Rubo ci ha raccontato Infinite Beats (e non solo)

Rubo Infinite Beats album

Rubo ci ha raccontato Infinite Beats: gli artisti, i brani e i momenti che hanno costruito quello che oggi è un classico senza tempo.

Tutto è iniziato in un’afosa mattina di luglio, con una storia pubblicata da Nerone su Instagram che conteneva il pezzo No Passion di Jack The Smoker e Marracash, invitando i due artisti a replicare le fortune di quel pezzo. Un brano di un’intensità sconvolgente che mi ha ricordato Longevity di Ensi, che lo stesso artista aveva tirato in ballo in un’intervista per descrivere la sua carriera musicale, contenuto anch’esso nel medesimo progetto.  Inoltre, era già da un po’  di tempo che mi stuzzicava l’idea di riportare alla luce alcuni classici del rap italiano: ma non quelli che tutti conosciamo ed i cui protagonisti lo sono ancora oggi, piuttosto quella tipologia di dischi che si trovavano nel posto giusto ma al momento sbagliato. Infinite Beats di Rubo era in cima a questa lista per svariati motivi.  

Dentro Infinite Beats troviamo quantità e qualità come raramente accade: oltre ai già citati artisti troviamo  Paura, Amir, i Co’Sang, Mondo Marcio, Clementino, GhemonRayden e Raige. Ed è così che i commenti diventano superflui riguardo lo spessore della gente presente all’interno del discononostante sia divenuto vittima di un tempo che spesso consuma e disperde, a volte dimentica.  Un disco che chi non conosce dovrebbe recuperare, assaporandone le atmosfere, gli stati d’animo e il contesto, che sembrano appartenere ad un passato più lontano del 2006, anno in cui ha visto la luce.  

Dicevamo, la scintilla è nata quasi casualmente. Il problema era riuscire a rintracciare Marko Ruberto, in arte Rubo, sul web. Le ricerche su Google non hanno portato i frutti sperati, fatta eccezione per una mail contenuta in un articolo a lui dedicato da noi ai tempi di HipHopRec, che a fine pagina riportava: [email protected]. E se è vero che nulla accade per caso, quella mail era insperatamente attiva e la risposta di Marko non ha tardato ad arrivare, portandomi a scoprire gradualmente una persona piena di passionedisponibile nel raccontarmi la sua storia nell’Hip-Hop italiano nonostante di tempo ne sia passato parecchio e le priorità siano mutate prendendo nuove strade.  L’idea di una classica intervista si è così trasformata in uno scambio frequente di opinioni, sensazioni e punti di vista inediti tra il sottoscritto e Rubo, tant’è che quello che ne è venuto fuori è un vero e proprio flusso di pensieri riguardante i più disparati argomenti, dalla nascita di infinite Beats sino ad un onesto confronto sull’attuale momento della scena italiana (con l’apertura di un piccolo spiraglio da parte del producer – che nel frattempo ha cambiato nome d’arte e genere come leggerete in seguito – su un suo possibile ritorno in scena). 

Lasciamo quindi spazio alle parole di Rubo, che siamo sicuri essere più interessanti e coinvolgenti di qualsiasi altro tipo di preambolo.  

Ciao Marko. Dove sei stato per tutto questo tempo e cos’è cambiato da allora?
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Guarda io non posso che ringraziarti per la considerazione, fa piacere a distanza di anni non essere stato dimenticato, significa che qualcosa di buono al tempo è stato fatto. Sono fuori dai giochi da parecchi anni, penso almeno dal 2010… perché mi sono avvicinato ad altri generi elettronici che faranno strano a qualcuno ma che in realtà ho visto integrare da tanti produttori sia con la trap che nel pop vero e proprio, in questo trend degli ultimi anni.

Non ho mantenuto RUBO come pseudonimo ma mi trovi in giro come Marko Ruberto proprio perché volevo distinguere le cose e non sfruttare il progetto precedente che mi ha visto coinvolto per 11 anni.   

Riguardo le produzioni e la nuova scena chiaramente non sono sordo, qualcosa mi è arrivato e seguo, c’è molta roba interessante e nomi che magari mi ascoltavano ed oggi avrei voluto produrre, però è anche chiaro che non avrei fatto beats come 10, 13 anni fa, per me è importantissima l’evoluzione, ho sentito dibattiti tra nuova e vecchia scuola e per quanto uno possa pensare che avendo io un approccio classico mi sono fermato al pensiero del 1998, sono invece il primo che apprezza le produzioni di oggi, la freschezza e la capacità di rinnovarsi di alcuni. Noi avevamo molte regole, che mi hanno fatto bene e che osserverei ancora se dovessi tornare indietro e rifare tutto, questa è stata la forza di alcune produzioni e allo stesso tempo anche il punto debole purtroppo che non mi ha permesso di accedere ad un pubblico easy listening ma a chi come me avesse voglia di scavare e andare più oltre della media.   

Passiamo ad Infinite beats. Raccontaci del disco, come è nato, come hai contattato gli artisti, le sensazioni che c’erano allora. Insomma, tutto quello che ti viene in mente e che valga la pena far conoscere ai nostri lettori.

«Quando ho preparato il disco ricordo che avevo una possibile lista dei nomi dei rapper che avrei voluto nel progetto. Alcuni di questi erano nomi con i quali avevo già lavorato perché mi avevano chiesto dei beat per i loro progetti mentre altri li avevo conosciuti a Milano alle serate dello Show Off. 

Show Off era un appuntamento infrasettimanale organizzato da Rido e Bassi che in quegli anni mi hanno dato la grande possibilità di mettermi in mostra, una sorta di microfono aperto anche per i beatmakers. Penso ad Ensi, suo fratello Raige e Rayden che venuti a Milano proprio in occasione di una di quelle serate, mi avevano conosciuto e chiesto produzioni per Sotto la Cintura, ancora oggi vado fiero di aver prodotto quasi la metà di quel disco, era un periodo in cui, ispirato molto ad Alchemist che aveva prodotto 6 beats per un disco degli Infamous Mobb, volevo anche io contribuire in modo massiccio al disco dei One Mic, una sorta di trasposizione italiana di vari MC con beatmaker esterni. 

Quando i One Mic mi hanno ricambiato il favore per il mio disco solista ho voluto separarli nelle tracce proprio perché avevamo già lavorato molto insieme. Queste nuove combinazioni le ho trovate innovative e, così come ho intuito che tutti e 3 insieme fossero una potenza a quell’epoca, allo stesso tempo percepivo che in futuro ognuno avrebbe poi intrapreso strade soliste. 

One Mic

Mondo Marcio veniva alle serate di Show Off e da li a poco sarebbero iniziate le famose sfide freestyle contro Ensi, un po’ Rocky contro Ivan Drago. Parlavo tanto con Marcio e ricordo che in quello stesso periodo stava progettando il suo primo disco che sarebbe stato prodotto da Bassi. Ricordo bene che una volta l’ho portato con me a Brescia da Beppe, il mio fornitore di vinili, e qui devo necessariamente aprire una parentesi perché senza l’aiuto di Beppe non avrei mai trovato certi dischi originali. L’ho conosciuto grazie a FatFatCorfunk in occasione di una fiera a Novegro. Negli anni successivi Beppe ha cominciato ad accogliermi a casa sua per farmi ascoltare tutto il materiale a disposizione che gli arrivava (compreso quello della sua collezione personale) fino a lasciarmi svariati crates di vinili che potevo ascoltarmi a casa in tranquillità per poi restituirgli quello che non mi interessava e comprare quello che volevo trattenere, non solo sample che mi sarebbero serviti per comporre ma anche LP di una certa importanza (sample già utilizzati che ho scoperto con gli ascolti e non su internet), ma poi gli stessi dischi che erano, sono e rimarranno meravigliosi, anche se al loro interno non c’era necessariamente qualcosa da campionare.  Acquistavo a dei prezzi assolutamente onesti, quasi al loro costo, è stato un privilegio avere una possibilità del genere perchè nelle mille difficoltà dell’aver scelto di produrre campionando esclusivamente da fonti originali ho avuto la fortuna di conoscere un grande esperto di musica black che mi ha dato fiducia, consigli e materiale di qualità incredibile. 

Altro bellissimo ricordo è quello dei Co’ Sang: quando sono stati a Milano per suonare coi Dogo ebbi occasione di parlare solo con Luchè, mentre successivamente ci siamo scritti di più con Nto‘, da entrambe le parti molta umiltà e un talento che oggi tutti possono riconoscere. Un aneddoto su Mantien a Cap fu che inizialmente il beat era differente e quando ci sentimmo con Luchè mi disse che non ne erano impressionati ma ci avrebbero scritto ugualmente. Non potevo permettermi artisti non contenti o non convinti delle musiche dove stavano rappando, così decisi di impegnarmi maggiormente ed approfondire la ricerca, dovevo trovare il loop della vita cercando di farlo girare al meglio, e così è stato perché poi tutti ne eravamo entusiasti, compresa la risposta del pubblico all’uscita del progetto. Mi aiutò mia mamma (R.I.P.) a riportare il testo su Rap TXT essendo lei di origini di Caserta e NTO’ ci fece i complimenti per averlo trascritto quasi tutto correttamente in napoletano, cosa non semplice. 

Co'sang

Tutto questo si è verificato anche con il brano di Clementino Bhe Fratello, E so dieci anni dove insieme abbiamo deciso di optare per un beat più funk con un doppio sample di Billy Butler, mentre sul brano di FatFatCorfunk la cosa andò diversamente perché lui scrisse sul primo beat proposto e fui poi io a convincerlo ad usarne un altro migliore che secondo me si legava meglio proprio al testo che aveva scritto, anche in quell’occasione io fui molto molto contento del risultato finale e E altri madri piangon dietro le finestre rimane uno dei miei brani preferiti all’interno di quel disco, per testo, interpretazione e per beat.  FatFat ha prodotto gli scratch di Longevity sul brano di Ensi, mi ha consigliato molto su come muovermi ed è, nel bene e nel male, la persona che mi ha mostrato il percorso più duro da intraprendere, altri mi hanno consigliato scorciatoie e furbate per evitare la parte dolente.

Oggi non so come pormi nei confronti dell’approccio nella produzione, è evidente che nel 2019 i discorsi che facevamo agli inizi del 2000 sono morti, eravamo in pochissimi allora e credo che non sia rimasto nessuno oggi con un approccio del genere sulla costruzione di un beat. Probabilmente quello che mi ha portato poi a lasciare, è stata anche questa anarchia e questo poco rispetto, le regole non scritte c’erano e mi sentivo in dovere di osservarle perché qualcuno che era nella scena da più anni di me avrebbe potuto farmi i complimenti oppure bacchettarmi dicendo che stavo sbagliando completamente. 

La scelta era personale, così come nella vita, se trovi un portafoglio puoi decidere di prendere i soldi e gettarlo oppure di restituirlo a chi l’ha perduto, dipende da cosa ti fa sentire meglio. Nel caso del sampling mi appagava tantissimo aver fatto determinate scoperte in totale onestà, senza trucchetti, esserci arrivato per merito, esserci arrivato dopo mesi di ricerche perché gli dava più gusto e dava enorme soddisfazione. Era un po’ anche quella la chiave di tutto, lo scavare per poi trovare oro o diamanti, l’assemblare con i singoli elementi, una cassa presa da un disco, un rullante all’inizio di un altro brano, ecc. Oggi mi rendo conto anche di quanto potesse essere noioso un approccio del genere, forse ci si concentrava troppo sulla ricerca e poco sulla qualità del suono, infatti ascolto beats come Fuck Tomorrow con Guè Pequeno e FatFat e penso si poteva fare meglio. Ok, il sample era raro, ma a distanza di anni dico che in casi come questo avrei preferito qualcosa di più nitido che avesse dato maggiore spazio alla comprensione dei testi e all’intellegibilità di tutti gli elementi del brano.  

Essermi dedicato dal 2012 ad oggi alla produzione elettronica mi ha proprio fatto capire questo e mi ha dato quel senso di completezza, quella pulizia che un tempo non c’era perché era tutto molto più raw. Ad ogni modo dovessi tornare indietro, farei esattamente come ho fatto ai tempi e cioè costruirei ricercando gli strumenti dal vinile, li riassemblerei, con l’esperienza di adesso farei più attenzione alla qualità, alla precisione del taglio, alla convivenza tra la musica e la parte rappata. Lo so è normale a distanza di anni accorgersi di tanti piccoli errori e pentirsi di alcune scelte tecniche, il disco Infinite beats è stato studiato ma anche nei progetti più schematici c’è sempre l’imprevisto oppure alcune cose non vanno come uno le ha programmate e come se le immaginava. Personalmente ho col tempo abbandonato gli schemi e l’approccio scolastico alla musica, è probabile che umanamente non sia possibile avere tutto questo ordine, si perde la libertà che è la parte bella che la musica offre, è anche vero che la cosa che poi mi ha contraddistinto nelle produzioni e in particolare in quell’album è stata proprio questa ricerca di un soul estremo, di certe atmosfere deep, catturate dal vinile e lavorate assieme a delle drum personali ed altri elementi ritmici, effetti, ecc sempre derivate da centinaia di ore di ascolti e polvere sulle mani. 

Marracash

Ripetere un progetto del genere oggi sarebbe quasi impossibile. Basti pensare a determinati featuring come Marracash e Guè Pequeno, quasi irraggiungibili per il tipo di carriera che hanno poi intrapreso e per il successo che hanno avuto soprattutto negli ultimi 5 anni, fa un certo effetto vedere alcuni di loro a Sanremo. È cambiata proprio la scena perché nel momento in cui facevo i primi beats era un periodo praticamente morto per la discografia Hip-Hop italiana, era un genere che non andava di moda, prendevano per il culo per l’abbigliamento largo, venivi paragonato ad Eminem o Jovanotti, questi erano gli stereotipi dell’italiano medio. Oggi non dico che la situazione sia migliore, sicuramente però questo trend ci ha dimostrato che la discografia si è accorta che non esistono solo Laura Pausini e Alex Britti e che possono esserci serie possibilità di lavoro. 

Per me furono mesi duri e non nascondo che sulla fase finale ero molto stressato, stavo lasciando il lavoro, ho sempre tenuto in parallelo musica e lavoro. Nel 2006 mi sono trovato di fronte ad un bivio perché stavo seriamente pensando di intraprendere una carriera musicale, ci sarebbe voluto molto coraggio che non ho avuto e che non ho ancora oggi e questo sarà sempre il mio dilemma poiché nel lavoro ho trovato una tranquillità economica ma non la libertà di essere pienamente me stesso, nella musica invece pochi guadagni (la figura di producer poi ancora peggio) ma la libertà di gestire come vuoi il tuo tempo. 

Sono stato contentissimo che l’etichetta discografica ci avesse dato il privilegio di uscire con una Major come Universal per la stampa e la distribuzione. Nei mesi successivi all’uscita il CD era ovunque persino in posti impensabili come Mediaworld, erano i tempi in cui non c’era ancora Facebook, il social network si chiamava Myspace e mi scrivevano da tutta Italia per complimentarsi, per chiedere collaborazioni o per criticarmi: devo dire che grazie a Dio di hater ce ne sono stati pochi, ho proprio notato che si trattava puramente di gente insoddisfatta della propria vita che doveva rompere i c*glioni a tutti i costi, dei pazzi che poi ti capitava di incontrare dal vivo e avevano atteggiamenti opposti. Tra tante persone che mi avevano conosciuto grazie all’uscita di Infinite beats vi era anche Fedez che venne a casa mia e scelse 2 beat per un suo demo: sorrido oggi quando lo racconto perché lui, come tanti altri che sono passati da me, è riuscito a diventare così conosciuto e non ci avrei mai scommesso. Nonostante tutto, tra mille aspetti positivi che mi avevano dato molte soddisfazioni si vedeva una scena ancora poco formata ed ho sempre detto anche in altre interviste che sembrava una bomba inesplosa. Sapevo che in futuro qualcosa sarebbe successo: l’Hip-Hop aveva una forza diversa, tutto ciò che vi ruotava attorno era troppo bello confrontandolo invece con altri generi, si portava dietro l’energia della musica black, la profondità di certe atmosfere, lo stesso sampling rappresentava il fatto che doveva esserci una continuazione, recuperando le parti migliori del passato, prendendo alcuni estratti di un brano o addirittura talvolta creando proprio delle covers, tanto per usare un’espressione volgare ma che rende l’idea. 

Mai come nell’Hip-Hop si è fatto tanto uso del sampling, è qualcosa che mi ha sempre attratto e che in realtà mi è arrivata prima con dei brani French House (sul finire degli anni 90) e poi mi ha portato ad entrare a contatto con la scena e capire tutti i meccanismi del beatmaking. 

Oggi vedo un mondo Trap che sicuramente ha tanti aspetti che mi attirano riguardo la produzione musicale, per esempio l’oscurità di certi synth, la programmazione delle drum rappresenta una novità perché sono innovative, abituato al classico range 90-95 BPM, parliamo in realtà di un altro genere che non so nemmeno se definire un’evoluzione dell’Hip-Hop. Quello che posso dire è che lo apprezzo: nella parte rappata ci sono tante cose che mi fanno sorridere come la superficialità di certi testi, “ai nostri tempi” non era concesso non chiudere le rime, tutto era improntato sugli incastri, sul flow, sulla tecnica, questo però non arrivava a chi non era del mestiere, oggi è più easy listening più alla portata di chi non vuole sbattersi ad approfondire, non so se è un bene o un male, non so nemmeno se doveva esplodere in questo modo non propriamente Hip-Hop, forse si tratta di una fase, di un trend che durerà qualche anno, forse ritornerà quel suono di un tempo, rispetto ad allora ho una mentalità più aperta. Come detto, tornando indietro non modificherei l’approccio alla produzione ma rivedrei un atteggiamento (dettato anche dalla giovane età) che mi portava spesso a non tollerare il punto di vista altrui, ricorreva spesso la frase “conta quello che esce dalle casse“, ed io in questo ci vedevo superficialità, un po’ quello che succede oggi. Per carattere mi interessava sempre scoprire cosa ci fosse dietro, più a fondo, sono senza dubbio curioso ed anche se oggi ho modificato il modo di mettermi al lavoro, cerco sempre di mantenere quella ricerca ed impegno che non ho mai tradito. 

Se oggi potessi rifare Infinite Beats, quali artisti porteresti con te? 
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Parlando di nomi direi subito Tedua che é uno di quelli che mi ha maggiormente colpito nonostante fossi concentrato su tutt’altro e non seguivo assiduamente cosa stesse succedendo. Mi piace il suo stile, la forte personalità ed energia che trasmette, si distingue dagli altri e distinguersi è una delle mie filosofie di vita. I brani che ho sentito erano prodotti da Chris Nolan e Charlie Charles, quest’ultimo è un nome diventato enorme per la quantità di hit rilasciate. Ho notato che adesso si  più importanza alla figura del produttore, paradossalmente però ho fatto più attenzione ai rapper che ai beatmaker. Mi piacciono Vegas Jones, Lazza, Young Rame, Speranza,  tra i veterani dico Guè ovviamente perché ha saputo rinnovarsi e ha fatto brani sempre diversi tra loro, lo stesso vale per  MarracashVacca ha fatto una bella evoluzione ed ha contribuito alla crescita di altri artisti potenti come Jamil. Anche Luchè passando dal napoletano all’italiano ha fatto un bel cambiamento, resettare è una scelta coraggiosa che ammiro. Ho ascoltato molto Rkomi, originale nella composizione dei testi, concetti scollegati che fanno rima. 

Non posso non menzionare uno di quelli del momento che è Massimo Pericolo, ha avuto qualcosa nel modo di scrivere e nelle tematiche che ha subito catturato la mia attenzione, accompagnato sempre da produzioni azzeccate di Phra Crookers, uno che nel suo percorso artistico mi ha ispirato, fare musica non equivale a rimanere confinato in un unico genere. Sempre a proposito di produttori quelli che hanno continuato ad incuriosirmi sono stati i lavori dei 2nd Roof, The Night Skinny, Don Joe, anche qui capacità di sopravvivenza attraversando periodi musicalmente diversi, penso sempre che in una possibile vita lavorativa alternativa mi sarebbe piaciuto stare in un team di produttori come Dogozilla Empire.  

Immaginare un vero e proprio remake del mio disco con questi nomi è un’idea molto lontana, come dicevo poco fa, vuoi per lo spessore che hanno raggiunto alcuni, vuoi perché tutti si aspettano che il suono che avevo sia rimasto lì ed è sufficiente scongelarlo, ma in verità non mi sono mai fermato, ho proseguito in un altro percorso quindi mi trovo più vicino ad un suono del momento che all’Hip-Hop più classico, potrebbero riconoscermi in alcune caratteristiche che non ho perso ma tante cose sono cambiate per fortuna! Se questo disco uscisse oggi penso salterebbe subito all’occhio la parte estetica, gli ospiti, le collaborazioni. Fa più notizia annunciare un featuring e vedere una foto su Instagram che lo preannuncia piuttosto che il brano di per . Riguardo la musica direbbero che suona vecchio, ed è normale perché già 10 anni fa di certo questo non era il sound più modaiolo e non era semplice ravvivare dei sample che avevano già 30 anni; il sample poi è frutto di una ricerca ma realizzare delle melodie partendo da sè stessi, dalla propria mente, è qualcosa di più personale ed unico. È questo quello che mi aspetta, proverò a mettermi in gioco perché devo convincere me stesso prima che gli artisti citati, alla base il motore di tutto sarà sempre la musica. 

Ti ringraziamo per la disponibilità, e non vediamo l’ora di risentirti, magari a breve dentro qualche progetto. 

Ed è proprio durante la stesura di questo articolo che sono accadute delle coincidenze particolari, come Rubo che incontra casualmente Guè Pequeno a Malpensa dopo tantissimi anni, come l’annuncio di progetti ambiziosi da parte di producers di spessore come Night Skinny e Don Joe, citati dallo stesso Rubo.

Che questa sia la stagione dei produttori lo sappiamo bene, accade già da un po’ di tempo a questa parte che condividano il ruolo da protagonisti con gli artisti. Adesso anche loro hanno acquisito la giusta importanza, in grado di portare avanti la passione e lo spessore di altri colleghi, che in passato o in contemporanea, hanno messo tutto dentro la musica non per soldi, né per fama, né per potere. Infinite Beats a nostro parere, continua a rientrare ancora oggi in quella categoria. 

Foto gentilmente concesse da Rubo.
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