I deliri del giovane Pufuleti – Recensione di Catarsi Aiwa Maxibon

Pufuleti

Catarsi Aiwa Maxibon è la seconda fatica di Pufuleti, il rapper più stralunato che ci sia.

Basi minimali, liriche irregolari a sostegno di un flow atipico quanto solido, genio e carisma da vendere al servizio di un progetto talmente surreale da non avere eguali nel panorama hip hop italiano. Pufuleti, al secolo Giuseppe Licata, torna sulle scene, per La Tempesta Dischi, col suo secondo lavoro ‘tricolore’, ovvero Catarsi Aiwa Maxibon. Che segue l’acclamato – dalla critica, almeno – Tumbulata nonché tutto il lavoro sfornato in lingua tedesca all’epoca della sua permanenza in Germania, a nome Joe Space.

Siciliano di nascita e, per l’appunto, tedesco di adozione (si trasferì con la famiglia in terra teutonica in tenera età), Pufuleti rappresenta un unicum tra i rapper nostrani, un artista capace di dare corpo ad un immaginario tanto bizzarro quanto, a suo modo, fascinoso.

Pensate ad una puntata di Blob o, ancor meglio, di Cinico TV, ospitato ai tempi proprio dalla trasmissione ideata dal duo Ghezzi-Giusti (guardacaso, anche quella finestra di assurda genialità portava una firma siciliana, della premiata ditta Ciprì & Maresco). Condite il tutto con una pioggia di televendite della tv commerciale a cavallo tra gli anni ’90 e i 2000. Mescolate e otterrete il melange pazzoide di un battitore libero dirompente come pochi.

La scrittura è talmente fuori dagli schemi da far pensare, più che a qualche esponente in particolare della scena rap, a certi esperimenti messi su carta da Aldo Nove, ad esempio con la sua delirante raccolta di racconti denominata Superwoobinda. Una raccolta che prefigurò, in maniera quasi inquietante, l’epoca nera dei delitti domestici.

Il mondo di Pufuleti non è così drammatico e chissà se sarà in grado di generare degli epigoni. Difficile. Ma la stranezza programmatica del Nostro, certe atmosfere visionarie e un po’ malate sono impossibili da ignorare, e questo fin dal primo ascolto. Se con Tumbulata il Pufu aveva fissato le coordinate del suo progetto artistico, con questa seconda opera il rapper siculo-tedesco compie un ulteriore scatto in avanti.

Arduo scegliere un brano su tutti ma, a giudizio di chi scrive, ce n’è uno che si staglia su tutti. Tatzlwurm (se vi chiedete cosa diavolo è, basta ricorrere a Wikipedia: una creatura leggendaria dell’arco alpino, descritta come un lucertolone con quattro o due sole zampe corte e la coda tozza) ti rapisce da subito: un flow in apparenza pigro ma terribilmente incisivo, sorretto da una tipica ritmica hip hop, va ad impreziosire un pezzo che ricorda vagamente certe produzioni ‘lunari’ di Madlib.

“Io dal sud, lei maiala, piego le gambe come le montagne dell’Himalaya”

“Fanc*lo ai Maya, parto cesario”

“Umberto Smaila, Catarsi Aiwa Maxibon”

Tra gli altri brani degni di nota, vanno citati BBC Cocau, traccia numero due di un disco tanto breve (una ventina di minuti scarsi di durata) quanto centrato, sebbene in maniera quasi inclassificabile; la jazzy Montecore, l’eterea Catafratto con l’epica frase “Non si lecca dalla parte sbagliata il Maxibon” e l’ossessiva Post Piscina 99 col suo flow torrenziale. Interessanti anche i due episodi – Gizeh e Super Play-Doh – con il featuring (l’unico dell’album) del degno compare Sean Lightfoot: spicca soprattutto il primo brano, grazie ad atmosfere quasi alla Madvillain, progetto mai troppo lodato del già citato Madlib in coppia con MF Doom, maestro indiscusso dell’underground rap. Pufuleti, che pure per carisma e unicità stilistica non meriterebbe di essere accostato a nessuno, potrebbe diventare un po’ il Doom nostrano.

Con la sua voce querula, sullo stile del compianto Joe Cassano, e i testi alla Uochi Toki, Mister Licata ha già lasciato un segno indelebile sulla scena italiana, affollata di gente che troppo spesso ci propina contenuti banali, ruffiani e francamente dimenticabili. Di dimenticabile, invece, Pufuleti non ha proprio nulla.

I beatmaker della crew C.O.T.A., tra cui Wun Two, già sodale dell’artista agrigentino nel periodo Joe Space, e la direzione artistica di Lapo Sorride del collettivo Misto Mame (che sponsorizzò il Pufu all’epoca del suo rientro in Italia) contribuiscono ad irrobustire un progetto semplicemente impareggiabile.

Con la speranza che possa continuare a crescere e a sfornare altre perle del genere.