Intervista a Moder: «Poco dopo mezzanotte chiude un cerchio»

Moder
Foto di Nicola Baldazzi

Con l’uscita di Poco Dopo Mezzanotte, il nuovo album di Moder, abbiamo avuto l’occasione di parlare con lui di un progetto che racchiude passato, presente e futuro. Dopo anni di scrittura, di sperimentazioni e collaborazioni, il rapper è tornato con un disco che mette al centro la sua storia personale e la sua evoluzione musicale. Un lavoro curato nei dettagli in cui convivono il rap classico e nuove influenze, featuring che uniscono più generazioni e una scrittura che si fa spazio tra ricordi, consapevolezza e cambiamento.

Ne abbiamo parlato direttamente con lui: Moder ci ha raccontato in questa intervista un disco che chiude il cerchio iniziato con 8 Dicembre ma apre anche una nuova fase del suo percorso artistico. Buona lettura!

Intervista a Moder: il nuovo album Poco dopo mezzanotte, i featuring e il rap che lo ha influenzato

Innanzitutto, a cosa ti sei ispirato e qual è stato il processo creativo dietro Poco Dopo Mezzanotte?

«A un certo punto ho iniziato a pensare che avevo voglia di chiudere dei brani in un album, però non parto mai da un’idea precisa quando inizio a scrivere: prende forma mano a mano. A un certo punto mi è tornato alla mente questo film che avevo visto qualche anno prima, che si chiama Sette minuti dopo la mezzanotte. Tante cose tornavano: il lutto di un ragazzino appena adolescente, io ho perso mio padre il giorno del mio compleanno, quando avevo 11 anni. Tornava la fantasia: lui evoca questo mostro che gli racconta tante storie che lo aiutano ad affrontare il lutto, ma anche a crescere e diventare grande. È un po’ come se questo disco qua fosse la fine del percorso iniziato con 8 Dicembre, come se il mostro fosse la mia scrittura, che mi ha aiutato ad affrontare tutte le cose che non ero riuscito ad affrontare nella vita normale.

Dal punto di vista musicale c’è di tutto, dalle cose più classiche, soprattutto quella con Claver (Gold) e Jack (The Smoker), un tributo al rap che mi ha fatto innamorare quando ero più piccolo. Ma oggi, come si sente nel disco, ascolto tanto altro e quindi ho cercato musicalmente di essere il più vario possibile. L’omogeneità doveva essere la mia scrittura».

C’è stato un momento in cui hai pensato “questo brano deve restare fuori dall’album” o, al contrario, un brano che ti ha convinto subito che è il tuo preferito o che consideri consideri “il cuore” dell’album?

«Ho una procedura parecchio disordinata quindi ne ho buttati via tantissimi, veramente tanti. Però, in realtà, ti posso dire qual è stato il primo che mi ha fatto dire: “Questo è il primo pezzo del disco”, che è Tu la notte e la città. È stato il primo pezzo del disco, mentre l’ultimo che ho scritto è il primo del disco: Collane prodotto da Tony Lattuga. Non l’ho mai detto a nessuno, sei la prima a cui lo dico: la rima iniziale, il riferimento a Marracash, io in realtà ce l’ho tipo dal 2013. Quando ho sentito la base ho detto: “è finito”».

Che onore! Ci sono diversi feat con rapper e artisti appartenenti a diverse generazioni. Come hai scelto con chi collaborare? È venuta spontanea come cosa oppure c’è stato un ragionamento dietro?

«Io in realtà ho fatto pochissimi feat nei miei progetti precedenti. Collaborare per me è sempre complicato perché stare dietro ai featuring è un lavoro che non ho voglia di accollarmi, anche perché poi sono tutti impegnati e io sono una persona che non si attacca al telefono a scrivere tutti i giorni per chiedere “quando me lo mandi?”. Però questo disco per me era importante perché ho 40 anni e per tante motivazioni fra cui quella che altri dischi dove curo io tutte le scelte musicali non so se ne farò ancora, ho voluto metterci tutte le persone che sentivo ci stessero dentro. Ovviamente ce ne sarebbero stati tanti altri che mi sarebbe piaciuto inserire, come Ghemon e MadBuddy che mi hanno cresciuto.

Il pezzo con Claver e Jack era un po’ una chiusura del cerchio: ho conosciuto prima Jack, poi Claver e per anni ci siamo frequentati e non frequentati ma siamo sempre rimasti in buoni rapporti. Nella seconda parte della mia vita da rapper ci siamo frequentati moltissimo, quindi era un po’ un cerchio. Tormento e Dutch Nazari è nata dalle mie frequentazioni milanesi: faccio l’autore per altri progetti pop, quindi mi trovo spesso a Milano. Torme, generazionalmente, aveva vissuto quella cosa di Genova, quindi è stato subito naturale. A una cena, parlando con Dutch, è stato perfetto: è un ragazzo impegnato, super interessato politicamente, oggi anche bravissimo a scrivere.

Con Ugo Crepa, invece, è nata un’amicizia da qualche anno molto forte: avevo questo brano un po’ nell’onda Mac Miller e lui mi sembrava la persona perfetta. Adriana l’ho conosciuta tramite Zampa e mi ha colpito tantissimo: non riuscivo a dare a quel pezzo un ritornello che mi convincesse ma lei mi ha risposto subito con quel ritornello bellissimo. Con Frank Siciliano, invece, è stato divertente: un po’ una sfida con me stesso perché nel disco precedente non ce l’avevamo fatta. Notte blu per me è stato fondamentale: ha cambiato il mio modo di vedere la scrittura e il rap. Gli ho mandato un po’ di basi, lui ha scelto quella che gli piaceva di più e, in otto ore, gli ho mandato il pezzo completo. La mattina dopo lui aveva tutto, quindi l’ho un po’ costretto! Per me è uno dei pezzi più interessanti del disco.

Willie (Peyote) ha frequentato spesso la Riviera e siamo amici da tanto: sentivo che era perfetto per Settembre, che è anche un momento di pausa fra una cosa e un’altra, allora ho detto: “Chi meglio di lui può interpretare sta cosa qua?”. Arianna Pasini, invece, è una cantautrice bravissima delle mie parti, adoro la sua voce. Di solito canta solo cose sue, ma avevo questo ritornello e gliel’ho mandato. È venuta in studio la mattina ed è stato bellissimo. Con lei entra anche tutto il lato della mia vita da promoter e direttore artistico, organizzando concerti. Penso che tutte le collaborazioni completino un po’ l’album».

Tra i brani ce n’è uno molto intenso, 20 luglio 2001Carlo Giuliani. Quanto pensi sia importante che il rap continui a raccontare anche temi politici e sociali e che i rapper si espongano su determinati argomenti?

«Il discorso è complesso: penso che ognuno debba seguire la propria coscienza perché non c’è niente di più brutto che usare certi temi in maniera paracula. Se uno non li sente, secondo me è meglio che non lo faccia. La politica, tante volte, nel rap si può raccontarla anche indirettamente. Mi viene in mente Baby Gang che, secondo me, è uno dei rapper più politici che ci siano oggi perché racconta la storia di nuove generazioni di ragazzi italiani con esperienze diverse dalle mie.

Riguardo al brano ricordo perfettamente quel giorno. Io ero troppo piccolo per andarci ma tornai a casa da scuola e mi stesi a terra: ero molto impegnato politicamente. Sentii subito una sorta di repulsione verso tutto quello che avevo fatto fino ad allora, come per dire: “Ma allora finisce così, no?”. La cosa che mi ha colpito molto è che mi è venuto fuori il pezzo senza volerlo fare, mi è partito ascoltando la base, non so perché. Sicuramente, ragionandoci anche con Torme e Dutch, perché quei ragazzi erano avanti di tanti anni. Tenevano al clima, alla Palestina. Quella protesta fu veramente transgenerazionale. Dal giorno dopo molte cose fondamentali che prima erano date come diritti sociali, espressivi e anche economici, ci sono state sottratte piano piano. È come se il capitalismo avesse ufficialmente vinto, sedando l’ultima ondata dissidente. Oggi che torna la voglia di dire “no, non ci stiamo”, per me è importante ricordare chi è stato massacrato o multato. Se ne parla poco quindi non volevo fossero dimenticati».

La copertina è bellissima e molto d’impatto. Chi l’ha fatta e come è nata l’idea?

«In tutta questa mia trilogia che parte da 8 Dicembre ho collaborato sempre con Duna per la musica, mentre l’arte è sempre di Nicola Varesco che ringrazio molto. È un lavoro quasi da psicopatico per quanto è curato nei dettagli, bellissimo! Tutto è stato disegnato e poi assemblato con attenzione e precisione. Me l’ha consegnata da poco: io l’ho vista due giorni prima di voi! Credo che lui ci tenesse molto. Collaboriamo da tanti anni e mi ha dimostrato un affetto e una dedizione straordinari».

Quali sono i rapper che hanno influenzato la tua musica? C’è qualcuno con cui ti piacerebbe collaborare?

«Provo a essere riassuntivo perché hai aperto un capitolo gigante! Io faccio rap da tanto e sono stato influenzato da tante persone. La partenza è stata la scuola bolognese, in particolare i Sangue Misto, la prima cosa che mi ha fatto innamorare. Poi Fabri Fibra che era super ascoltato qui dalle mie parti. Narrava quella cosa di provincia sul mare. Ciò che ha fatto con Uomini di Mare è stato incredibile ed è stato molto bello vederlo diventare famoso. Poi i Club Dogo di Mi Fist che mi hanno influenzato molto tecnicamente.

Negli anni successivi sicuramente Primo Brown e il movimento Unlimited Struggle che mi ha formato molto: Frank, MadBuddy, Ghemon, Mistaman. E dall’altro lato Primo, per me il rapper più forte in Italia: super completo con una scrittura profonda ma comprensibile, ciò a cui io ambisco. Metteva tanto di sé senza essere troppo egoriferito. Successivamente mi sono avvicinato specialmente al rap americano: tutta la Rawkus, soprattutto Talib Kweli a cui praticamente ho copiato ogni flow, Mobb Deep, J. Cole, Kendrick Lamar, Mac Miller, XXXTentacion. Quest’ultimo per me è stato un genio folgorante. Ultimamente anche la roba più trap».

Un disco recente che ti ha colpito?

«Il disco che forse quest’anno mi ha colpito di più è quello dei Clipse (Let God Sort ‘Em Out): è stato un disco quasi perfetto. Malice ha fatto strofe incredibili, più forti di Pusha. È un manuale del rap, un classico dal mio punto di vista, con produzioni clamorose. Ce ne sarebbero altri ma questo ultimamente mi ha colpito molto!»

Se dovessi suggerire un luogo o un contesto particolare in cui ascoltare l’album, quale sarebbe?

«Sicuramente la notte. Quando sono da solo in macchina e guido, assaporo i dischi in modo diverso. Quindi direi guidando di notte, possibilmente in una strada di provincia».

Se dovessi scegliere tre canzoni del disco da suggerire a chi non lo ha ancora ascoltato, quali sceglieresti e perché?

«Difficilissimo! Direi: Collane perché c’è moltissimo di me: è come un riassunto del disco e va dritto al punto. Due minuti perché è dedicata ai momenti sbagliati della mia vita, con il “grazie” che dedico alla mia vita e lo “scusa” successivo che non ho mai detto. E poi Chi perde paga perché, secondo me, contiene molto di quello che conclude il disco e introduce le mie direzioni future, un po’ come il primo step di una nuova fase… e poi il ritornello di Frank è incredibile!»

Potete ascoltare Poco Dopo Mezzanotte qui: