«Ho bisogno di sentire rap maturo» – Intervista a Louis Dee

Louis Dee Sangò
Foto di Andrea NOSE Barchi

Sangò, singolare espressione palermitana per riferirsi ad una persona di famiglia, o a cui si tiene particolarmente, e che letteralmente tradurremmo con ‘sangue mio’, è il titolo che Louis Dee ha scelto di dare al suo nuovo album.

È una formula gergale che individua già dal principio il concept che abbracceranno le liriche adulte del rapper siciliano; i rapporti umani, che ha sapientemente raccontato con un’inquadratura soggettiva, ed il legame viscerale con Palermo, genitrice della sua identità musicale.

Dalle barre emozionali di Louis emergono fotografie, in bianco e nero, come nel video ufficiale di Palermo un giorno diverso, di scorci, vicoli, strade e facce, che compongono il puzzle di una città che risente ancora di atteggiamenti pregiudiziali, ma che il rapper estirpa amorevolmente su un suono decisamente black.

Le sonorità soul, funky ed R&B, confezionate dal ligio collaboratore Big Joe, aggraziano le voci, oltre che del protagonista, dei compagni di viaggio scelti; da Peter Bass al fido Ensi, passando per Davide Shorty e Spika e Foe, per arrivare ai big Tormento e Coez.

Amore, musica, Palermo e paure nella società: la nostra intervista a Louis Dee

In occasione dell’uscita di Sangò, per l’etichetta indipendente Juicy Music Factory, fondata dallo stesso Ensi, abbiamo dunque approfittato per porre alcune domande a Louis Dee, che troverete di seguito.

Ciao Louis! Partiamo dal sound di questo tuo nuovo album: vieni da brani e progetti diversi sotto questo punto di vista, cosa ti ha portato a prendere queste sonorità un po’ più melodiche?

«In realtà chi mi segue dall’inizio sa che ho sempre prediletto il ruvido mischiato al morbido, nel mio primo mixtape di 10 anni fa era già così, ho sempre cantato i miei ritornelli se ne sentivo il bisogno. Sono cresciuto con un tipo di sound che comprende dei classici del R&B anni 2000, sicuramente oggi ho acquisito più consapevolezza, per me è una questione di musica sia che stia rappando sia che stia intonando delle melodie, non mi pongo dei limiti».

È stata magari una scelta influenzata dai tuoi ascolti più recenti? Cos’hai in rotazione in questo periodo?

«A dir la verità ascolto veramente di tutto, da Marilyn Manson a Jay Dilla, da Drake a tutto il nuovo suono europeo. Non sarei me stesso se non avessi una visione a 360° di ciò che rappresenta la musica. Ultimamente ho in rotazione Ab-Soul, in generale il sound TDE rispecchia a pieno il mio essere».

Anche i featuring sembrano quasi tutti funzionali a questa tipologia di sound, sei d’accordo? 

«Nel mio album ho portato artisti con cui ho sicuramente in comune l’amore per la musica, tutto ciò che ne consegue è il risultato che potete ascoltare nel disco. É una questione di necessità più che di funzionalità, ci siamo divertiti e vi abbiamo raccontato le nostre esperienze».

Tra di essi, spicca indubbiamente Ensi, con cui lavori a stretto contatto sotto la Juicy Music: come è nato questo sodalizio e come è lavorare con lui anche per aspetti diversi al “semplice” feat?

«Ensi è una persona che mi sta accanto dal primo progetto, in ogni disco non è mai mancato. Oltre l’affetto, è proprio la stima artistica reciproca che ci ha portato a decidere cosa per noi volesse dire scrivere insieme, la nostra è una questione di mentalità e il nome che abbiamo dato a questa realtà è Juicy Music Factory».

Prima di questo album hai rilasciato una serie lunghissima di #FLOWSUIGRADINI. Molti fan si aspettavano un disco, invece sono arrivati singoli su singoli. Ci puoi raccontare di più su questo periodo, quasi di transizione?

«FSG è stato il mio modo per rimettermi in rotazione dopo un periodo di silenzio, nel frattempo lavoravo a “Sangò” ma avevo tanto materiale valido, dovevo solo decidere come smistarlo. Uscire con un singolo al mese per 1 anno mi è sembrato il modo migliore per dare una continuità al mio suono e abituare i miei seguaci preparandoli a ciò che sarebbe stato l’album».

In Sabbie mobili affermi: “ho fatto cose che non potrei dirti”: in una relazione, secondo te, qual è il limite al perdono?

«Sabbie mobili parla proprio degli uomini che non riescono a trovare ordine all’interno delle relazioni, anche quando ci sarebbero tutti i presupposti per vivere tranquilli. Forse da quel punto di vista cresciamo più lentamente, e io in primis sono la prova vivente del fatto che ciò che potrebbe rendermi felice quasi mi spaventa. La monogamia è un pensiero, non dovrebbe essere una regola, soprattutto per chi è costantemente ispirato dalla donna. Quindi a un certo punto ti ritrovi quasi a non riuscire a muoverti perché, qualsiasi mossa tu faccia, rischi di affondare in quelle sabbie mobili in cui tu stesso hai deciso di immergerti».

Oltre che di amore, nel disco parli anche di senso di dispersione e di successivo ritrovamento: ora, dopo questo tuo disco, come ti senti?

«Come tutti ho vissuto dei periodi di confusione totale, la vita è soprattutto comprendersi e dovevo assolutamente provarci. Ora mi sento bene, tutti, dal pubblico agli addetti ai lavori, hanno apprezzato quest’album, di conseguenza ho ancora più voglia di mettermi in gioco, sto già scrivendo nuova musica e prestissimo vi darò modo di ascoltare nuove storie».

“Imparo a memoria il mondo per non sbattere”: nella società di oggi credi non ci sia un modo alternativo di uscire/evadere? Percepisci ci sia una paura per il diverso?

«Da sempre la natura dell’essere umano porta ad aver paura del diverso. Fin da bambino ho imparato che “diverso” è in realtà “speciale”, perché appunto si distingue dal resto. Se ci pensate, tutte le peggiori situazioni nascono dal non volere accettare qualcosa che non sia uguale, quando invece la curiosità dovrebbe essere una marcia in più che ci permette di comprendere e comprenderci meglio. Oggi viviamo in una società in cui davvero è tutto estremamente uguale e piatto, ma ciò che vediamo è la superficie, ecco perché ho deciso di tenere la testa sotto e vedere quanto il profondo riesca a darmi più emozioni. Così facendo, sviluppo un altro tipo di pensiero che riesce a farmi scrivere diversamente dal resto. Il mio modo di comprendere, fare e nutrirmi di musica sarà sempre “diverso” proprio per questo motivo, nascerà un altro pubblico che avrà bisogno di un altro tipo di musica, è inevitabile».

In questa società, abbiamo letto in giro, tu vuoi cercare di creare “un pubblico diverso”: in che modo lo vorresti diverso?

«Tutto si evolve, anche gli ascoltatori di qualsiasi genere musicale a un certo punto avranno bisogno di guardarsi dentro e capire cosa rende caldo il loro essere. Penso che proprio in Italia ci sia un pubblico giovane che cerca solo omologazione, e ci sta…ma il resto? O smette di ascoltare rap italiano oppure si accontenta del sound ma non delle argomentazioni. Io stesso, da amante del genere, ho bisogno di ascoltare storie che parlano alla mia generazione, vivo sicuramente situazioni e sentimenti diversi, la mia vita è diversa dalla vita di un ragazzino, ho bisogno di sentire rap maturo, storie che posso rivivere ascoltandole e immedesimandomi in altri artisti. Mi fa male guardare un rapper quarantenne anche bravo ma che parla di stronzate da liceale, credo sia così per tutti, quindi se nascesse un nuovo pubblico esigente, sicuramente si creerebbe un nuovo mercato abbastanza ampio che aiuterebbe tutti, la musica in primis».

Recentemente su Prime Video è uscita la serie TV The Bad Guy, potenzialmente uno dei prodotti migliori del 2022 italiano, e qui c’è una rielaborazione grottesca, Tarantiniana, della mafia odierna. In “Palermo un giorno diverso” descrivi una città bella e dannata. Oltre ai fatti tristemente noti che tutti conoscono e che spesso chi vive lontano ti chiede, cos’è secondo te Palermo?

«Quello di Palermo è un popolo magico, la città intesa solo come luogo non avrebbe altro che belle spiagge e monumenti, ma è proprio la gente che crea la storia, il presente e il futuro di Palermo. Tante volte ho dovuto fare i conti col passato di questo posto, che sembra continuare a tormentarci, la mafia è una mentalità che involontariamente ci è stata impartita culturalmente e spesso non ci si accorge di quanto questo si ripercuota sulle nostre vite in ogni campo. Non so se cambierà mai, ma sicuramente far finta che non esista non porterà a un reale cambiamento futuro. Le vite di questo posto sono preziose finché decidiamo di mostrarle a tutti con pregi e difetti. Io sono nato a Palermo e a Palermo sto crescendo mio figlio. So che lui avrà ancora più interesse a viverla in “un giorno diverso”».