuola ho visto gente “diversa” che si allenava in cortile, mi sono avvicinato a loro e da lì la scoperta del mondo Hip-Hop: chi disegnava, chi ballava, chi rappava. Ho iniziato a frequentare questa compagnia. Fatalità, mesi dopo, ho scoperto che mio cugino era un noto rapper palermitano di nome Off: da li in poco tempo mi ha aperto la strada spiegandomi l’Hip-Hop, le discipline,  i pionieri, la sua evoluzione. Ricordo ancora la prima giornata che abbiamo fatto insieme, non siamo entrati a scuola e mi ha portato alle piscine comunali di Palermo, davanti a un block notes mi ha spiegato tutto, ho ancora i brividi a ripensare a quel momento, è stato assurdo, travolgente. Io nasco li. A quell’età sui 14 anni anni ho cominciato a ballare, a fare writing e all’età di 20 anni lascio tutte le altre discipline per dedicarmi al breaking, mettendomi contro anche la mia famiglia che fino ad allora aveva investito in tutto quello che facevo, ma la libertà di espressione che mi dà e dava il breaking non lo trovavo da nessun’altra parte».

Quando hai capito che ce la stavi facendo?

«Ci sono stati diversi episodi che mi hanno convinto che questa era la strada giusta ma, sicuramente, le prime competizioni. Io mi ricordo una delle prime che feci a Palermo a piazzale Ungheria, un battle totalmente illegale, abusivo, mi ricordo che vinsi e da li mi sono detto: “Caspita forse valgo qualcosa!“. Penso però che il South Invasion del 2005, competizione veramente difficile in Sicilia, mi diede la spinta ad impegnarmi sempre di più e a uscire dalla mia terra, a viaggiare e a dare tutto per il breaking».

Ora sei anche il CT della nazionale di Breaking: come ci sei arrivato e cosa ti aspetti da questa esperienza?

«Sono arrivato in federazione nel 2017, mi hanno chiamato perché il breaking stava diventando disciplina olimpica, l’Italia doveva andare a Buenos Aires per le Olimpiadi giovanili, mi chiesero una mano per cercare di coinvolgere più persone. Per me era un mondo nuovo che non conoscevo, tutt’oggi faccio fatica a capire certe dinamiche. Il mio lavoro all’inizio era spiegare i nostri bisogni e valori. La cosa che mi ha spinto dal primo giorno a fare tutto questo sono stati i giovani: ho sempre lavorato e continuo a farlo per divulgare e tramandare ai più giovani la nostra essenza, la nostra cultura. Ho visto in questa occasione tante bellissime possibilità per le nuove generazioni. Mi sono detto che avrei dovuto dare il mio contributo in questo nuovo circuito».

Kacyo break

Hai inventato un passo che personalmente ritengo incredibile, la “Caciata”: come è nata? E come vedi il copiare nel breaking?

«Io penso di aver inventato quella move ma più che altro è uscita così per caso. Mi ricordo che stavo scendendo a Bari per un 1vs1, stavo in treno, mi ero addormentato e mi ero sognato appunto questa pallina toccandomi i talloni dietro. L’ho fatto in battle subito. Tornando a Roma e confrontandomi con la mia crew, mi fecero pensare che quel passo lo avessi visto da Do Knock (Bboy storico americano, ndr). Così mi sono detto a sto punto provo a sperimentare da questo salto, mi tocco i piedi laterali, davanti in svariati modi e da li è uscita questa move che la gente mi riconosce. Sono contento ovviamente ma è uscita per gioco e sperimentando. Lo dico sempre ai giovani, sperimentate, uscite sempre, sperimentate da tutto e cercate sempre di mettere quel qualcosa in più o di seguire quel movimento, quella spinta che ti da qualcosa di nuovo. Sul copiare ho una mia idea ben precisa: copiare è sbagliato, non bisogna copiare, ma la parola giusta è ispirazione. Tante move mie sono state comunque motivo di stimolo da altre, cominciando da Emilio Next One Storm, anche bboys americani. Come dice Papa Crazy: “io prendo, aggiusto e ve lo ridò”».

Raccontaci uno dei momenti più importanti legato al breaking.

«10 anni fa ti avrei detto vincere il BC One o Battle of the Year, ma ora come ora ti direi che i momenti sono stati diversi, come vedere i Lotta boys al BOTY internazionale, un Amaro che che arriva in finale al Red Bull o vedere tanta gente intorno a me, gente giovane, dove comunque insieme cerchiamo di crescere e di non avere nessun ruolo, è molto importante tramandare questo, viversi quel momento quell’emozione. Dopo 25 anni che faccio questo ti posso benissimo dire che i momenti che mi gratificano e che mi hanno reso felice sono comunque legati ai miei allievi e alla gente della nuova generazione, raggiungendo quello che noi non abbiamo fatto in passato».

Che consiglio daresti ad un ragazzo per diventare professionista e vivere di breaking?

«Il consiglio che darei è quello di appassionarsi e alimentare quella passione, cercando in tutti i modi di scoprire, scavando in fondo cercando la propria via, la propria espressione, senza perdere i valori e quel modo di vivere che ci ha fatto appassionare a questa cultura. Professionista lo diventi facendo un tot di esperienze senza abbandonare valori, educazione e rispetto».

Lo chiedo un po’ a tutti: quanto importante è avere una crew?

«I valori di una crew sono importanti, per me è importante tramandare questo aspetto anche se in quest’epoca la crew di per sé non ha più quel valore che aveva un tempo. Però io cerco di tramandare i veri valori di una crew, dello stare e crescere insieme. Una crew la si può trovare al parco, dentro una struttura o comunque stando anche dentro la comunità italiana. Io penso che noi siamo una crew, penso che sia importante il senso di appartenenza, di amicizia, di crescita e anche se le crew stanno scomparendo io penso che i giovani devono capire le vere motivazioni di una crew, insieme si cresce, si lavora, ci si diverte. Tutti insieme si può crescere, dentro il “B students” sono nati i Lotta Boys, ora a Padova sta nascendo un’altra crew. Sono sicuro che questa ondata delle crew avuta in passato tornerà di moda».

C’è qualcosa che ti sta a cuore raccontare?

«La cosa che mi piacerebbe raccontare e tramandare è che il mondo dell’Hip Hop, le 4 discipline, sono tutte collegate. Un rapper ha le stesse tecniche di un ballerino, un DJ, un writer. Bisogna prendere ispirazione da questo e immergersi anche in altro, tantissime volte noi siamo focalizzati sul “facciamo breaking”, ma l’arte ha bisogno di stimoli a 360 gradi. Quindi una cosa che proprio mi sta a cuore è che bisogna spaziare su qualsiasi cosa e trarre la motivazione per crescere ed elevarsi».

Belle parole. Ringraziamo Kacyo per il tempo dedicatoci.

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