«La provincia per me è tomba e riscatto nello stesso tempo» – Intervista a Moder

Birre in lattina moder

È ormai passato diverso tempo da Ci Sentiamo Poi, l’ultimo disco ufficiale di Moder, che a cavallo dell’inizio della pandemia ci regalava uno dei dischi più intimi e sinceri degli ultimi tempi. A distanza di più di un anno solare però la penna di Moder ritorna a galla con un nuovo progetto: Acrobati.

L’EP, che si compone di 5 tracce, è stato pubblicato una settimana fa e contiene tutte le insicurezze, le paure e la malinconia che il periodo di pandemia ha fatto gravare sulle spalle di tutti.

Mentre il mondo impazziva, il rapper di Glory Hole Records ha rinchiuso i suoi demoni in un viaggio breve, ma intenso. Le cinque tracce dell’EP raccontano in modo unico gli spaccati di vita quotidiana tipici della provincia, le incertezze verso il futuro e la nausea data dalla monotonia di un mondo che non riconosce nulla a nessuno.

In occasione dell’uscita di Acrobati ho proposto a Moder diverse domande, che hanno trovato risposte molto interessanti, in grado di farci comprendere a pieno le intenzioni e i contenuti del progetto. Dai featuring, ai cambiamenti, passando per la provincia e la cattedra dell’Università di Bologna, Moder racconta Acrobati e tutto ciò che questo progetto porta con sé.

Intervista a Moder per esplorare le sfaccettature del nuovo EP

Acrobati è un viaggio breve ma intenso, qual è la tua visione di questo progetto?

«Acrobati è un EP a puntate, sono 5 storie, idealmente potrebbe essere uno spin off del percorso iniziato nel 2016 con il mio primo disco solista. In questo EP ho mescolato le mie varie anime musicali e mi sono messo alla prova come rapper, come cantante, come autore. In fondo ogni progetto è sempre una ricerca, negli ultimi anni ho cercato di dimostrare e dimostrarmi che sono in forma e che posso giocare titolare, che sono finalmente IO fino in fondo. Ho chiaro in testa cosa voglio fare artisticamente da adesso in poi, sono già partito per le ricerche.»

In relazione a quanto detto sulla nascita del disco, quanto questi ultimi due anni ti hanno cambiato artisticamente?

«Gli ultimi due anni hanno cambiato il mondo, credo che il tema non sia più quanto sono cambiato io o noi, il tema è capire chi vogliamo essere da qui in poi.

Posso dirti che durante il lockdown ho avuto una forte esplosione creativa, fuori tutto era dolore, paura e morte, la penna e le note erano le uniche armi che avevo. Ora sento di non essere la stessa persona di prima ma non ti so dire cosa è cambiato, anche perchè la ripartenza sarà una coda complicatissima di questa follia.»

Nei tuoi testi c’è sempre stata una vena malinconica riguardo alla provincia. A distanza di anni e di dischi, come percepisci la provincia? E’ cambiato qualcosa ai tuoi occhi?

«La provincia, la dimensione più comune agli esseri umani di tutto il mondo, ai confini degli imperi economici che chiamiamo metropoli ribolle noia, voglia di rivalsa, fatica, verità, crudezza, cinismo, bellezza, case popolari scrostate… tutto questo è la provincia. La provincia cambia continuamente ma è il paesaggio di storie che uniscono generazioni lontane tra di loro. La provincia per me è tomba e riscatto nello stesso tempo, in provincia a volte si riesce a catturare qualche granello di verità che per me è il tesoro più prezioso.»

Da cosa nasce la scelta dei featuring del progetto?

«In realtà è stato molto naturale, con Wiser ad esempio ci diciamo di fare un pezzo insieme da anni, Irol è uno dei più forti in Romagna: fare un pezzo con lui in un certo senso è come riabbracciare questa regione con cui non ho sempre avuto buoni rapporti. Il lockdown ha avuto pochi pregi ma devo ammettere che mi ha dato il tempo e il modo di portare a termine collaborazioni che per tempo e pigrizia avrei congelato. In questo periodo spesso si scelgono le collaborazioni “furbe”, io non ho mai seguito quella logica, scegliendo di collaborare poco ma il confronto è fondamentale soprattutto tra generazioni e sono onorato di aver lavorato con artisti talentuosi. Grazie a Duna, Kd-One, Babbe, Tony Lattuga, Sickbudd, Neera, JYB, Hybrido, Enrico Farnedi, Varo, Checco e Peruch per avermi aiutato a terminare questo viaggio.»

Ti senti ancora “Sottovalutato”?

«Certo ma non mi fa più nessun effetto, io non mi fermo, ho molti obiettivi in testa. Molto spesso mi sono sentito abbandonato da amici e colleghi della cosiddetta “scena”. Ora non ho più bisogno di nessuno per credere in quello che faccio. Mi sarebbe piaciuto essere ancora all’interno di esperienze collettive incredibili di cui ho fatto parte, ma purtroppo quei giorni sono passati e io, anche se a volte può sembrare, non sono nostalgico. Io conosco solo il lavoro in questa roba della musica e quando sai di aver dato il massimo, anche se non va come vuoi, devi essere fiero di te.»

Ascoltando Appena posso me ne vado ho notato una certa acidità verso l’industria musicale. Riguardo a ciò, come valuti l’attuale status del rap in Italia?

«No, non c’è nessuna acidità, anzi è un periodo curioso questo, il mondo musicale italiano è due anni che promette grandi scossoni ma in realtà citando Claver vedo solo “ebbrezza trattenuta”. Il rap in Italia è in forma musicalmente, ma credo sia il momento di smettere di parlare tutti la stessa lingua. Il rap se fatto con leggerezza è un genere che mediocrizza e cristallizza dei tic: è tempo che questa scena diventi grande, se no si rischia ancora che le cose possano precipitare.»

Sicuramente la vena conscious fa da padrone in questo EP, ma in generale in ogni tuo progetto. Quali sono le tue fonti d’ispirazione quando scrivi? Ci sono artisti che hanno impattato fortemente sulla tua scrittura?

«Io cerco di scrivere per immagini, questo mi avvicina a un rap di scrittura, dove l’equilibrio tra la parola e la musica è fondamentale. Sicuramente ultimamente sono molto ispirato da Mac Miller e J. Cole, ma le mie ispirazioni le cerco in altre arti come il teatro, il cinema, la letteratura, dalla vita quotidiana nella carne che abitiamo.»

Da Sottovalutato ad Acrobati ne è passato di tempo e sono successe tante cose. Com’è cambiato Moder in questi anni?

«Moder si è fatto parecchio male ma in qualche modo è ancora qui e posso assicurarti che non era il progetto iniziale.

Ho imparato a capire cosa è davvero importante, chi prende alcune strade rischia di perdersi facilmente devo ringraziare le mie figlie e la mia famiglia attraverso a loro ho imparato a ritrovare la strada. Artisticamente in realtà ho sempre avuto quel misto di amore e voglia di spaccare che mi hanno tenuto a galla, ora credo di aver trovato la mia strada abbracciando finalmente chi sono, mi sono reso conto di aver avuto anni in cui recitavo un pò la parte del rapper underground senza che fosse quello che volevo… non succederà più.»

Qualche tempo fa hai preso servizio come professore per un laboratorio sul rap dell’Università di Bologna. Com’è stato mettersi alla cattedra e come valuti questa esperienza?

«Assurda e complicata, mi sono preparato molto e la lezione è stata emozionante, non vedo l’ora di rifarlo.»

Visto che (al momento) la situazione sembra essere sotto controllo, stanno piano piano riaffiorando i live in tutta Italia. Come vivi il tanto atteso ritorno sul palco? Hai già delle date in programma?

«Sì giovedì 25 giugno sarò al Blackstar di Ferrara, il 3 Luglio a Poggio Berni, il 25 Luglio a Russi insieme a RANCORE, piano piano si ricomincia a masticare le autostrade…… Un abbraccio a tutti gli artisti e i lavoratori dello spettacolo so che sarà dura ma so che ce la farete.»

Non possiamo che ringraziare Moder per la disponibilità e per gli approfondimenti sul nuovo progetto. Acrobati è fuori e la penna del rapper merita di essere ascoltata!