«Hardcore è sinonimo di libertà» – Intervista a Kappa-O

Kappa-O

Abbiamo realizzato un’intervista a Kappa-O in occasione del suo ultimo album Kappa-O Vs L’Universo.

Quando mi venne proposto di realizzare un’intervista a Kappa-O la mia reazione fu un misto tra incredulità, euforia e timore. Ero consapevole della caratura artistica del soggetto in questione: uno tra i massimi esponenti dell’odierna scena rap hardcore nazionale e felsinea.

Il giorno dell’intervista mi reco in Bolognina, l’appuntamento è presso lo storico centro sociale XM24. Risolte le dovute presentazioni, decidiamo di sistemarci in un bar limitrofo che scoprirò, solo in seguito, essere abituale punto di ritrovo di Dj Lugi. Ordiniamo due caffè, ci sediamo ed iniziamo a parlare. Ne è scaturita un’interessantissima discussione durante la quale abbiamo avuto modo di spaziare tra tematiche eterogenee quali: la filosofia, il cinema, la letteratura, la trap, la politica, Joe Cassano e l’evoluzione artistica della scena underground bolognese.

Le grafiche sono state realizzate da Capitan Artiglio, giusto? E, correggimi se sbaglio, in copertina è raffigurato He Man?
«Si, le grafiche provengono tutte dal genio artistico di Capitan Artiglio. Collaboriamo ormai da 5 anni a partire da quando realizzò la copertina di Bad Taste. Artiglio ha inoltre lavorato con Murubutu, curando il layout dei suoi ultimi due o tre album. Il personaggio riportato è Skeletor, celebre antagonista di He-Man».

È un progetto in cui vi sono continui riferimenti ai cattivi, i cosiddetti antagonisti. A ciò si coniugano perfettamente il titolo, le grafiche e le strumentali aggressive. Il mood generale dell’album è amplificato e reso – a tratti – horrorcore. Concordi con questa mia definizione? Volevo inoltre domandarti: l’adeguata chiave di lettura di tutto ciò è un manifesto alla non omologazione, all’anticonformismo e ad un persistente atteggiamento di resilienza?
«Non definirei Kappa-O Vs L’universo un progetto horrorcore, ma semplicemente hardcore. Hardcore è sinonimo di libertà: si può parlare di ciò che più piace o interessa. In passato ho sperimentato qualche pezzo horrorcore: mi incuriosisce, ma non è un genere in cui mi rispecchio troppo.

Generalmente, nei miei testi, affronto gli aspetti positivi e negativi della vita – di m*rda – cui siamo quotidianamente succubi. Ne parlo utilizzando punchlines, per “alleggerire la pillola”. Concordo in parte con la visione da te espressa, anche se ho cercato di seguire me stesso per la stesura di questo – come degli scorsi – album. Ho quindi trovato molte analogie con i cattivi più noti, dei quali ho analizzato dettagliatamente le caratteristiche principali. Produco da sempre della musica di poco successo, ma continuo imperterrito sulla mia strada nonostante il riscontro ottenuto».

Questa rabbia che esprimi è la risposta ad una società consumistica che ci impone determinati modelli culturali i quali rispondono a precisi canoni di perfezione, bellezza e via dicendo? Penso alla barra di Shredder: “Sennò vaffanc*lo, disegnati tipo un eroe dei fumetti, coi denti perfetti, senza difetti sotto tutti gli aspetti”.
«È il nucleo della canzone, la sintesi perfetta. Mi descrivo per come sono, una persona comune con dei difetti. Alcuni colleghi raccontano soltanto quanto possano essere “fighi”, quanti soldi detengano o cose simili. Io sono diametralmente l’opposto. La società vuole imporci determinati canoni. La gente nasconde i propri difetti; io no. Anzi, utilizzo il rap  come strumento per ribadire questo concetto. Nella vita invece sono solito evitare le persone..».

Ti definiresti misantropo?
«Si, è presente una misantropia di fondo nell’album. L’idea generale è sempre stata quella di essere relegato al margine della società con l’intenzione di modificarla fino a distruggerla se necessario. È il filone di pensiero portato avanti anche con l’Hard Squat».

Se ti chiedessi di definirmi quest’album? Io direi esistenzialista, pessimista, neorealista, nozionistico, hobesiano, nichilista.
«Possono starci. Non voglio comunque identificarmi con un’unica definizione tra quelle da te elencate».

Ok che non parli di filosofia perché “La gente non ci capisce più un c*zzo” come dici in Shredder, posso però chiederti in quali correnti filosofiche ti riconosci maggiormente?
«La gente in passato non capiva le mie barre filosofiche. In tutte e dodici le tracce di Kappa-O Vs L’universo è presente almeno un riferimento ad un filosofo o ad una precisa speculazione astratta. Per risponderti, come detto prima, non mi riconosco in una precisa corrente filosofica. Non ho studiato, sono autodidatta. Mi affascinano tutti i grandi pensatori della storia come Socrate o Nietzsche, del quale però non condivido alcune teorie sulla psicologia. Ritengo valide tutte le teorie filosofiche, anche se alla fine io la penso con la mia testa».

Sempre in Shredder dici: “Fanc*lo la felicità che non esiste”. In che senso?
«Era sempre un rimando filosofico. Devi contestualizzare l’album e quella specifica frase: venivo da un brutto periodo appena dimesso dall’ospedale per colpa di una brutta polmonite. Avevo lasciato il lavoro, ero inc*zzato con il mondo».

“Sono odioso, sul microfono pericoloso
Bestemmio senza riposo tanto che a mio modo sono religioso”
(Shredder)

In Shredder, nella seconda strofa, c’è una citazione alla Bonus Track di Fibra o sbaglio? Ti rivedi nello “Sfiber” di Mr. Simpatia?
«La citazione non era voluta, è un rimando inevitabilmente provenutomi dall’inconscio durante la fase di scrittura.

No, non mi riconosco troppo in quel Fibra. Lui creò il proprio personaggio ispirandosi molto ad Eminem con fini provocatori. Musicalmente parlando Mr.Simpatia non mi piaceva, era troppo plasticoso: sopratutto i synth».

L’album abbonda di riferimenti cinematografici, letterari e filosofici. Posso chiederti quali sono i tre film, registi, scrittori o poeti che, secondo te, è necessario che tutti conoscano?
«Ce ne sono davvero troppi, è difficile darti una risposta precisa. Il mio regista preferito è Lucio Fulci. In pochi lo conoscono e non piace troppo stilisticamente parlando, ma per il budget che aveva ha realizzato dei veri capolavori. A freddo mi vengono in mente Tarantino, Kubrick, Sam Raimi, Cronenberg e L’Odio di Kassovitz, film che mi ha ispirato tantissimo e che reputo tuttora essere il mio preferito».

Sei un cinefilo?
«Un tempo guardavo molti film. Nel mio rap infatti erano rinvenibili maggiori riferimenti ai grandi cult. I classici me li sono visti quasi tutti. Tutti i miei dischi con l’Hard Squat sono ispirati a film: Senza Esclusione Di Colpi è un rimando alla pellicola che vede Van Damme protagonista, così Unchained a Django di Tarantino. In questo album il main topic era la figura del nemico. Generalmente viaggio sui concept album come andava negli anni ’90. Per esempio, Kappa-O Vs De Andrè era un concept disc basato su tematiche quali l’ansia e la mancanza di fiducia verso le persone».

Da quando sei in attività?
«Registro dal 2004, il primo disco con l’Hard Squat risale al 2009, il primo da solista nel 2010. Dal 2011 ho poi iniziato con i live e ad avere un seguito sempre maggiore. Sono vissuto tre anni in Inghilterra e due in Spagna, poi è arrivata Bologna. Durante tutto questo tempo ho continuato a fare musica in giro per l’Europa.

Ho lavorato dodici anni come cuoco. Negli ultimi cinque ero sotto contratto part time. Ora riesco a mantenermi con la musica, sono abbastanza stabile economicamente parlando considerando che suoniamo circa una volta a settimana e che vendiamo abbastanza merch. Ovviamente non sono ricco (ride, ndr)».

In Sagat dici: “Sono pro immigrazione perché in fondo, sono un demone di un’altra dimensione, vengo da un altro mondo”. Mi puoi spiegare meglio questa frase e la tua idea in merito?
«In Aquarius feci una barra simile dichiarandomi pro immigrazione pur sapendo di “rompere il c*zzo” a molta gente. Io mi definisco anarchico, faccio rap su ciò che penso».

Come giustifichi questa tua concezione anarchica? Sei sfiduciato dalla politica come sistema ideale o dall’odierna situazione politica italiana?
«Si sono anarchico, non ho mai votato. Non mi piace come è impostata la politica. Non mi rivedo in una società nella quale se non lavori per quaranta ore settimanali vieni considerato un nullafacente. Tengo però a precisare che non mi dichiaro né comunista né fascista, ma cosmopolita.

Odio il fatto che la società costruisca barriere immaginarie. Sono tutte cose che portano solamente a dividerci. Io sono per un mondo alternativo. Non ho mai voluto esprimere un pensiero politico per essere poi plagiato o divenire paladino di una precisa corrente. È lo stesso discorso che ti facevo prima sulla filosofia…».

E invece per quanto concerne la barra sulla Nasa presente in La lega degli Assassini?
«E’ una barra di Virux. Credo sia solo una punch, ma dovresti chiedere a lui. Penso sia una frase che rientra nel discorso generale dell’avere sempre l’universo contro. Non si trattava di teorie complottiste. Se affrontiamo il complottismo è con intento parodico o per “scherzarci sopra”».

In L’uomo Della Sabbia tiri in ballo il programma Che Tempo Che Fa: paradigma dell’informazione media fornita dalla televisione italiana. Volevo chiederti: non credi che in Italia un determinato tipo di stampa sia altamente dannosa per quanto concerne il panorama hip-hop? Oltre a creare enorme disinformazione con servizi spesso bigotti ed inadeguati…

«Il titolo si riferisce al romanzo di Hoffman, pubblicato nel 1815. Capisco la tua posizione, ma non era ciò che volevo dire io. Facevo un discorso strettamente personale. Non volevo criticare Che tempo che fa. Avevo visto Willie Peyote, con cui in passato avevo condiviso palchi durante live, ospite da Fazio. La barra si riferiva al fatto che sono senza speranze: io, a causa della mia musica hardcore, non potrò mai arrivare al pubblico mainstream della televisione.

Per rispondere alla tua domanda: in Italia devi essere mainstream, o adeguarti a ciò che ti chiedono, per essere calcolato dai principali canali mediatici nazionali».

Hai Toppato: è inevitabile la domanda su Joe Cassano e sulla scuola bolognese. Trovi che la scena artistica locale sia in espansione o regressione? Volevo inoltre chiederti di parlarmi dell’Arena 051, storica istituzione cittadina..
«Fino a qualche anno fa, con l’Arena 051, la scena locale era decisamente più florida. Suonavamo al Sottotetto, e tutta Bologna era presente alle jam. L’Arena si è poi fermata dopo dieci anni di costante attività. Tieni conto che si trattava di un progetto interamente no profit. I soldi venivano reinvestiti ogni mese, ed è anche capitato che talvolta ci siamo “andati sotto”. Organizzare richiedeva un sacco di impegno, tempo ed energie. Molti del team hanno poi avuto figli o altre carriere nel mondo della musica. L’obiettivo comunque era portare avanti un preciso credo Hip-Hop».

Sangue Misto, Inoki, Kappa-O: cosa ne pensi del parallelismo?
«Può starci come collegamento dato che alla fine ora rappresento Bologna. Non sono però del tutto paragonabile. Ognuno ovviamente appartiene al proprio genere musicale ed è “figlio del proprio tempo”.

Inoki comunque spinge ancora parecchio, lo dimostra il suo ultimo pezzo – Antifake – prodotto da Dj Dima con cui lavoro da anni».

“Mando questi ragazzini a casa, capo ti spacco sul capo il disco d’oro di Capo Plaza. Qua, è fuori moda essere vero sui beat. Qui, i finti g fanno finte risse ad Hip Hop Tv.”
(Trauma Cranico)

Mi verrebbe da dire che il tuo gusto, e le tue antipatie, musicali sono sempre state abbastanza chiare. È sufficiente ascoltare tracce come Teschio Rosso, la stessa Hai Toppato, o parte delle tue vecchie produzioni. Hai sempre espresso un’opinione precisa, che condivido in pieno. Volevo chiederti un parere sulla scena trap – e rap – odierna. In particolare volevo domandarti: non credi che la trap sia un genere musicale che riflette una precisa condizione economico sociale propria di questo momento storico?
«Non voglio fare la parte di quello che odia il nuovo “a priori”. Da produttore non mi piacciono quei suoni. La mia è una critica alla massa che segue le mode del momento, senza avere un proprio gusto musicale. Accadde la stessa cosa, anni fa, con la Dubstep o con i ritornelli cantanti in RN’B.

Secondo me, in realtà, neanche agli artisti di oggi piace – o convince del tutto – ciò che fanno. Penso che celino un proprio gusto artistico e che abbiano anche delle nozioni musicali in merito. Il loro obiettivo però è ottenere successo, a prescindere. Io invece faccio ciò che più mi interessa o stimola. È sicuramente musica molto redditizia che eleva lo status sociale dell’artista agli occhi della gente e via dicendo. Credo che la trap sia un genere differente musicalmente parlando. Per dirti, non reputo Sfera Ebbasta appartenente alla trap. Canta neomelodico sopra basi trap».

Della nuova scena chi ascolti?
«Nessuno in particolare, davvero».

A proposito, l’album è stato interamente prodotto da te eccezion fatta per due tracce realizzate da Sunday e dai DSA, giusto?
«Tutti i miei lavori sono sempre stati autoprodotti. Da quando però conobbi Sunday due anni fa iniziammo a collaborare assieme».

Posso invece chiederti cosa pensi di DJ FastCut? Come è stato collaborarci (nuovamente) in Dead Poets II e ritieni che – ad oggi – sia uno dei migliori produttori della penisola?
«FastCut spacca come produttore. Ha un gusto musicale molto alla Dj Premier stile anni ’90. Io faccio robe elaborate con tastiere, lui invece utilizza i campioni. La sua idea è quella di espandere la “cultura della doppia acca” comprendendo sempre più persone.

Sarebbe stato molto facile riproporre un lavoro simile a Dead Poets I. Invece Valerio ha voluto allargare progressivamente il numero di collaborazioni in tutte le tracce di Dead Poets II. È stato molto altruista, poteva decidere di non regalare tutto quello spazio ad alcuni artisti emergenti. Ha fatto una cosa rischiosa, e ci è riuscito perfettamente. Tanto di cappello».

La tua traccia preferita in Dead Poets II?
«La mia».

Un pensiero sulla scena hardcore italiana? Mi vengono in mente Bbo, i 16 Barre, i DSA, e Vashish. Guardando al passato penso poi a Lou X. Hai dei “nomi nuovi” da suggerire agli ascoltatori meno ferrati come me? Ritieni infine che sia un genere che in Italia deve ancora svilupparsi in toto?
«L’ambiente hardcore italiano annovera pochi gruppi. Conto in un ritorno di Vashish che però deve essere più attivo da un punto di vista artistico-musicale.

Mi sento di consigliarti gli Overmindz di Genova, che a breve realizzeranno un album in cui – forse – sarà presente anche un mio beat. Spero che la scena hardcore si sviluppi in meglio, ma ciò rimane una grande incognita. Noi ovviamente cerchiamo sempre di “spingere” il più possibile. Se qualcuno è in grado di “capire il nostro viaggio” può unirsi ai nostri ascoltatori ed allargare finalmente la ristretta nicchia.

Skeletor era un omaggio ai miei riferimenti artisti da ragazzino. I Cammelli sopra tutti..».

Ascolti altri generi oltre al rap? Immagino punk e cantautorato italiano..
«Ho avuto dei periodi punk hardcore fino ai 18 anni circa, del cui genere cerco di trasmettere l’attitude e la violenza nella musica che produco. In Inghilterra seguivo molto la scena hip hop, techno, garage rap (alla Dizee Rascal) e qualcosina di grime.

Mi è sempre piaciuta la musica anni ’60 o ’70 con artisti come De André, Guccini o Lucio Dalla. Faber, in quanto ligure, è sempre stato fonte d’ispirazione per me. Mi rivedo molto nella sua concezione di anarchia. Ho campionato i sui primi sette dischi prima che la PFM iniziasse a seguirlo, arrangiandone i pezzi, comportando una modernizzazione del suo suono».

Dopo due ore – circa – di conversazione ci congediamo. Torno a casa con una copia fisica di Kappa-O Vs L’universo e con una maglietta dell’Hard Squat che indosso fieramente mentre percorro il tragitto verso casa. Fa un caldo torrido. Attraverso i portici con Kappa-O nelle cuffiette. Ripenso all’intervista appena conclusa.

È proprio vero: la vita è una gabbia e posso dirmi realmente libero solo con in mano una penna (e l’Hip-Hop).