Abbiamo scambiato due chiacchiere con il rapper ravennate, a pochi giorni dall’inizio del “suo” Under Fest, l’importante festival di rap underground.
Sono passati quasi due anni da “8 dicembre”, l’ultimo disco di Moder, lavoro apprezzato da pubblico e addetti ai lavori. Insieme ad altri nomi “grossi” dell’underground, il rapper emiliano ha dimostrato come l’underground possa produrre dischi di qualità arrivando ad un pubblico importante senza scendere però a compromessi di nessun tipo.
Nonostante ciò, la strada dell’emancipazione di questo sottosuolo musicale è ancora lunga: per questo e per altri motivi Moder qualche anno fa ha deciso di dar vita all’Under Fest, un festival di rap underground, probabilmente ad oggi il più importante del Paese. È alle porte la quinta edizione di questa serie di concerti e ne abbiamo approfittato per scambiare due parole con il suo artefice:
La quinta edizione del “tuo” Under Fest è alle porte: sei soddisfatto di come avete preparato questa edizione?
«Sì, son felicissimo! Quest’anno poi lo sono particolarmente perché abbiamo recuperato tutto il discorso dei cypher in maniera molto più concreta, visto che gli artisti sono tanti, infatti ci saranno 5 gruppi che faranno cypher per sera più i main. Abbiamo ricreato un “festivalone” come eravamo abituati, con molti artisti, che è la cosa che più ci piace e che volevamo ricreare a tutti i costi.»
C’è qualche artista che ti sarebbe piaciuto avere che però non siete riusciti a far venire?
«Sì, Mezzosangue! Per un sacco di motivi purtroppo non è potuto venire, ci siamo conosciuti in passato e mi sarebbe piaciuto proprio tanto ospitarlo. Però la line up è comunque una bomba, forse è la migliore di sempre. Uniamo un sacco di generazioni e di sound, Leslie ad esempio fa cose nuove, come anche Mattak e altri.»
Quello dell’Under è un nome che è sempre girato nell’underground: ti è mai venuto in mente di trasferirlo in un’altra città o fare più edizioni in un anno?
«Sarebbe bello farlo girare, renderlo quasi itinerante, però spostare la casa base no, verrebbe meno il senso del festival. Mi piacerebbe farlo in spiaggia d’estate magari, quello sì. Poi chiaramente se ce lo chiederanno da altre città sarebbe stupendo ma chiaramente è un “carrozzone” difficile da spostare. Poi quel tipo di cose in realtà in provincia hanno un senso maggiore, di aggregazione, in città più grandi passano tutti gli artisti, non avrebbe troppo senso. Le province in generale hanno bisogno di eventi come questo, infatti è stato costruito proprio dall’idea della provincia. Ci pensammo io e Brain durante le diverse serate che facevamo a Bologna, all’ XM24. Lì in città fare serate rap era normale, il nostro intento era riuscire a farle anche a Ravenna. Poi secondo me c’è anche un po’ di “romagnolità” in questo evento, è chiaramente diverso rispetto le jam di una volta, però rimane sicuramente l’idea di aggregazione.»
Considerato il successo di Claver Gold, Murubutu e altri, credi ci sia da parte dei giovani un riavvicinamento all’underground e agli eventi ad esso collegati o realtà come l’Under sono delle “cattedrali nel deserto”?
«Per me ogni storia è a sé, molti percorsi – specialmente di questi che hai citato – li conosco molto bene, anzi aggiungerei Willie Peyote all’equazione perché tutti questi nomi insieme fanno parte della storia dell’Under Festival, ma a parte questo, quello che è abbastanza palese è l’aumento del pubblico. L’ho percepito anche io che sono “meno famoso”, sulla mia pelle. Essendoci quindi diversi tipi di ascoltatori, se il rap mantiene questo livello di attenzione su di sé probabilmente potrà esserci possibilità di continuare a vedere sempre tanta gente ai concerti. Una volta, alle prime edizioni dell’Under, quando c’erano più di 150 persone era già un successone, adesso è abbastanza comune invece raggiungere risultati del genere, anche in eventi minori. Secondo me bisognerebbe tenere sempre il livello di attenzione alto, l’unica pecca di questo periodo storico in Italia è che ci si è fatti un po’ travolgere dai numeri, dalle visualizzazioni, dai followers, quindi non si è orizzontali nemmeno nell’informazione. È come se certe cose succedessero “sempre agli stessi” tranne alcune eccezioni, quando riesci ad essere “il primo dell’undergorund”, penso ad esempio a Claver che è andato a Hip Hop Tv, dove non si vedono spesso personaggi underground.»
“The Flow” era diverso in questo forse…
«Sì, sicuramente, io stesso andai a The Flow, e secondo me aveva iniziato a fare uno ottimo percorso. A dirla tutta poi girava voce che quel programma fosse una delle punte di diamante del canale, non fu loro la colpa della chiusura. E quindi a mio avviso manca la capacità di essere orizzontali perché un po’ tutti si son fatti prendere la mano dal “post facile”, dal “nome facile”, dalla polemica facile anche contro la trap, quando credo che essere in polemica con dei ragazzi di 20 anni che fanno la loro roba mi sembra ridicolo, bisognerebbe imparare a costruire percorsi insieme.»
Riguardo la tua musica mi ha colpito molto, nel vederti live, sia il tuo “trasporto” che soprattutto la risposta delle persone. Prima del disco ti saresti aspettato una risposta del genere da parte degli ascoltatori, live e non?
«Diciamo che non era scontato. Di una cosa ero sicuro: il disco mi piaceva, lo consideravo bello secondo i miei canoni musicali. Però mi ricordo che la settimana prima di uscire ero convinto al 100% che nessuno se lo sarebbe cagato, invece poi ho avuto degli ottimi feedback. È stato in un certo senso come tornare ad essere un ragazzino, mi ha riportato ai tempi in cui anni fa siamo usciti con il Lato Oscuro Della Costa. Però non me lo aspettavo molto questo riscontro, appunto perché poteva facilmente non essere capito, lo avevamo sì curato molto però al giorno d’oggi ci sono comunque moltissimi prodotti curati che non vengono catturati e l’Under serve a quello, a cercare di dare una piccola spinta all’undergound che per qualche motivo non riesce ad emergere pur meritando. Fermo restando che credo che se uno si sbatte e fa buona musica alla fine le soddisfazioni arrivano. È un po’ come diceva Piotta “se c’hai talento serve sbattimento” (ride, ndr).»
Come Claver?
«Sì assolutamente, Claver poi si è fatto davvero il culo, ha sempre fatto un sacco di musica. Per me oltre che esser un grandissimo amico da anni e un compagno di palchi è veramente da quel punto di vista un esempio per le nuove generazioni. È uno che ha sempre fatto il suo, quasi sempre con pochissimi featuring, riuscendo a farsi un nome solo con la sua musica e anche sui social comunica in maniera giusta.»
Ricordo che ai tempi di “Mr. Nessuno” decise di non mettere il disco né su Spotify né su YouTube, ricevendo anche qualche critica per questo, ma alla fine ha avuto ragione.
«Esatto, anche Mezzosangue fece una cosa simile, vendendo i dischi solo ai live, e al giorno d’oggi c’è proprio bisogno di questo, di verità. Claver è un personaggio assolutamente vero, reale, oltre che bravissimo e come dicevo si è sempre fatto il mazzo, mentre alcuni della nostra generazione si lamentavano lui faceva i dischi, dischi corposi, con molti pezzi ed è sempre andato avanti per la sua strada e quello secondo me è l’unico modo per farcela.»
Io credo poi che per quanto possa contare il successo momentaneo “facile”, tra dieci anni saranno altri i dischi che rimarranno piuttosto che quelli di un trapper “X” arrivato sulla scena da un giorno all’altro.
«Sì bravo, bisogna sempre ricordarsi cosa resta. Abbiamo mille esempi di carriere lunghe, tipo i Colle, carriere che non hanno una fine, che non sono frutto della moda o delle “foto”. Poi è anche vero che c’è una questione di contesto, alcuni sottogeneri del rap, alcune trovate più popolari in questo momento, non in tutti i contesti potrebbero funzionare. Nei club, nelle discoteche un concerto loro potrebbe essere adatto per dire, però in festival più complessi non credo siano e saranno sempre le cose giuste, dipende sempre molto dai personaggi. Fermo restando che ce ne sono alcuni molto bravi, lo stesso Ghali a me piace molto.»
Quando il personaggio supera la persona forse iniziano i problemi…
«Sicuramente, ma io credo ci sia anche un’altra questione che pochi calcolano ed è quella del pubblico: talvolta è il pubblico, in questo momento composto da molti giovanissimi, che ha bisogno di nuovi “eroi” e in qualche modo finisce per mitizzare l’artista e in questo modo lui stesso finisce per battere su questa cosa in maniera ridondante. Anche la stessa informazione poi fa il suo lavoro, io e Alessio (Murubutu, ndr) siamo usciti nello stesso anno in cui la trap ha fatto il botto e ci fu da parte di alcune penne raffinate un attacco verso questi ragazzi: articoli altisonanti, come se a quel momento non avesse più senso il rap e invece la catastrofe non è successa. Claver, Willie Peyote, Dutch Nazari sono la testimonianza che c’è spazio per tutti, è pieno di realtà interessanti, di “Cattedrali nel deserto” come dicevi prima, quindi forse non è così tanto un deserto allora (ride, ndr).»
Speriamo duri allora!
«Sì (ride ndr). Però dipende sempre dalle persone, ad oggi gli errori secondo me sono quelli o di accodarsi alle nuove tendenze a tutti i costi ‒ come alcuni hanno fatto pur non apprezzando la trap, non studiandola, ma avvicinandosi in maniera superficiale in maniera insensata – oppure osteggiandole apertamente. Il mio sogno è di ospitare in festival come l’Under artisti con suoni più nuovi, far cercar di parlare i due “generi”. L’unico rischio, dato che l’underground si rivolge solo ai più “curiosi”, è quello di un possibile “scollamento” tra i due movimenti, bisognerebbe invece aprire le “porte”. Ad esempio mi fece un sacco piacer notare che Ghali mise la mia “Viale Roma” in una sua playlist su Sto Magazine: questi sono messaggi positivi che vorrei fossero più comuni. La musica è musica e non ha data di scadenza, uno può ascoltare sia Claver, sia Murubutu e sia la trap. Il problema è che uno di quelli che ascolta solo la trap difficilmente vedrà una proposta diversa perché non gli arriva, e in questo modo non potrà nemmeno “scegliere”. Internet in realtà non è poi così libero, se hai i soldi e investi bene su internet giri, altrimenti devi avere la speranza che la gente ti porti su.»
Ma quindi quanto dovremo aspettare per il tuo nuovo disco?
«Ci sto lavorando! (ride, ndr). Però ti dirò, per me l’Under e tutte le cose che organizzo sono davvero come fare un disco. Fortunatamente vivo di questo, di arte, tra concerti che organizziamo, quelli che faccio io e laboratori. Mi sbatto al massimo per mettere la mia impronta, la mia idea, in tutto quello che faccio e in questo senso per me il festival è come un Ep (ride, ndr). Comunque il disco procede, ho scritto 8 pezzi, registrati un po’ meno perché non ho tanto tempo…»
Dacci almeno un anno: 2018 o 2019?
«L’idea sarebbe 2018 però secondo me potrebbe scivolare ai primi mesi del 2019 verosimilmente, dipende da quanto lavoro quest’estate (ride, ndr).»