Normalizzando la sincerità – Intervista con Not Good

not good intervista

Speriamo che arrivati ormai a metà 2022 ormai conosciate il rapper milanese Not Good, pseudonimo di Jari Melia. Salito alla ribalta dopo diversi mixtape disponibili su YouTube, ha folgorato gli amanti del rap con le apparizioni a fianco di Jake la Furia e Emis Killa in Il Seme del male rmx, Mai più e Giovani Eroi.

Il debutto ufficiale con Hateful e Sony è l’EP Erba nei Jeans nel 2021, mentre quest’anno ha deciso di replicare la formula con Vero Liricista, altre 7 tracce colme di grinta e variegate nei soggetti e nei suoni. Nel corso dell’intervista affronteremo alcuni temi a lui cari come la malinconia, la sincerità, la famiglia, l’importanza delle parole e dell’evoluzione.

Tutto per scoprire che, oltre ad essere un rapper di qualità, Jari è un ragazzo maturo, romantico e di grande umiltà. Buona lettura!

Intervista a Not Good su Vero Liricista e non solo

Ciao Not Good. A me ha incuriosito molto che tu abbia deciso di uscire con un EP di 7 tracce sia nel 2021 con Erba nei Jeans, sia ora con Vero Liricista. Come mai hai scelto questa forma per i tuoi primi progetti ufficiali?

«La motivazione in realtà è stata molto semplice: io sono un gran romanticone e mi piacciono proprio i progetti, mi piacciono i dischi, mi piace fare le tracklist, quindi da un lato sentivo l’esigenza di confezionare un prodotto, dall’altro non volevo ancora prendermi l’impegno di un disco, che comunque ha una forma e una costituzione diversa, per cui mi sembrava presto per lavorare in quest’ottica. Probabilmente ce l’avrei anche fatta, ma parlo proprio delle mie esigenze: avevo dei pezzi che potevano essere da album, ma avevo troppi pensieri. Allora mi sono detto che volevo replicare la formula, rifare un EP e magari confezionarlo meglio. Tant’è che come punto di riferimento sono proprio partito da Erba nei Jeans, ho preso il mio vecchio EP e mi sono chiesto come potevamo fare un upgrade del nostro lavoro»

In termini di differenze, invece, quali pensi che siano le principali tra i due progetti?

«La differenza sta nella maturità con cui l’ho scritto. Perché questo procedimento che ti ho spiegato l’ho pensato ora, mentre Erba nei Jeans è stato un po’ più improvvisato, nel senso che avevo dei pezzi da ancora prima di firmare in Sony e ho fatto una sorta di raccolta dei sette pezzi più fighi che avevo. C’era meno raziocinio, mentre qui ho scelto cosa andava dove, sono stato molto dietro al mix e qui menzione d’onore al mitico Zangirolami che mi è stato dietro e a cui ho fatto fare mille versioni di una roba, lui è un vero professionista. Quindi sì, la cosa che differenzia veramente questo EP è il raziocinio, il fatto che tutto ha un senso ed è incasellato in quello che per me era il posto giusto, niente è lasciato al caso»

Visto che l’hai nominato prima, cosa puoi dirci rispetto al tuo primo album ufficiale? Ti ci senti più vicino adesso?

«Sì, mi sento più vicino, ma più che quello diciamo che non ho intenzione di triplicare con un altro EP. Senza nulla levare agli EP e ai progetti smart, adesso vorrei concentrarmi un po’ di più. In effetti ho una bella voglia di scrivere in maniera ancora più incisiva»

Tra i due EP tu ti sei misurato in diverse collaborazioni, tra cui la mia preferita, la traccia Backpackers con En?gma. Com’è stato lavorare con lui e magari adattarsi a livello di scrittura, avendo a che fare con un artista diverso da questo punto di vista da Jake e Emis?

«Sì certo, sono artisti diversi e ognuno ha esigenze diverse. Banalmente con En?gma è stato molto semplice il rapporto perché quando mi ha scritto e mi ha mandato delle robe, io ho capito subito che a lui non fregava un cazzo della collaborazione con Emi (Emis Killa ndr), lui aveva sentito della mia roba e voleva delle barre in Backpackers. Mi ha fatto molto piacere perché En?gma forse è stato il primo artista, dopo Emi e la Hateful, a contattarmi e darmi fiducia. E devo essere onesto, la strofa che gli ho mandato è una delle mie preferite, perché volevo proprio fare uno strofone. Mentre non ti nascondo che in Il Seme del male rmx avevo un po’ d’ansia, l’ho scritto con un pathos diverso, che era difficile non avere. Ora con il fatto che conosco Emi e sono in buoni rapporti con tutti loro sarebbe stato anche da finti umili dire “pazienza, ho fatto del mio meglio”. No, io mi sono impegnato, ci ho sbattuto la testa e avevo pure un po’ di ansia di fare una strofa brutta o non allo stesso livello. Ecco forse in Backpackers si sente che non avevo quel peso addosso, che ero più concentrato. Che poi sono tutti limiti che ti metti in testa, la metà dei limiti musicali di un artista sono nella sua testa; in quel momento avevo deciso che per En?gma avrei dato il 200% e così ho fatto»

Per curiosità, quanto ci hai impiegato a scrivere la tua strofa in Backpackers?

«Una giornata di lavoro. Un giorno in cui sono stato lì, perché io lo prendo quasi come lavoro d’ufficio: mi alzo la mattina, faccio il caffè, la colazione e inizio a registrare a oltranza, mentre la sera sono più scarico. Mentre per Il Seme del male avrò scritto, non esagero, otto/nove/dieci strofe perché continuavo a farmi problemi su dove mettere una certa barra, un certo concetto. Da qui nasce anche l’importanza delle parole, come una frase vada messa qui piuttosto che lì. Anzi, ti dirò di più, io la maggior parte delle volte mi preoccupo che i miei testi si possano leggere anche senza un beat. Questo dà un peso alla struttura, vuol dire che delle affermazioni devono stare lì e devono essere consequenziali ad altre cose. Con En?gma è stato semplice dato che il pezzo si prestava bene a quello che volevo raccontare, mentre la difficoltà si trovava appunto nel mettere gli argomenti in sequenza, per esempio ho preso una sua barra che stava prima all’inizio e l’ho messa a fine testo e alla fine tutto aveva molto raziocinio per me»

Tu stai spiegando già cos’è un “vero liricista”. Nelle tue canzoni si trovano sia strofe profonde e critiche, che punchline e barre street, come riesci ad equilibrare questi elementi?

«Beh è la sfida del vero liricista! Riuscire a non farti pesare che ti sta dicendo che il mondo è uno schifo o riuscire a non spacciarti l’egocentrismo per ambizione cieca, è lì il trick. Poi ti devo dire la verità, io ho un lato molto sensibile nella scrittura, per cui faccio spesso il procedimento opposto e l’ego ce lo metto sempre un po’ dopo. Siamo sempre in tema di dare importanza alle parole: un concetto forte è un conto, ma magari poi ci metti qualcosa che sfoltisce, che alleggerisce, che poi è tutto sintassi e scrittura. Per me i momenti con le punchline sono delle virgole che metto su un quadro generale, come se ad un certo punto ti dicessi “fai un passo indietro, guarda come sono forte”. Ovviamente con il massimo dell’umiltà (ride ndr

Tu come vero liricista stai valicando il passo tra lo scrivere per se stessi e il diventare in parte portavoce di altre persone. Senti senso di responsabilità in questo passaggio?

«Sincero, assolutamente no. Vuoi un po’ perché sottovaluto in generale l’impatto che posso avere, vuoi perché penso che la responsabilità la provi chi si fa portavoce di qualcosa di rischioso. Se fossi un artista che promuove l’uso di cocaina, forse dovrei farmi qualche domanda e chiedermi della responsabilità. A monte diciamo che scrivo sempre con la massima tranquillità e con concetti di cui sono fiero, difficilmente ci sono concetti di cui mi vergogno o che mi fanno porre un dubbio. Ti faccio un esempio pratico: scrivendo Radio Malinconia in un passaggio parlo di questa ragazza che non vuole avere figli e poi le sbatto in faccia il fatto che, oltre a non volerli, nessuno la aiuta, la società, la maternità, il lavoro, le aziende. Ecco, come faccio a sentire responsabilità su una roba che è fattuale, che è la realtà nuda e cruda? Anche quando si parla di strada è difficile che ne parli in maniera ego-riferita o che dica “io sono il più figo per questo”; a parte che non ti nascondo che ho 25 anni e mi sento già oltre il discorso “sono figo perché vengo da”. Il messaggio che voglio portare al massimo è “sono figo perché parlo di cose di cui ho coscienza” e se tu hai coscienza di ciò che dici, non hai paura delle ripercussioni e della responsabilità che può o non può gravare su di te. Al netto del fatto che sono un artista emergente e non ho nemmeno numeri che possono farmi pensare di essere frainteso. Anzi, quando una persona arriva alla mia musica, secondo me è già in target e capisce ciò che voglio comunicare»

Restando in tema di coscienza sociale, qual è il tuo rapporto con la politica? Ad esempio, sei andato a votare il 12?

«Io vado a votare sempre! Sarà che sono appunto un romanticone, ma non ci chiedono spesso come la pensiamo e se poi le volte che ce lo chiedono lasciamo perdere…beh sì si può fare e se lo facciamo tutti diventa un atto politico, ma come società non siamo ancora abbastanza organizzati da poter fare questo. Al netto di tutto ti dico che ho una grande sfiducia nella politica, ma d’altra parte cosa non è politico? Andare a fare la spesa è un atto politico, uscire di casa e decidere di rompere i coglioni ad una persona è un atto politico, aiutare una persona è un atto politico, insomma tutto quello che getta le fondamento per altro, non è fine a se stesso e ti introduce in società è inevitabilmente politico. Tu puoi scegliere di ignorarlo, ma anche ignorarlo è un atto politico. Sono in una fase in cui mi piacerebbe avere più competenze e capirci un po’ di più, d’altra parte sono un ragazzo della mia generazione e come un po’ tutti sono sfiduciato, deluso dal sistema. Però qui dobbiamo vivere»

La profondità della tua penna affronta sia tematiche sociali sia tematiche intime, sentimentali. L’esempio più recente e calzante è Radio Malinconia: cosa ci puoi dire del tuo rapporto con la malinconia nel quotidiano?

«É viscerale e quasi autodistruttivo. Io nella sofferenza mi ci immergo e ci sto tanto. Non la demonizzo neanche più, prima mi sentivo sbagliato perché tante volte poi non mi godevo neanche i risultati; io se esce il mio EP sto già pensando alla roba dopo. Ti racconto questo aneddoto di me che scrivo a Zanna, il mio manager, dubbioso, chiedendogli “Bro ma secondo te io cosa ho sbagliato in questo EP? Perché non stiamo prendendo la tangente?” e mi ci sono tormentato molto. Finché Zanna mi dice “guarda io capisco i tuoi ragionamenti, però almeno aspetta 24 ore (dall’uscita dell’EP ndr)”. E al netto di queste mie considerazioni aveva ragione, perché l’EP è andato bene, però io non mi accontento mai e questo prima mi faceva crogiolare un po’ nell’insoddisfazione, che poi l’insoddisfazione se non la porti a termine torna come malinconia. Ma io la faccio diventare forza-lavoro, io scrivo triste e non riuscirei neanche a cambiare mood, a parte quando c’è la parte ego. É una sorta di attrazione reciproca, ecco»

E questa tua sensibilità pensi sia legata anche ai riferimenti letterari nei tuoi testi? Perché da Eco e Kafka a Rovelli sembra proprio che tu sia un gran lettore. 

«Sisi, io ho letto tantissimo!»

Voglio anche sapere chi sono i tuoi scrittori preferiti a questo punto.

«Eh ma se lo dico sembro un buffone, perché io sono davvero fan di Dostoevskij, l’ho proprio mangiato. Le Notti bianche è il mio libro preferito perché mi ricordo che quando andavo alle superiori la mia professoressa mi ha obbligato a leggerlo e mi ha proprio spiazzato. Ho letto quello e Povera gente, poi sono passato per un po’ a Bukowski, ma col tempo mi sono avvicinato al femminismo e alle letture femministe e quindi Bukowski ha cominciato a sembrarmi una lettura un po’ troppo teen (senza criticare Bukowski ovviamente). La lettura ti dà tanto, che poi non è obbligatoria, ma per me sì, fosse anche solo per trovare dei riferimenti e capire di più. Per me è fondamentale, più dei film, che mi restano meno, mentre se scelgo di leggere un libro è diverso, perché vuol dire che ho pensato di leggere una cosa per quel motivo»

E adesso che stai leggendo?

«Adesso sto leggendo l’ultimo romanzo di Andrea Delogu, Il contrappasso. Lei è una ragazza italiana bravissima e mi sono fatto fregare letteralmente dalle recensioni di Amazon. É molto bello, un thriller di stampo ambientalista, per cui mi tocca molto l’argomento»

Rimanendo in ambito di preferenze personali, quali sono gli album migliori o più interessanti dell’anno secondo te?

«Se posso essere sincero, io sono rimasto fermo a Noi, loro, gli altri. Da quando è uscito c’è un’asticella che mi sembra invalicabile. Però ti dirò una cosa che ti sorprenderà: a me l’ultimo progetto di Simba La Rue è piaciuto molto. Sono rimasto proprio affascinato in positivo, poi vabbé il disco di Marra okay, ma parliamo di progetti a stampo diverso e fruizione diversa. Ho ascoltato recentemente anche il progetto di Capo Plaza, Hustle Mixtape, e pure quello mi è piaciuto. Not my cup of tea, però è oggettivamente fatto, scritto e pensato bene. Dischi esteri invece, beh quello di Kendrick mortale, di un altro livello. Per il resto sto ripescando cose vecchie, ad esempio sono uno che non ha mai ascoltato quasi niente di Famous Dex perché anagraficamente non mi appartiene, per cui nell’ultimo mese lo sto ascoltando a manetta su Spotify Play. Ultimamente mi sto anche mangiando da capo (però vedi che sembro un backpacker) The Blueprint 2; sono proprio lì scemo che mi ascolto le barre, perché sai quante cose mi sono perso, quante volte non ho avuto la testa per mettermi lì a tradurre certe robe.

Sfrutti molto questi ascolti in termine di ispirazione per le tue canzoni e i tuoi testi?

«Cerco di non farlo, però sono un artista e inevitabilmente assorbo tutto. Cerco di non farlo nel senso che è difficile che parta da un pezzo rap e dica “voglio fare questa roba”, mentre mi capita molto di più con pezzi da altri generi. Qualche tempo fa stavo ascoltando un pezzo di Amy Winehouse in studio col mio produttore e mi sono detto “dai facciamo questa roba”, poi è ovvio che non posso fare Amy Winehouse, però sta lì il trick, trasformare una cosa che sembra lontana anni luce. Coi rapper e i suoni più attuali cerco di non farlo, perché so che inevitabilmente qualcosa la assorbo e quindi preferisco che sia incondizionata, piuttosto che arrivare a fine giornata e capire che ho mezzo bitato un certo pezzo»

Passando alla tua partecipazione a Real Talk, io penso che tu sia stato fantastico e che sia un format fatto su misura per te, tra attitudine, barre, one-take e atmosfera. 

«Sto scrivendo per quelli di 64 bars di Red Bull, che sono quelli che mi mancano! Fanno gli omertosi e non mi rispondono (ride ndr), no penso che non mi abbiamo ancora notato»

Sicuramente arriverà anche quel momento. Dicevo, la cosa che mi ha colpito di più a Real Talk sono le barre che hai dedicato alla tua famiglia, in particolare quelle così potenti relative a tuo padre: “mio padre si bucava e ha rischiato la morte / mo che ironia della sorte sono io l’ago della bilancia”. Cosa puoi dirci del rapporto con tuo padre oggi?

«Faccio una premessa: io mi sono ispirato a una roba che disse Ghemon in Fantasmi 2, cioè che non c’è niente di così personale che non si possa raccontare. L’ho preso come mantra. Io non ti nascondo che non ho un super legame con la mia famiglia in generale: ho fatto l’uomo di casa presto e non ho rimpianti, sono contento del fatto che mi abbiano fatto crescere presto. Non ho nemmeno rancore verso mio padre, non sono uno che addossa tutto ai problemi di famiglia, infatti ora ho un buon rapporto con lui, sono arrivato ad un’età in cui si riescono a processare certe informazioni. Io dico spesso ai miei amici che la “tranviata” più grande che prendi da piccolo è capire che i tuoi genitori non solo non sono perfetti, ma sono persone che si stanno barcamenando esattamente come me e te in questo momento. Non si possono imputare troppo gli errori, tanto sbaglieremo tutti in continuazione, siamo una società sbagliata e chissà come ci evolveremo. Prima ero più incazzato con il mondo, con la mia famiglia, con chi non mi supportava, adesso mi è scesa; sarà che sono maturato e la rabbia col tempo si è fatta compassione e la compassione si è fatta lucidità. Siamo persone, mio padre è una persona che ha sbagliato parecchio, ma che già paga il prezzo di sapere che ha sbagliato, quindi io non vorrei mai che un domani succedesse qualcosa e l’ultima cosa che abbia detto a mio padre sia un vaffanculo. Ho capito che i rapporti vanno sempre recuperati, soprattutto se sono di sangue. É un rapporto altalenante, però per esempio l’ho visto la settimana scorsa; è una persona che è nella mia vita più che da parente da spettatore»

Sei veramente molto aperto e sensibile, nelle tue canzoni come in intervista.

«Io sono convinto che finché ti muovi dalla parte della ragione, o meglio da quella che tu consideri la parte della ragione, c’è poco di cui non andar fieri, errori compresi. Le cose succedono, sbaglieremo in continuazione e l’unica cosa che vale davvero la pena di fare è rimediare, sennò non ha più senso niente. Se pure gli sbagli sono una parte della vita da accettare senza interfacciarci, allora non ha senso. Io ho un bagaglio culturale, di emozioni e tutto quanto e mi si presentano davanti due scelte: reprimerlo e recitare la parte di quello ignorante che ha fatto e disfatto e che ha l’amico in piazza che fa e vaffanculo i sentimenti oppure posso iniziare a giocarci, marciarci, parlarne. Io vorrei farmi quasi portavoce di questa normalizzazione, che non siamo tutti fighissimi ogni giorno e va benissimo così. Ed è una balla quella di cui ci convincono, che devi stare sempre appresso alla scarpa figa o stare sempre bene o è sabato sera e se non esci sei uno sfigato, mentre io ti dico che sabato sera scorso sono stato a casa perché ero triste a sfacelo. E che male c’è? Magari a furia di dirlo non sarà più un problema. Indubbiamente sono un romantico, ma vorrei invertire la rotta»

E noi ti auguriamo il meglio in questa tua impresa. Per concludere, ci diresti quali saranno i prossimi appuntamenti per ascoltare la tua musica dal vivo?
«Sai che non lo so…facciamo le risposte tipo che vi tengo in hype: è una sorpresa…vedrete quest’anno!»

Aspettiamo novità a riguardo allora! É stato un vero piacere parlare con te Jari, buona fortuna per tutto.

«Ha fatto strapiacere anche a me, ci sentiamo!»