“Daytona” è l’esordio di una nuova era targata Kanye West, firmata da Pusha-T. Il disco è stato interamente prodotto da West e vede le collaborazioni dello stesso e di Rick Ross.
Allora Kanye West non scherzava affatto. Non scherzava sul fatto che giugno lo avrebbe visto protagonista, nei panni del produttore di alcuni dei lavori più attesi del 2018 nel mercato U.S.A. In molti credevano che si trattasse soltanto di rumor visto che il sig. Kanye sembra costantemente in preda ai deliri di una lucida e pretenziosa follia. Tralasciando il cattivo gusto del: “Slavery is a choice”, Kanye West ha comunque mantenuto la parola. “Daytona” di Pusha-T è l’esordio di questa nuova era targata Yeezy, con la dichiarata intenzione di stravolgere le leggi del mercato ed i suoi canoni artistici, ancora una volta.
Chiariamo alcune cose in primis. “Daytona” dichiara Pusha un “King” nonostante il titolo del progetto non sia più “King Push”. Così come è cambiata la cover del progetto, forse concordata già da tempo, dopo una telefonata in piena notte di “Sua maestà”, Yeezy:
“Cambiamo la cover. Ho appena comprato i diritti della foto del bagno d’hotel in cui è morta Withney Houston, per 85 mila dollari”.
Chiamata terminata, con Terrence che non ha neanche un secondo per dire la sua. Al 90% i fatti si saranno svolti in questo modo. Ve l’abbiamo detto che Kanye West non riesce più a mantenere il controllo ultimamente.
Le reazioni sui social in seguito a questa scelta sono stati molteplici, tra chi accusava i due di aver mancato di rispetto all’artista deceduta e chi ne esaltava un tale azzardo. A primo impatto, ciò che abbiamo pensato un po’ tutti al riguardo è stato sicuramente: “C’entra qualcosa col disco?”. La scelta in realtà non è stata chiaramente spiegata. Sarebbe piuttosto da accostare a quella data da Pusha T sul nuovo titolo dell’album: un iperbole che risulta essere tanto d’effetto quanto “paraculo”:
“Il disco si chiama Daytona perché io ho il lusso del tempo, ed il tempo è una droga”.
Aldilà di principi morali ed etici, la scelta stilistica di Kanye è obiettivamente di caratura massimale. Sicuramente una delle cover più particolari dell’ultimo decennio di rap (insieme – pensate un po’ – a “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”).
(Ricordiamo inoltre che Daytona è il modello principe dei Rolex. Peccato che questi ultimi da simboli di esclusività assoluta – ultimamente- siano passati in mano persino al liceale che ha bisogno di mostrarsi in un certo modo con i suoi compagni…).
“Daytona” di Pusha-T è una bomba. È un disco che riporta in vita tutti quelli che possono esser considerati gli stilemi del rap per definizione, oggi troppo spesso trascurati: principalmente sample e barre, barre vere. E lo fa con stile.
Sia chiaro, Pusha-T non è l’unico ad aver fatto uscire un album RAP nel 2018, ma..
Da studiare nelle più prestigiose scuole di marketing la scelta sua e di Kanye di inserire solamente sette tracce in un progetto che è atteso da più di tre anni. Ancor di più azzardata la scelta di uscire lo stesso giorno di un altro mostro “self-made” come ASAP Rocky.
Entrambi sanno bene che la musica si è evoluta insieme ai suoi ascoltatori. I dischi ormai li ascoltano in pochi, sono quasi un privilegio. Oggi serve la playlist, la hit, l’heavy-rotation. Come si aggira questa situazione? Attuando una rigida selezione di brani da inserire in uno degli album più attesi della storia recente del rap. Come se il margine d’errore non esistesse, come se il fatto che proprio questa scelta lo faccia diventare un instant-classic.. E forse andrà proprio così. E non l’ha chiamata appunto “Playlist” per non scomodare qualcun altro che sta ai piani alti. A quello ci ha pensato Pusha in “Infrared”.
“Sì ma i beat sono mosci!”.
Ok, sicuramente il livello non è quello di brani fuori dal coro come “Numbers On The Board” o “ H.G.T.V. FREESTYLE”, veri e propri deliri stilistici. Qualche giorno fa, qualcuno, parlava di “riduzionismo” come conseguenza dell’espressione satura che il rap di oggi ha portato. Per descrivere un tale processo si prendeva ad esempio “Die Lit” di Playboy Carti, forse sopravvalutando il progetto.
Noi, invece, proviamo ad accostare questo “fenomeno” minimalista alle produzioni di Kanye, alle quali fanno da contraltare le pesanti liriche di Pusha-T.
Per farlo, rendiamo ad esempio il brano “Hard Piano” che – a prova di linciaggio – sin dalle prime note, potrebbe sembrare un maldestro tentativo di un neofita di creare una scala melodica con FL Studio, aggiungendo qualche batteria qua e là (nonostante la raffinata scelta del sample che trovate qui). Il punto è che questa “melodia scarna” non è affatto casuale, perché un artista come Kanye sa bene cosa ci si aspetta da lui ed è ben consapevole del peso che porta anche solo il suo stesso nome. Come Pusha ha testimoniato in seguito:
“Avevo un’ampia selezione di beat di diversi produttori per il nuovo disco, fino a quando un giorno Ye mi dice: amico, ho pensato che le mie strumentali saranno sicuramente meglio di tutta quella roba che ti hanno mandato.”
Neanche il tempo di elaborare una scelta simile che Pusha entra con:
“Never trust a bitch who finds love in a camera,
she will fuck you, then turn around and fuck a janitor”
.. e tutte le perplessità vanno comodamente a farsi un giro. Nella stessa entra poi Rick Ross che – esattamente come accade per “MBTDF” – caccia fuori uno strofone da annoverare tra BIG THING di questo 2018.
Stesso discorso da applicare alla traccia d’apertura “If You Know You Know”, già di per sé molto eloquente – seppure quel beat suoni nuovamente come “già sentito” – ma impreziosita da rime del calibro di:
“The company I keep is not corporate enough
Child Rebel Soldier, you ain’t orphan enough
A rapper turnerd trapper can’t morph into us
But a trapper turned rapper can morph into Puff”
Un disco così e da ascoltare con approccio accademico, quasi religioso, come la traccia “Santeria” suggerisce. Perché le barre sono tutto ciò di cui il rap oggi ha bisogno, come è sempre stato. Kanye e Pusha se ne fregano delle 808, dell’auto-tune, del chorus, del bridge, di Lil Dick e di Lil Frankie. Il rap ha bisogno di questo disco per ricordare a sé stesso perché – per molti- questo genere avrà sempre una marcia in più degli altri. Non è solo musica. È arte, è provocazione, è scandalo.
Non a caso, la traccia conclusiva – “Infrared”- racchiude in sé tutta la volontà di “DAYTONA” di essere ricordato come un disco rap nel pieno delle sue barre, a dispetto di quanto lo stesso Pusha ha affermato sulla scarsa importanza che le liriche ricoprono oggi:
“Let Steven talk streamin’ and Shazam numbers
I’ll ensure you gettin’ every gram from us
Let’s cram numbers, easily
The only rapper sold more dope than me was Eazy-E”
Come la chiude Pusha? Aldilà dei dubbi sul fatto che Terrence Thornton sia stato realmente un drug dealer o meno, una punchline simile non può che essere applaudita.
“The only rapper sold more dope than me was Eazy-E”. Da brividi.
Kanye West – presente in “What Meek Would Do”- ha affermato più volte di volersi candidare presidente degli Stati Uniti, si è dichiarato Dio in terra, ha tradito le sue stesse origini ed ha intrapreso le strade più controverse possibili. Sappiamo bene che è privilegio degli artisti volersi costruire un mondo ad hoc, che rispecchi il loro ego a qualsiasi costo. Anche a costo di perdere di vista la realtà. Per farlo, Kanye si è servito degli “apostoli” di cui più si fida, in modo da spargere il verbo dappertutto, e che si sparga per bene, chiaramente, a caratteri CUBITALI.
La differenza sostanziale con le sacre scritture, però, risiede negli apostoli scelti, che non si limitano soltanto ad enunciare gli “insegnamenti” per filo e per segno. Piuttosto li elaborano, li modellano e ne forniscono una personale interpretazione che non necessariamente rispecchia l’originale.
In un’intervista Pusha-T ha affermato come fosse in totale disaccordo con le ultime dichiarazioni di Ye. Ma non è forse il pluralismo e le visioni differenti delle cose che rendono il mondo tanto imprevedibile quanto vario? Se non fosse così ci si annoierebbe a morte.
Come ci si annoierebbe a morte se quest’anno non fosse uscito “Daytona”. Forse non diventerà una pietra miliare, ma farà sicuramente parlare di sé, e lo farà per le barre e per la cultura.