«Non ho paura di ripetermi»: la nostra intervista a Claver Gold

Claver Gold nuovo album

Qualche settimana fa è uscito Questo non è un cane, il sesto disco solista di Claver Gold. Un album intimo per tanti versi, in cui sono molti i riferimenti a persone, luoghi e vicissitudini del passato dell’artista. L’atmosfera profonda è dovuta anche a Gian Flores, il produttore che ha curato tutte le strumentali del progetto.

Poche e ben dosate le collaborazioni al microfono, tra cui spiccano Tormento e Davide Shorty. Un disco che sembra esser nato prima per un bisogno personale e poi pensando al pubblico: forse è proprio questo il giusto approccio per fare della musica sincera, un approccio al quale l’artista marchigiano ci ha sempre abituato.

In occasione dell’uscita di Questo non è un cane abbiamo fatto qualche domanda a Claver per sapere qualcosa in più del disco e di questo importante momento della sua carriera.

La nostra intervista a Claver Gold

Di seguito trovate l’intervista che abbiamo realizzato a Claver Gold: buona lettura!

Ciao Claver, come va? Sei soddisfatto dei primi risultati del disco?

«Ciao, tutto bene… Un po’ stressato ma in forma. Sono molto contento, ci stiamo muovendo bene e ci togliamo qualche soddisfazione».

L’album è nato negli ultimi due anni o il concept e le prime idee sono arrivate ancora prima?

«Le prime idee sono arrivate prima di Infernum con Murubutu; avevo già in mente di fare un nuovo disco ma dovevo raccogliere i pensieri. Ho avuto modo di concentrarmi su alcuni concetti durante il primo lockdown, poi piano piano la trama si è sviluppata.».

Rispetto a molti altri rapper, ti è capitato diverse volte di affidarti a un solo produttore per un disco, in questo caso a Gian Flores. Come è nata questa alchimia?

«Con Gian avevamo lavorato alla rielaborazione di alcune tracce inserite poi in La maggior parte, da lì abbiamo capito che si poteva fare un ottimo percorso insieme. Credo che il suo apporto a questo album sia stato strepitoso, è davvero un professionista».

claver gold questo non è un cane

 

L’amore è sempre molto presente nei tuoi dischi: nonostante tu riesca a utilizzare punti di vista e sfumature uniche, hai mai paura di ripeterti nei modi o nei temi? Come ti approcci alla scrittura di questi brani?

«Non ho paura di ripetermi, perché ogni volta la storia è vista in maniera diversa, in una sorta di cubismo. C’è una crescita personale che mi permette di trattare un argomento che può sembrare simile in maniera differente. Solitamente mi lascio ispirare dagli eventi, dalle storie di amici, dai libri, film, racconti, poi lo rielaboro per giorni nella testa ed inizio a scrivere. Credo che siano altre le persone che dovrebbero preoccuparsi di “ripetersi nei modi e nei temi”».

In Questo non è un cane c’è molto del tuo passato: è stata una scelta naturale e spontanea dettata anche da eventi (come la pandemia o qualcosa di più personale) che ti hanno fatto concentrare su determinate persone ed esperienze della tua vita durante la scrittura oppure è stato un processo più “studiato”, nella volontà di creare un concept al progetto?

«Direi che è stato un processo naturale e umano, sono molto legato al mio passato, ma non mi lascio intrappolare. Voglio andare avanti, ma allo stesso tempo pondero le mie decisioni in base al background del mio vissuto. Se non sai da dove vieni, non sai dove vai».

Navigando su YouTube, si trovano diversi tuoi dischi caricati per intero, con decine di commenti di ascoltatori che si sentono quasi debitori nei confronti della tua musica e che continuano anno dopo anno a lasciare testimonianze. Senti mai una certa responsabilità verso il pubblico quando chiudi un pezzo? Che rapporto hai con la tua fan base?

«Inizialmente non sentivo nessuna responsabilità, ma col passare degli anni mi accorgo che le mie parole hanno un peso specifico sul pubblico. Cerco sempre di lasciare, anche nelle peggiori storie, un messaggio positivo o comunque un finale aperto, in cui chi ascolta può decidere come finisce la storia, non c’è mai una verità assoluta. “Scriverei le stesse rime senza fan”: in Nak Su Kao c’è un passaggio fondamentale. Credo che siano i fan a farmi sentire meno solo, ma se ne avessi 1 o 1 milione sarebbe la stessa cosa».

Claver Gold

 

Nell’album in alcuni brani hai quasi osato con la voce, andando in una direzione cantata che raramente hai intrapreso altre volte. Come sono nate quelle tracce?

«Con il tempo ho imparato a conoscermi, so dove posso arrivare con le mie capacità e dove no. Mi piace creare una musicalità nelle tracce, credo che rispecchi la mia personalità e il mio modo di vedere la musica. Sono legato al cantautorato italiano e mi ha ispirato molto nel mio percorso. Le melodie a volte vengono da sole, a volte vanno ricercate per ore ed ore, a volte non vengono e chissà dove rimangono».

In Boloricordo omaggi una città che ti ha dato tanto, umanamente e musicalmente, con tutti i suoi lati positivi e quelli più nascosti e a volte tristi. Che ricordo hai di Bologna? Ci torneresti a vivere?

«Se Bologna avesse il mare, ci tornerei ora. Scherzi a parte… amo Bologna, mi ha dato veramente molto. Tornerei volentieri a viverci per mille motivi; persone, cultura, cibo, è a misura d’uomo e potrei andare avanti per molto».

Rispetto a Requiem in questo disco hai ridotto all’osso il numero di collaborazioni. Come mai? Se dovessi fare una riedizione del disco, quali nomi ti piacerebbe inserire?

«Ho già in mente qualche nome e qualche idea. Teniamolo segreto! Sono molto geloso delle mie cose, avete preso Requiem come punto di riferimento, quando in realtà è l’unico disco con i feat della mia carriera. In tutti gli altri non ci sono, o quasi. Per me in QNEUC sono già tante le collaborazioni. Non mi piace collaborare solo per i click o le visualizzazioni. A livello di rap c’è solo la strofa di FileToy, che rappresenta a pieno il concept dell’album».

  MURUBUTU CLAVER GOLD RANCORE

C’è una tua vecchia rima che mi ha sempre fatto riflettere “spesso patetica la metrica di pance sazie”: come credi possa cambiare un artista il successo? Nel tuo caso quanto questo ha penalizzato, se lo ha fatto, la tua produzione artistica in termini di spontaneità e originalità?

«Per arrivare al grande pubblico si è costretti a semplificare; concetti, metriche, rime ed argomenti. Purtroppo o per fortuna io non ci riesco. Mi piace essere ermetico e scrivere in una determinata maniera. Mi piace la mia musica».

Hai già annunciato le prime date del tour: con quale formazione ti muoverai?

«11/11 data 0. Probabilmente mi sposterò con dj e Gian Flores alle tastiere. Mi piace che il live sia molto hip hop, preferisco un impatto hip hop piuttosto che una band che viene da altri generi. Voglio che la gente dica “cazzo questo è Rap”. Amo l’hip hop».