Il 14 dicembre scorso Dj Fasctut ha pubblicato il tanto atteso nuovo capitolo della saga targata Dead Poets, ossia Dead Poets 4 – Ad Honorem. Un disco che, come abbiamo già ampiamente discusso, racchiude al suo interno un’ottima miscela di vecchi e nuovi talenti, sapientemente declinati da Fastcut in featuring di alto livello sopra un’arsenale di produzioni davvero interessanti.
Grazie al nuovo progetto abbiamo avuto modo di confrontarci direttamente con il producer romano, per poter discutere della realizzazione del progetto, della scelta dei nuovi partecipanti e, più in generale, per confrontarsi sul senso di questa musica e sull’intenzione individuale che ne muove la creazione, di album in album. Qui di seguito potete leggere l’interessantissimo scambio che abbiamo avuto con Dj Fastcut. Buona lettura!
Approfondiamo Dead Poets 4: intervista a Dj Fastcut
Il nuovo Dead Poets è arrivato dopo due anni intensi per la tua produzione. Come hai vissuto il processo produttivo del disco?
«Ciao Filippo, grazie come sempre del supporto che ci date da anni tu e Rapologia, a nome di tutti i poeti estinti. Come vi racconto ormai da anni, la produzione di un album così ricco di artisti – ciascuno col suo stile, i suoi tempi, i suoi demoni e i suoi paletti – da combinare su beat che vadano a genio a tutti non è affatto semplice. Devo dire però che questa volta, a distanza di 8 anni dal mio primo Dead Poets, ho percepito più sicurezza e certezza in quello che facevo. Mi sono sentito più sicuro di me stesso, non dover rincorrere guest di spessore per le collaborazioni mi ha fatto lavorare sereno, con meno ansie, meno telefonate, meno email, meno burocrazia; insomma, libero da alcune scocciature ho potuto lavorare con più serenità rispetto ai dischi precedenti. Anche per questo ho fatto la scelta di realizzare un album più leggero a livello di contenuti, concentrando il tutto sulle barre e sui beattoni velenosi. Ho veramente detto a tutti “fate quello che sapete fare meglio, le barre, e fanculo il resto”»,
Sin dall’annuncio mi ha colpito quel “Ad Honorem” nel titolo. Di solito ci si appella così a chi consegue un titolo per il merito, il che è molto indicativo del perché tu l’abbia scelto. Ti va di raccontarcelo?
«Ho pensato che fosse arrivato il momento di aprire le porte del progetto agli emergenti: molti altri veterani sono stati ampiamente “omaggiati” per la loro carriera e il contributo al progetto Dead Poets, soprattutto dopo un DP3 ricco di grandi presenze. Mi sembrava perfetto produrre l’esatto opposto per il sequel. Molti giovani hanno meritato il titolo di Poeti Estinti senza nemmeno saperlo: li ho tenuti d’occhio a loro insaputa, aspettando quella scintilla che mi facesse dire “ok sei dei nostri”. È successo così ad esempio con Gabrixxx, che aveva già partecipato alla Dead Poets Battle, dimostrandomi un’ulteriore crescita l’anno successivo. Tanti altri sono ancora nei miei radar, non li ho inseriti perché non credo abbiano già fatto quello scatto necessario, ma so che stanno lavorando in quella direzione».
“L’Hip Hop è una responsabilità condivisa” rappava Kento in un vostro vecchio pezzo. Mi chiedo, quindi, senti ancora quel bisogno di assolvere una funzione sociale con la tua musica? Ricordo una tua intervista dove definivi il ruolo dell’artista come subordinato alla società. La pensi ancora così o per te oggi l’essere artista rappresenta qualcosa di diverso?
«Chiunque faccia arte ha secondo me un ruolo importante nella società. Siamo la massima espressione dei sentimenti e dei pensieri non visibili, delle emozioni impalpabili. Nel caso specifico dei rapper, abbiamo la responsabilità di trasmettere dei valori, dal rispetto all’antifascismo, e dobbiamo affrontare senza paura tematiche e argomenti che nel mercato musicale odierno ormai sembrano sempre meno centrali».
Vengo ai tuoi concerti dal lontano Under Fest 2017, al Bronson di Ravenna. Negli anni ho visto tante formazioni dei Dead Poets, tanti bellissimi eventi a cavallo tra Bologna e Ravenna ed ogni volta si respirava fuoco e passione. Quanto contano per te i live e in che modo gestisci l’organizzazione delle varie comparse? Ed inoltre, hai in mente qualcosa per le prime date del tour legato al nuovo Dead Poets?
«Organizzare uno show non è affatto un lavoro da poco, da diversi punti di vista. Senza uno staff adeguato, sarebbe impossibile gestire decine di spostamenti e alloggi; non è impossibile, semplicemente richiede più programmazione. Non tutti i ragazzi vivono di rap, buona parte necessitano di permessi dal lavoro che spesso non arrivano, quindi lascio sempre a tutti molta elasticità sulla presenza ai concerti. Entrare ulteriormente nello specifico però sarebbe un discorso molto lungo, sarebbe da affrontare con il booking. Per lo show ovviamente ogni MC ha il suo spazio; siamo tutti legati dall’album e dal progetto Dead Poets, ma allo stesso tempo ciascuno porta avanti il suo stile e la sua carriera solista. I ragazzi portano quasi sempre due brani più quello del mio album, idem per le guest. Quello che cerco di sfruttare al meglio è la scaletta, in quanto molti di loro hanno varie collaborazioni nelle loro uscite: avendoli sul palco tutti insieme, diamo priorità ai brani da poter svolgere con la formazione al completo, ed essendo veramente tanti a quasi tutti i concerti serve una rigidissima scaletta e una particolare attenzione alla gestione del sali/scendi e del backstage. Per il resto è una esperienza che è indubbiamente meglio vivere che raccontare, credetemi».
Ascoltando il disco si nota subito l’inserimento di tante nuove penne nel roaster Dead Poets. Quali sono i nomi che più ti hanno colpito quest’anno e come sono nate queste collaborazioni? Ad esempio, Djomi e Gabrix per me sono ragazzi che ho visto spesso a diversi eventi rap, super talentosi e con una presenza sul palco molto marcata. Ma mai avrei pensato di trovarmeli in DP4. Raccontaci com’è andata.
«Dead Poets 4 è il disco dei meriti, ogni artista ha un motivo valido per essere all’interno. Molti sono stati seguiti con discrezione negli ultimi due anni, altri erano vicini a me da tempo e aspettavo quel miglioramento per ritenerli all’altezza delle aspettative e in linea con il nostro pensiero di rap, al quale come sapete tengo molto. Djomi e il già citato Gabrix li ho immaginati insieme da subito, sia anagraficamente ma anche stilisticamente, ed ognuno di loro ha il suo motivo per essere nel disco».
Sempre per rimanere nella dimensione concerti: che valore ha per te l’Underfest di Ravenna? Te lo chiedo perché sono genuinamente curioso di sapere la tua dietro ad un progetto che per me, negli anni, ha dato modo di vivere e respirare questa musica a pieno. In primis, la tua.
«Lode a Moder & soci per uno dei Festival più veri e genuini dell’ambiente rap. È una gioia unica essere invitati al Fest, non solo per il prestigio dell’evento che Moder ha avuto la capacità di sviluppare, ma anche e soprattutto per la gioia di rivedere tutti gli amici del disco o della scena insieme sopra e sotto il palco. È bellissimo avere la possibilità di scambiare due chiacchiere a tavola o dopo live in riva al mare, discutere e dibattere di uscite strategie di marketing o di produzioni nei salotti delle interviste, avere contatto diretto con i fan in una circostanza meno stressante come i normali concerti. All’Underfest ti godi la serata con una serenità rara negli eventi rap, è come se fossero sempre le 4:20!»
Chiudo con una domanda verso il futuro. Ora che DP4 è fuori sicuramente ti aspetterà un periodo denso di eventi legati al disco. Tuttavia, in prospettiva, cosa ci possiamo aspettare da Fastcut nel 2024 e negli anni successivi? Hai già una “roadmap” per i prossimi progetti?
«A parte il tour e qualche altra sorpresa, ho sempre in mente altri progetti e lavori. Parlando del “Piano Dead Poets”, non siamo nemmeno a metá strada, le idee sono tante e la voglia di mettersi in gioco su vari fronti non manca. Gli artisti sono tanti e di beat e scratch ne abbiamo e avremo a non finire per molto tempo, ho due nuovi collaborati che sono molto in gamba e abbiamo un bel progetto legato alla musica. Credo che i fedeli della setta saranno felici, aspettatevi ancora molto da me e dalla Dead Poets Army. Ultimo, ma non ultimo appunto: FREE PALESTINE. Come sempre vi ringrazio di aver ascoltato il disco, di avermi intervistato e di essere un sano magazine, vi aspetto live per offrirvi da bere».