La gloria di Paky: dalla strada per la strada

Paky

Vincenzo Mattera, in arte Paky, sta facendo parlare di sé già da un po’. Grazie al suo stile crudo e diretto ha infatti monopolizzato gradualmente discussioni e classifiche degli addetti al settore e del pubblico. Ma come ci è riuscito? Cosa ha di diverso dagli altri?

Paky e la credibilità di strada: un binomio che funziona

Paky è entrato con prepotenza nella scena rap italiana. E lo ha fatto a suo modo, senza elemosinare attenzioni, ma con delle liriche che vanno così dritto al punto che quasi ti disturbano e che rivoltano come un calzino il clichè del finto gangsta rapper italiano.

Che Paky viene dalla strada invece lo percepisci già da come entra sul beat: ci senti il profumo d’asfalto, la ferocia dell’interpretazione e lo struggle del suo vissuto.

Nella scena attuale molti dei suoi coetanei che si cimentano nel rap attingono un po’ da tutto, provando a creare una narrativa che possa andare bene al grande pubblico: dalle solite love story alla “classica” detenzione per spaccio. Il problema è che spesso e volentieri quel che ne viene fuori è la copia trita e ritrita di qualcos’altro, finendo presto per ingarbugliarsi da sola in un mare di niente.

Non è che devi aver avuto per forza un vissuto travagliato per raccontarti, ma oggi tutti vogliono finire in strada piuttosto che togliersene. Questo perché non c’è consapevolezza del pericolo che emerge da questo delicato equilibrio, quello tra il volerci stare dentro e il non sapere cosa essa comporti veramente.

In un contesto simile quindi, la presenza di Paky serve a dar punti a quella credibilità che oggi sembra essere finita nel dimenticatoio, nonostante sia sempre stata importante in un genere che nasce dalla polvere e che sempre lì avrà le sue radici.

“Ferri in mano, non sono le dita, facce brutte che non fanno finta/ Ho sentito la tua nuova uscita fa di nuovo schifo, penso che sia trita e ritrita”

Paky come modello di ispirazione ha avuto i Co’Sang, che hanno posto le basi per un certo tipo di visione e di narrativa prima di chiunque altro in italia. Stesso gruppo con cui sono cresciuti altri artisti partenopei come Geolier, J Lord e Vettosi, che ad oggi sembrano avere qualcosa in più in fatto di flow, liriche e credibilità.

Ma il rapper di Rozzano non si serve del dialetto, e pur essendo nato a Napoli è grazie alla sua hit Rozzi che è arrivato praticamente ovunque, portando il nome del quartiere di Milano in cui è cresciuto e si è formato.

Se ne parliamo soltanto adesso è perché la sua crescita negli ultimi mesi è stata davvero esponenziale, pur non pubblicando nessun singolo o progetto ufficiale ma soltanto dei featuring che trasudano un gran carisma e una padronanza della materia davvero importante.

Tra queste barre troverete tutto ciò che dovrebbe stare dentro al rap, ovvero una comunicazione nuda e cruda e priva di qualsiasi tipo di filtro o compromesso:

“Sei tu che sei un minchione, non io che faccio il gangsta” – Djungle, TY1

“Conto soldi e fumo erba solo per calmarmi, puttane mi vedono, vorrebbero toccarmi” – Non Parlarmi, Side Baby

“Ah, sono con Killa, da Dogozilla oppure in giro con i killer/ Tutti in fissa con il crimine, ci vedi poi diventi timido” – Bandito, Don Joe

In una narrativa così esplicita è però possibile che molti ascoltatori si distacchino da questo tipo di viaggio, perché non conforme ai gusti di tutti o per dei limiti che comunque sono presenti in un artista che – piaccia o no – è soltanto agli inizi.  Limiti che inevitabilmente vanno ricercati in una tecnica ancora acerba, che spesso e volentieri mette da parte le rime e che a volte porta ad un risultato scarno e privo del mordente necessario per rendere accattivante la sua narrazione.

Ma non fatevi ingannare, perché nelle liriche di Paky non ci sono soltanto sesso, droga e criminalità. Nel brano Non Scherzare, il più personale sin qui dell’artista insieme a Rari con Tedua e Shiva, il rapper ha dimostrato di avere delle potenzialità anche in fatto di scrittura, immergendo l’ascoltatore in un mondo cupo e tormentato, che coinvolge il suo passato, la vita del quartiere e a tratti anche il rapporto con Dio.

Qui Paky non ha alcuna intenzione di lasciare indifferente l’ascoltatore, coinvolgendolo inevitabilmente e ricordandogli quanto diversa sia la sua visione delle cose, seppur di non facile comprensione. Paky non cerca di ottenere il tuo consenso, ma di attraversare il tuo pudore.

E per tutto questo il rapper di Rozzano non ha neanche dovuto sacrificare niente in fatto di numeri e ascesa, anzi.

Il rapper classe ’99  gode infatti già della stima e del rispetto dei grandi della scena, che non si sono fatti alcun problema  a portarlo nei loro dischi, come accaduto con Marracash e Guè – con Ti Levo le Collane che gli ha fatto ottenere il suo primo platino –  mentre quasi tutti i pezzi in cui appare sono delle street hit potentissime, che macinano numeri su numeri e che sono destinate ad imporre la loro presenza nel mercato italiano ancora per molto tempo.

“Non penso, fra’, che Cristo tornerà mai giù a salvarci/ Non durerebbe un giorno in giro qui dalle mie parti”

E se è vero che oggi il rischio di rimanere incastrati nel filone usa e getta è molto concreto, è anche vero che nei suoi pezzi solisti Paky ha sempre dato qualcosa in più, e quando si è trovato a presenziare nei brani degli altri ha totalmente monopolizzato l’attenzione. Qualche tempo fa Marra se la prendeva con i criminali che vogliono fare i rapper, ma oggi che tutti tendono a fingere sia l’uno che l’altro il rapper di Rozzano non può che essere l’eccezione che conferma la regola.

“Non so più chi mi vuole bene/ Nuvole in stanza, mi piace pensare che chi non vedo si faccia vedere/ Mi è mancato il pane, l’abbraccio di un padre”

Tutto quello che fa Paky lo fa al top, conseguentemente ad una strategia preparata in ogni minimo dettaglio e che fortunatamente prevede una quasi totale assenza dai social, alimentando così il mistero che gli si è costruito intorno.

Ed ancora non abbiamo assistito che ad una piccolissima percentuale del suo operato, che con tutta probabilità diverrà più maturo con l’uscita del primo disco.

Se Paky funziona (o funzionerà) in Italia è perché non somiglia a nessuno, ma soprattutto perché se è vero che il destino te lo crei è anche vero che non scegli di essere quello che sei. E nessuno nel rap italiano può essere Paky, purtroppo o per fortuna.

Per citarlo, “chiediti ancora perché il nome è Pakartas”, che in lituano significa “impiccato”.