«Ho un rapporto di odio e amore con la provincia» – Intervista a Rafilù

Intervista Rafilù

Dopo averlo presentato in anteprima a Caserta il 16 dicembre, il 27 gennaio è uscito su tutte le piattaforme Piazza Noia, il nuovo disco di Rafilù, edito per Asian Fake – Sony.

Il progetto del rapper campano è arrivato dopo tre anni da Il figlio di Scar, il precedente disco pubblicato sotto il nome di Barracano.

L’intervista di Rapologia a Rafilù

Piazza Noia è un disco forte, c’è tanta vita dentro, il rapper ha deciso di raccontarsi nel modo migliore che un artista possa fare: non limitandosi. Sia a livello autoriale che strettamente musicale Rafilù si è messo a nudo, uscendo dalla propria zona di comfort.

Abbiamo deciso quindi di rivolgere qualche domanda a Rafilù, buona lettura!

Partendo dalla tua scelta di presentare il disco in anteprima a Caserta, che rapporto hai con la tua città? Da un lato racconti come la provincia ti abbia mostrato la parte più dura della vita, dall’altra traspare come tu ci sia molto legato…

«La provincia mi ha mostrato il lato duro, ma anche il lato morbido per certe cose, ad esempio se mi serve un favore, so a chi chiederlo, so che qualcuno ci tiene a me nel quartiere. Sicuramente è una cosa che mi fa sentire a casa, mi fa sentire amato. Poi ovviamente ogni cosa ha l’altro lato della medaglia. È un rapporto di amore-odio».

In quanto tempo è nato Piazza Noia? Come hai scelto le collaborazioni? Avevi già in mente le persone da coinvolgere? 

«Piazza Noia è nato in tempi diversi, alcuni pezzi sono di tre anni fa, altri li ho scritti a Bologna, altri ancora a Caserta. Ci ho messo un po’ di tempo perché volevo prendere la direzione giusta nel parlare di dipendenze e di temi più intimi. Mi volevo liberare da questi discorsi e quindi ho deciso di parlarne una volta per tutte, cercando di farlo nel migliore dei modi, affrontando l’argomento in tutte le sue sfumature. Quasi tutte le collaborazioni, invece, sono nate dopo aver creato il brano, ho cercato gli artisti che ritenevo perfetti per quei pezzi, tranne la traccia con Speranza che era proprio una cosa nostra, che volevo già fare e che parlasse del rapporto con lui».

In questo disco sembra tu abbia cercato anche dei momenti più orecchiabili, come nel ritornello di Stare Bene. Come sei arrivato a osare un po’ di più con la voce?

«Ti devo dire la verità, non ho cantato chissà quanto, sono rimasto nella mia zona di comfort. Ad un certo punto, però, mi serviva della musica per stare bene e quindi ho smesso di ascoltare il rap duro e crudo ed ho iniziato a sentire un po’ la musica che ascoltavano i miei amici, gli Oasis, i Nirvana, i Gorillaz, diverse cose che mi hanno ispirato a fare questo tipo di brani un po’ più morbidi».

Usi abbastanza Instagram e in alcuni momenti sei arrivato a confessarti molto su questo social, raccontando ad esempio il tuo rapporto con l’alcol. Che rapporto hai con i social? Ti penti mai di aver fatto qualche storia? 

«Certo, mi pento perché a volte ci si apre e si dicono cose troppo intime o personali. Però alla fine è anche giusto, se uno sa che io sto combattendo contro qualcosa allora sa anche che se quella sera sono in un certo modo è perché mi trovo in una certa condizione».

Prima Rafilù poi Barracano e poi di nuovo Rafilù: come mai sei tornato al tuo vecchio nome?

«Perché ho capito che è quello che mi rappresenta, il nome con cui mi chiama mia madre, è il mio nome in dialetto, fondamentalmente. Facendo un rap molto intimo, a questo punto non volevo crearmi nessun personaggio. Voglio essere me stesso».

Sono molti i riferimenti alla droga nel disco, ma anche al suicidio e alla tristezza. Come stai oggi? 

«Sto meglio anche perché ho cercato di stare bene, quindi di fare musica che mi facesse stare così. Ne sto facendo già di nuova e cerco di usarla come terapia; sono cose di cui ho parlato perché mi hanno toccato e con la pandemia ho avuto molto tempo per pensarci su e ne volevo parlare una volta per tutte, affrontarle come un nemico».

Reputo Frank un produttore abbastanza sottovalutato, in Piazza Noia ha fatto un ottimo lavoro. Quando e come vi siete conosciuti? Qual è il vostro modo di lavorare? 

«Conosco Frank da quando avevo 11 anni, siamo cresciuti insieme. Ci mettiamo in studio e lavoriamo, abbiamo gusti molto simili. Il disco comunque l’ho fatto molto anche con Simoo e Marco Maiole, tutti ragazzi di Caserta con cui sono cresciuto e che conoscono il mio stile ed il mio modo di scrivere».