Non c’è tre senza quattro: Nas e Hit-Boy presentano King’s Disease III

Nas Hit-boy Ultra Black
Nas Hit-boy Ultra Black

Da quando Nas è ritornato in studio con Hit-Boy durante la pandemia, i due hanno scritto la più dolce lettera d’amore al genere Rap: la dedica continua con King’s Disease 3 prendendo ogni elemento che ha reso prezioso il percorso dei precedenti capitoli per elevarlo su dimensioni inedite.

Nas e Hit-Boy come Michael e Quincy in King’s Disease 3 – Recensione

Quando si viene considerati poeti a diciassette anni la nuvola nera delle aspettative perseguita ad ogni passo. Nas ha celebrato e combattuto con l’aura di quel leggendario primo album per tutta la sua vita, spesso ritrovando la sua enfatizzazione stucchevole e irritante.

Nas è molto di più di Illmatic, è It Was Written, è God’s Son, Nas sono le tracce perse che fronteggiano quelle ufficiali dei colleghi, Nas è trasformare una tragedia familiare in una rap opera dal titolo ottimistico o in uno dei brani più emozionanti di sempre.

Tutto questo ha reso il più poetico microfono di Queensbridge, una leggenda nel genere rap portandolo su vette che pochi hanno scalato. Oggi Nas cammina il percorso del veterano con la fame di chi ha appena sentito la propria voce registrata. King’s Disease III è un capitolo essenziale nella discografia di Nas e uno dei momenti più alti delle uscite musicali del 2022.

Le battute iniziali di Ghetto Reporter ricordano della missione principale della lunga carriera del rapper di New York mentre Hit-Boy rimarca la sua corsa nel plasmare il miglior beat introduttivo della serie, forse capace unicamente di essere rivaleggiato dalla magnifica apertura di danze di MAGIC lo scorso anno.

Entrambi i protagonisti di questo progetto sanno di essere arrivati ad un numero importante, un finale nel caso di una trilogia o forse qualcosa di più.

Le rime di Nas sono essenziali, le uniche voci a fargli da corista sono quella di Mario in Serious Interlude e le tenerissime e metaforiche vocals del figlio di Hit-Boy in Once a Man, Twice a Child. Nasir parla di età e della sua tragica e facile capacità di lasciarcela sfuggire come sabbia tra le mani.

Il tempo è uno dei temi cardine di questo King’s Disease III (e che abbiamo affrontato in questo articolo), considerando che quest’ultimo è sempre stato uno strumento a favore della penna di Nas con il suo storytelling e la sua capacità di trasmettere nostalgia, è davvero affascinante vedere il rapper fare i conti con il più incontrollabile degli elementi a questo punto della sua carriera.

Il fuoco che bruciava dietro la grande N nel video di Hate Me Now è ancora lì ci dice Nas, I’m on Fire è un nuovo tipo di celebrazione per il rap. Un momento in cui si grida di avercela fatta, questa volta non per un contratto discografico né per la quantità di donne al proprio fianco. Nas ce la ha fatta a rimanere sobrio e focalizzato in uno dei generi più unapologetic e in evoluzione del mercato musicale.

30 ci ricorda che il primo capolavoro del rapper sta per passare l’incredibile soglia dei 30 anni mentre Legit condivide la speranza, quella stessa che non ha mai abbonando Nas cambiandogli la vita.

La completa assenza di ospiti d’onore, che avevano dato un valore aggiunto non indifferente in KD2, non si fa sentire dato che i cambi di flow e di beat consacrano il duo Nas-Hit-Boy tra i più storici del genere. Michael & Quincy è proprio questo, Nas mette sé stesso e il suo collega nei panni di due dei più grandi act musicali e riga diritto a testa alta nonostante le sue braccia non siano ancora colme di Grammy.

Anche se la freschezza che ha tenuto alta l’attenzione per questa serie di album non manca, ciò che ci ha fatto innamorare del poeta di Queensbridge è ancora qui. Nel 96 Nas dava voce ad una pistola in I Gave you Power, al denaro nel 99 e nel corso della sua leggendaria carriera non ha mai smesso di dare personalità al più inanimato elemento capace di avere influenza nelle nostre vite.

Questa volta in Beef Nas veste i panni di ciò che ha tolto la vita e le opportunità a fin troppe persone nel rap e oltre. L’artista in primis è sopravvissuto alle situazioni più folli che questo genere abbia mai visto e la sua interpretazione rivela il senso nella sua esperienza rendendola una traccia essenziale nel suo portfolio.

La nostalgia trova spazio anche in questo capitolo in brani come First Time in cui Nas si connette al suo ascoltatore celebrando il momento speciale in cui ci si innamora dell’arte del nostro artista preferito. Non solo un rapper ma prima di tutto un fan, è questo che Nas rappa tra le righe di First Time e forse anche il motivo dietro la passione che si respira sopra le versatili strumentali di Hit-Boy.

King’s Disease III non è un progetto corto, ha ancora tanto da dare sia dal punto di vista dei contenuti che della musica. Proprio per questo motivo è ancora presto per contestualizzarlo interamente.

La più interessante delle osservazioni però salta subito all’orecchio, qualcosa che dal 2020 abbiamo avuto davanti ma che oggi più di tutto ci sorprende. Nas è arrivato nella scena Rap nel 1994 portando un album che cambiava le regole del genere. Ogni grande progetto rap fino a quel momento era generalmente creato dal suo produttore/DJ e dal suo MC, un duo essenzialmente. Illmatic cambiò tutto questo optando rischiosamente per una line up numerosissima di produttori. Nonostante questo, l’iconico progetto arrivò coeso, cinematografico e dannatamente omogeneo.

Nel 2020 a dare nuova vita ad uno dei più grandi MC di sempre è ciò che il primo leggendario album non era. Un duo, Nas e un singolo produttore hanno trovato la loro sintonia in studio quando il mondo era silenzioso per poi non lasciare mai raffreddare il ferro.

King’s Disease 3 è il più incredibile dei 4 progetti usciti dalle menti di Nas e Hit-Boy ma nonostante tutto l’ascolto di Don’t Shoot non sembra un vicolo cieco ma un ponte verso qualcos’altro. Crediamo che non sia finita qui.

Per saperne di più, recupera ora le recensioni dei dischi precedenti:

King’s Disease

King’s Disease II

Magic