«Milano è la mamma del rap game e il mio papà» – Intervista a Nerone

Nerone

Maxtape è il nuovo disco di Nerone e ce ne ha parlato lui stesso in questa nuova intervista, centrata sul rap e il futuro.

La prima volta che sentii parlare di Nerone fu nel 2017 con la sua performance a Real Talk. Le barre affilate, unite ad uno stile divertente e coinvolgente, mi fecero capire subito che quel rapper avrebbe fatto strada, disegnandosela con la propria penna. 4 anni dopo Nerone è inequivocabilmente uno dei rapper con maggiore credibilità della scena, con un background solido e un presente costruito con i propri sforzi. Insomma, Max non è uno qualunque.

Maxtape è il titolo del nuovo disco appena pubblicato. Un tape di 15 canzoni che vanta la collaborazione di diversi artisti, da Fabri Fibra a J-Ax, passando per Clementino, Boro Boro, Tormento e tanti altri. Dopo l’ultimo disco Gemini e la parentesi di DM EP (con Warez) la penna di Nerone è tornata sotto i riflettori, con un disco completo, divertente e che ancora una volta ci dimostra l’attaccamento di Max verso il rap.

Questo è quanto è venuto fuori durante l’intervista con Nerone:

Ciao Max, bentornato su Rapologia. Parto da quello che a primo ascolto mi è sembrato un concetto fondamentale del disco, ovvero Milano. Cos’è per te Milano e cos’è Milano per il rap game?
«Milano è la mamma del rap game e il mio papà. Non è proprio il luogo in cui è nato il rap, ma ci sono un sacco di cose fondamentali da cui il rap ha dovuto prendere spunto per evolversi, perché a Milano il rap ha sempre alzato l’asticella. Vedi i Club Dogo, poi Emis Killa, Sfera, lo stesso Fedez, Marracash. Tutta gente che ha spinto l’asticella sempre più in alto, quindi tutta l’Italia ha poi dovuto regolarsi di conseguenza. Noi forse abbiamo dettato un po’ il trend. Sai a Milano ci sono tutte le etichette discografiche, tutti devono venire a Milano. Quelli che spaccano a casa loro devono venire qui a giocarsi il big match.

Per me rappresenta quello che poi ho visto da sempre. Comunque, quel rap nasceva dall’ambiente circostante, strettamente legato alla territorialità. Da sempre, già a fine anni Novanta, quando andavi a ballare nelle discoteche sugli autobus sentivi i cori tipo (imita il coro; n.d.r.) “Ba-ba-barona!Ba-ba-barona!”. Io me li ricordo tutti. Non è cambiato niente, semplicemente ora si mette in rima e non si spacca più l’autobus.»

Ascoltando Maxtape la prima impressione è stata “barre, su barre, su barre”. Ultimamente molti dischi stanno mettendo al centro di tutto il rap puro e grezzo. Credi che questo disco sia una buona occasione per riportare l’attenzione sul rap fatto in una certa maniera?
«Che io sia la bandiera di questa cosa la vedo dura, ti dico la verità. A me piacerebbe semplicemente che la gente tornasse ad ascoltare il rap e basta, magari senza neanche rendersene troppo conto. La gente ascolta la musica, rap fatto bene compreso. Uno che vedo più portato per essere paladino di questa causa è Massimo Pericolo. Magari ha un pubblico più ampio, che parla con un determinato fastidio dettato da un torto subito in un modo da farlo arrivare a tutti. É anche per questo che piace ai rapper. Perché sa bene come esprimersi ed è l’urlo di una generazione.»

Sono passati quasi 2 anni da Gemini, il tuo ultimo disco ufficiale, cos’è cambiato in questa frazione di tempo? Ti senti diverso?
«Guarda non saprei. Che cazzo di anno è stato? Non so se ti è capitato di parlare di cose successe nel 2019 dicendo “l’anno scorso”. Ecco beh…questo un po’ alla fine. Abbiamo fatto un anno chiusi in casa, con insicurezze di ogni genere sul nostro futuro. Ci hanno lasciato a casa imbottiti d’ansia, più che scrivere non potevo fare. Se avessi scritto dell’ansia che provavo non avrei fatto un disco divertente, ma soprattutto quell’ansia mi avrebbe ucciso. Sono andato a fare un disco che mi ha curato il morale, perché comunque andavo in studio a fare delle bombe, non canzoni tristi. Abbiamo cacciato fuori le palle e ci ha salvato. È stato un dare e avere con la musica, come sempre. Non ti perdi nella tristezza ma ti salvi con della musica fruibile.»

Cos’è Maxtape per te? Un punto d’arrivo o un nuovo punto d’inizio?
«Non c’è mai un punto d’arrivo bro. Quando cazzo mai arrivi? Viviamo in un mondo dove letteralmente ogni secondo qualcuno alza l’asticella su qualsiasi cosa, che sia la musica, la tecnologia o l’impresa. C’è gente come Elon Musk che ogni due giorni annuncia qualcosa di superlativo. Non si arriva mai. Chi pensa di essere arrivato o è stupido, o è solo molto stanco.»

In Madunina tu Emis e Jake raccontate il lato oscuro di Milano in modo molto crudo e diretto. A tuo parere l’appartenenza alla strada è ancora un elemento imprescindibile nel rap?
«Ma io penso che ci si stia un po’ tornando, grazie al cielo. Quando abbiamo iniziato noi bisognava essere poveri, del tipo “Cazzo fai il rapper di strada se tuo padre è ricco?”. A Milano quando ti affermavi nell’underground come street rapper erano le realtà street che venivano a misurarsi con te. Davvero venivano a vedere chi eri e ti facevano brutto, di modo che capissi come comportarti. Poi c’è stata l’era dell’apparenza, del tutto finto e comprato. Quindi si passa al “Quello lì ha le catene ma sono false, è un poveraccio”, proprio l’inverso. Adesso invece la via di mezzo è partire dicendo che si è poveri e alla prima occasione investire tutto, comprare una collana e far vedere che ce l’hai fatta. Quantomeno non è più la farsa del noleggiare tutto e fingere uno status che non hai. Ora piano piano, più cresci più migliori il tuo status, nonostante ci sia sempre chi vuole farti vedere che il suo status è migliore del tuo. Ma quello poi è mercato, neanche più musica.»

Vedendo la tracklist, la line up dei producer e dei featuring mi ha fatto pensare ad un disco variegato in tutti i sensi. E in effetti così è a mio pare. Come nasce la scelta dei featuring e dei producer?
«La verità è che a me piacciono molto anche i ragazzi della nuova scuola, ma sono talmente presi, impegnati e strategicamente serrati che è difficile tirarli in mezzo. Quando prendi uno dei nuovi, quelli hanno già delle etichette che investono tanti soldi e delle mosse ben pianificate. Io ho sempre chiamato i giovani che mi piacevano, per carità, però sai quelli che oggi hanno po’ più di hype addosso succede che loro stessi, o il management, non ti concedano la strofa. In quel momento lì fare la strofa con Nerone non gli porta a niente, poi magari tra un anno questo disco diventa enorme e si mangiano tutti il cazzo. Al momento è stato un po’ così.

Coi ragazzi della vecchia invece ci conosciamo, sanno chi sono. Concedono sempre i featuring anche per una questione di gusto personale e di rispetto. Non gliene frega un cazzo che gli torni qualcosa in tasca. Loro sono a posto. Io non penso che a Fabri Fibra torni utile fare un pezzo con me, ma se ha detto di sì è perché comunque ci conosciamo, conosce le mie canzoni, gli piaccio e c’è rispetto. È tutto una questione di rispetto. Devo dire che, vuoi per l’umiltà o perché se la tirano tutti, pensi sempre di non aver concluso un cazzo. Poi alla fine del disco guardi chi cazzo c’è dentro e ti rendi conto di aver realizzato i sogni di quando eri un ragazzino, andata e ritorno, beh…. vaffanculo no?»

Al netto dei risultati che hai portato a casa negli ultimi due anni. Come ti collochi all’interno della scena? Ti senti riconosciuto?
«Rispetto agli anni precedenti sono piuttosto sicuro che tutti sappiano chi sono. Non ho più la paranoia di entrare in un backstage e pensare “ok, non hanno la minima idea di chi cazzo sia”. In generale però si misura tutto in maniera strana, va tutto in base ai numeri. Numeri che non mi è mai interessato guardare, soprattutto vedendo gente con 20-30mila follower con 3000 persone ai concerti. Come cazzo è possibile? A me basta sempre suonare ed è essere rispettato, non voglio farmi nemici. Incito sempre alla positività, al fare la musica. Credo sia la cosa più importante.»

In Sos nel mare si percepisce un po’ di malinconia verso quello che verrà. Cosa ti spaventa del futuro?
«Il fatto di non sapere niente. Sono grande e ho smesso di essere curioso, ho bisogno di sapere un po’ di più come si delineerà il futuro.»

E invece, al contrario, tornando indietro cosa correggeresti del tuo percorso?
«Andrei più tempo in studio invece di stare in giro a fare freestyle, anche se quello mi ha aiutato. No bro, mi tengo tutti i miei sbagli. Sti cazzi.»

Pensando al programma su TRX Radio con Paolo Madeddu o all’esperienza che hai fatto l’anno scorso a Brescia con Filippo Giardina (The Comedy Club): hai mai pensato di puntare forte anche su questo campo di presentatore e/o stand up comedian?
«Guarda, non è il momento. La roba di TRX ha smosso qualcosa e qualcuno si è fatto vivo, ma al momento voglio rappare. Ho delle cose da fare e ho una visione sui prossimi passi che voglio muovere. Sicuramente se il mondo sarà ancora contento di avermi tra le palle, sui 35/40 anni, potrebbe essere sicuramente un bellissimo posto dove iniziare una nuova esperienza. Sai, smetti di rappare quando ti rendi conto che sei vecchio per dire certe cose, però non si è mai vecchi per portare intrattenimento ed essere un intrattenitore.»

Prima di concludere la telefonata, Max ci ha parlato anche del rapporto con le droghe nel rap e sulle responsabilità di un rapper in materia. La liberalizzazione e depenalizzazione delle droghe sono stati i principali argomenti di discussione, temi che inequivocabilmente hanno (o meglio, avrebbero) una valenza socio-economica rilevante, specialmente in Italia.

Dopodiché si è soffermato sulla responsabilità dei rapper e lo ha fatto senza mezzi termini: non esiste capo d’imputazione che tenga nel discorso sull’influenza dei rapper nelle abitudini degli ascoltatori. Il rap non è un educatore, ma bensì un narratore. Se da una parte la parola è un’arma che va saputa usare, dall’altra esse vengono fuori dal vissuto di persone che si impegnano a mettere nero su bianco i propri demoni. Ascoltare un brano è come leggere un libro, o guardare un film, ossia un processo di immedesimazione in cui chi fruisce dell’arte deve essere cosciente di quello di cui sta usufruendo.

Non possiamo che ringraziare Nerone per questa intervista e tutti gli argomenti trattati: ora ascoltiamoci Maxtape, il suo nuovo mixtape ricco di rap fatto bene!

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