Kendrick Lamar è stato scelto tra gli imprenditori più prolifici della sua generazione
“Prego che il mio c***o diventi grande quanto la torre Eiffel così posso fottere il mondo per 72 ore”
Quello riportato è una dei versi storici di “good kid, m.A.A.d city” con il quale Kendrick Lamar si è presentato non solo all’industria musicale, ma all’intero mondo. A distanza di quasi cinque anni quei versi appaiono come profetici, poiché il ragazzo di Compton è ormai divenuto a tutti gli effetti un’icona dell’ Hip-Hop mondiale. Il suo stile, le sue liriche e la sua totale dedizione al processo creativo fanno scuola in ogni parte del mondo, ed è la palese dimostrazione di come la musica possa essere intesa come strumento per combattere ed estirpare il male ed il malessere, dai luoghi e dalle persone. Non a caso, molti dei giovani che ascoltano rap o che hanno deciso di iniziare a farlo, prendono ad ispirazione la sua figura in modo da provare a lasciare un segno indelebile in questo variegato e multi-identitario percorso che l’ Hip-Hop ha da tempo intrapreso.
A tal proposito, molte sono le etichette che gli sono state attribuite, da quella del guru a quella di conscious, ma la biunivoca certezza è sempre stata il rispetto che l’artista di Compton ha avuto per questa musica, la quale lo ha cresciuto come un figlio, che a sua volta lo ha sempre ricambiato con attestati di stima importanti, dagli O.G del genere sino ai più recenti artisti. La sua è stata una scalata alla vetta vera e propria, dai primi tape sino a “To Pimp a Butterfly” e “Damn” che lo hanno definitivamente consacrato nell’olimpo dei più grandi nonostante qualcuno, ancora oggi, preferisca guardare altrove piuttosto che riconoscerne il talento cristallino. Pensare che Kendrick Lamar sia divenuto una stella per via dell’eccessiva attenzione dei mass media piuttosto che per le sue innate doti artistiche significa dimenticare quanto abbia effettivamente dato una mano a chi, come lui, ha visto la luce in un contesto violento e diseguale come quello di Compton, della California e più generalmente degli gli U.S.A, con tutte le loro risapute contraddizioni.
Kendrick Lamar non è però solo un artista ma, dote che lo accomuna a molti artisti di grossa caratura, anche un business man di grande successo. È corretto pensare che molti dei flussi economici in entrata debbano gran parte del merito allo status che acquistato non solo nella musica, ma anche nella società americana. Negli ultimi cinque anni ha guadagnato circa 80 milioni, a cui vanno sommati gli introiti per i rinnovi di partnership con Nike e Reebok, per la quale ha creato una linea che simboleggia la coesistenza della pace tra le note gang di Los Angeles Blood and Crips, la cui storia si intreccia con quella degli Stati Uniti stessi. Kendrick Lamar è stato inoltre uno dei pupilli del presidente americano, Barack Obama, il quale lo ha invitato ben due volte all’interno della Casa Bianca. Infine, si appresta in questo 2018 ad intraprendere un tour per le maggiori città d’Europa dopo che i suoi ascolti hanno raggiunto numeri vertiginosi.
In occasione di tali traguardi, la rivista americana Forbes, ha deciso di intervistarlo davanti ad una platea di circa 1.000 persone, in occasione dei 100 anni dalla sua nascita su carta stampata. Vi riportiamo di seguito la conversazione completa condotta dal giornalista Zack O’Malley Greenburg, dove Kendrick Lamar si espone su diversi argomenti molto interessanti che ben espongono l’importanza e la serietà con la quale questa musica va affrontata e che noi di Rapologia ci siamo prefissati come obiettivo.
ZOG: Un pubblico simile non dovrebbe essere un problema per Kendrick Lamar, il rapper. Ma cosa non sanno loro del Kendrick Lamar uomo? Come è iniziato l’amore per questa musica?
KL: Mi sono innamorato dell’hip-hop quando avevo 4 anni. A casa mia si ascoltava tanta musica, ogni giorno. E’ sempre stata la mia passione, è la semplicemente la mia vita. Ho iniziato a fare freestyle ad 8 anni, non penso di averlo mai detto! (ride, nrd)
ZOG: E quale è stato il momento preciso in cui hai detto: “Bene, questo è quello che voglio fare della mia vita”?
KL: Penso quando ho realizzato il mio primo brano, era veramente disastroso. È stato allo stesso tempo il punto più basso e più alto del mio percorso. Aver fallito in quel momento mi ha regalato la spinta giusta per tornare a lavorarci, per migliorarmi e per poter dire: “Questo è quello che voglio assolutamente fare!”. Il trucco è stato non arrendermi dopo aver scritto quella orribile canzone.
ZOG: Nella tua carriera hai molti mentori di un certo livello. Da Top Dawg a Dr.Dre. Dimmi, come ti hanno aiutato ad evolverti nel corso degli anni?
KL: Premetto che a Compton, o comunque a Los Angeles, in California, abbiamo degli O.G che per molti di noi hanno assunto col tempo la figura di amici, di padri o più genericamente di guida. Top Dawg stesso, quando avevo circa 15- 16 anni, ha avuto un ruolo fondamentale per il mio percorso. Non cercava di far nascere in me l’ispirazione “da strada” tramite un percorso di negatività. Piuttosto cercava di tirar fuori i nostri effettivi modi di essere cercando in ognuno di noi la positività che lo caratterizzava. Aveva uno stile, un atteggiamento ed un modo di fare diverso dagli altri. Dre è stato invece un tipo diverso di ispirazione, lui è l’ispirazione. Ha fatto moltissimo per me.
ZOG: La gente ti chiama “conscious rapper”. Ti rivedi in questa etichetta? Come ti definiresti?
KL: Ognuno ha la propria opinione ma per spiegarmi meglio ti cito una frase che tempo fa disse 50 Cent nella quale mi rivedo molto: “Siamo tutti conscious. Che tu stia facendo Gangsta Rap o Conscious Rap poco importa, l’importante è sapersi mettere a nudo, dire chiaramente quello che ti passa per la testa”. Questa frase mi ha aiutato tanto a capire me stesso ed a comprendere la percezione che la gente ha di me.
ZOG: Una delle cose che succede oggi nell’hip hop è il mumble rap. Cosa ne pensi? Quale tipo di responsabilità porta con sé questo tipo di cambiamento? E qual’è il tuo punto di vista al proposito?
KL: Le responsabilità che bisogna rispettare riguardano l’essenza stessa della musica. Bisogna rimanere concentrati su di essa ma soprattutto bisogna rispettare chi ne ha scritto la storia, i padri fondatori. Devi sempre ringraziare loro se adesso sei dove sei. Se non apprezzi cosa o chi è stato prima di te può anche andare bene, è la tua opinione, ma tienila per te. Loro ci hanno reso ciò che siamo oggi. Allo stesso tempo però io voglio sempre evolvermi. Voglio che l’Hip-Hop continui ad evolversi. Capisco quindi se i nuovi rapper non vogliono diventare dei nuovi Kendrick Lamar ma qualcos’altro. L’importante è rimanere sé stessi e diventare ciò che si è destinati a diventare.
ZOG: Quali sono state le tue fonti d’ispirazione durante la tua crescita?
KL: Sicuramente molta West Coast. Snoop, Dr.Dre, N.W.A. Ovviamente anche Tupac. Tutti loro avevano il pregio di saper raccontare le verità di Los Angeles, della California, ed in più lo trasformavano in uno stile di vita in cui la gente si riconosceva per davvero. Da piccoli non capivamo bene cosa significasse ma poi capisci subito di avere la necessità di creare la stessa empatia, lo stesso immaginario. Quando ho iniziato a tenere un microfono in mano avevo 19 anni.. Come puoi creare lo stesso filo emotivo quando hai così poca vita alle tue spalle? Quando racconti le tue storie devi allo stesso tempo raccontare quelle di chi ti ascolta. Ed è il motivo per il quale ho deciso di scavare dentro di me per tirare fuori il più possibile.
ZOG: (Cambiando argomento) La nostra classifica Hip Hop Cash Kings ti elegge ancora una volta come il migliore. Un aspetto interessante è come, in questi contratti di tipo commerciale che hai ottenuto, tu voglia infondere in modo coerente il messaggio che porti spesso nella tua musica. Un esempio sono le Reebok, una blu ed una rossa, che simboleggiano l’unione tra le due violente gang. Spiegami, come nasce questa idea di contestualizzare nell’abbigliamento un aspetto simile?
KL: È una cosa che ho sempre promesso a me stesso e che ho deciso di rispettare. Qualsiasi tipo di contratto avessi ottenuto con dei brand avrei sempre e comunque avuto il 100% del controllo sul processo creativo. Ho bisogno di poter guardare indietro e pensare: “Okay, queste scarpe rosse e blu stanno facendo qualcosa di concreto per la mia città, per Compton. Quando giro tra le mie strade e vedo che la gente ha quelle scarpe, so che hanno recepito il messaggio.” La cultura di oggi è questa, abbiamo bisogno di qualcosa che ci rappresenti e l’errore che spesso facciamo è quella di pensare solo al costo o alla marca. Nel mio caso l’etichetta non conta nulla.
ZOG: Quando vai a registrare ti trovi in una situazione complicata vero?Inizialmente hai firmato per la TDE, poi per la Aftermath di Dre ed infine per la Interscope. Come fai funzionare il tutto?
KL: Allora, innanzitutto la TDE nasce come etichetta indipendente, così come lo è la nostra mentalità ed il nostro lavoro. La firma con le due major è nata perché abbiamo subito avuto un buon feeling, ci siamo capiti. Hanno capito il nostro modus operandi ed insieme abbiamo progettato un’enorme macchina da lavoro in grado di creare, elaborare e se è il caso, distruggere, il tutto al fine di mettere su un sistema organico che risulti efficiente e coeso.
ZOG: Adesso hai anche dei talenti nella TDE da seguire e sviluppare… Ora sei diventato tu il mentore delle nuove leve.
KL: Sì, esatto, ed è una cosa molto interessante, perché posso rispecchiarmi in loro, posso tornare indietro e vedere gli errori che ho fatto io, nella musica, nel business… ed è per questo che dico loro di fare sempre ciò che li fa stare bene anche se dovesse essere rischioso o se dovesse compromettere un traguardo. Perché alla fine del giorno tutto il resto non conta, conta solamente il fatto che tu sia riuscito ad essere te stesso al 100%. Non devi mai perdere di vista il tuo processo creativo per accontentare gli altri o per fare il singolo da milioni di click. Ecco, questo è quello che provo a trasmettere agli altri nel ruolo di mentore, per il resto loro già sanno quali sono le strade da prendere.
ZOG: Hai parlato di errori. Quali sono stati i tuoi più grandi e cosa hai imparato da essi?
KL: Sì, il mio più grande errore è stato guardare al successo degli altri e pensare che potesse essere anche il mio. Ognuno ha le proprie caratteristiche, chiaro? Se tu senti la radio ad esempio, puoi notare facilmente quale sia la tendenza che l’industria musicale sta spingendo di più e questa cosa mi ha ostacolato per parecchio tempo, sino al giorno in cui ho cambiato il mio nome d’arte in quello reale, che poi è ciò che mi identifica. Raccontare la mia storia era ciò che io volevo.
ZOG: Cosa c’era dietro questo processo creativo? E come è cambiato?
KL: Funzionava così… era tipo: “Okay, posso stare qui a rappare anche per 10.000 ore cacciando più di mille barre ma… devo separare la persona dal personaggio?”. Allora ho cercato l’ispirazione dentro me e nelle persone che mi stavano attorno, nella vita di tutti i giorni. Per creare quella connessione che tanto sognavo di avere con chi mi ascoltava, dovevo scrivere qualcosa che fosse un motivo per andare avanti, qualcosa che mi rappresentasse davvero per ciò che sono. Ed allora ho scritto la mia storia per quello che sono. Ero un ragazzo apposto in una città malata (Good kid, M.A.A.D City).
ZOG: Wow, questa storia ha dell’incredibile. Penso che tu abbia avuto negli ultimi 12 mesi dei numeri incredibili a livello di consumo della tua musica. Che ruolo pensi abbia avuto l’esplosione dello streaming nell’esportare il tuo messaggio e più in generale nella tua carriera?
KL: Questo è secondo me un nuovo modo di interpretare e recepire la musica. Ovviamente internet ha giocato un ruolo molto importante in questo caso. È un tipo di consumo diverso. Molti, come me, degli anni ‘90 sono abituati alla cassetta o al cd, quindi a possedere fisicamente un prodotto e di conseguenza recepirne in modo tangibile il suo valore. Questa idea della gente che non è più abituata ad acquistare gli album e, di conseguenza, non li sentono e non li vedono, mi ha fatto entrare in un meccanismo di cambiamento che ancora devo comprendere a pieno, essendo cresciuto lontano dalla tecnologia.
ZOG: Hai parlato degli anni ’90, gli anni nei quali l’Hip Hop emerse. Gli anni del risveglio quando con gran stupore divenne uno dei generi dominanti dell’intera nazione. Penso che quel risultato stupì la gente. Così come poche settimane fa quando è stato dichiarato che l’Hip Hop è il genere più ascoltato in America e tutto il popolo è diventato cosciente di ciò, come a dire: “Mio Dio, l’Hip-Hop è proprio qui, esiste”. Ma l’Hip Hop esiste da più di 40 anni… Quando pensi che la gente abbia finalmente realizzato al 100% questa situazione?
KL: L’Hip Hop è sempre stato il genere musicale definitivo per eccellenza, anche quando non c’erano questi numeri. Anche quando non c’erano queste statistiche a dimostrarlo abbiamo sempre spostato l’asticella, siamo sempre stati una cultura. Possiamo discuterne quanto vuoi. Noi abbiamo detto cosa è stile e cosa non lo è. Mia madre mi diceva che, nel 1987, quando sono nato, la gente diceva che non sarebbe durato più di un anno. E questa cosa mi faceva impazzire. E adesso che Jay Z è entrato nella Hall Of Fame degli scrittori di tutti i tempi cosa dicono? Questo siamo noi. Questo sono Io. Invito a tutti coloro che ancora non credono in questa musica di vedere con i loro stessi occhi cosa Jay Z ha fatto per questa cultura. Cosa ha fatto Dre e cosa ha fatto Puff Daddy. Hanno definito i canoni di cio che è e di ciò che non è.
ZOG: A proposito di Jay Z, Dre e Puff Daddy. Raccontaci cosa hanno significato loro per te dal punto di vista artistico e da quello commerciale.
KL: Beh… a livello creativo mi hanno trasmesso sicuramente la necessità di lavorare ad alto livello, e non solo nella musica. Ai miei occhi la loro è sempre stata la miglior arte. Hanno raccontato in modo lucido le loro origini, da qualsiasi posto venissero. E, ancora più importante, a livello di imprenditoria, sono riusciti a sfondare andando persino oltre l’hip hop, e per questo ne sono i principali esponenti. Potremmo parlare di Jay Z, della sua Roc-a-Fella, della sua linea di abbigliamento e della sua attitudine. Un modo di fare superbo. Quando l’ho sentito rappare ed ho sentito il suo tono, il suo atteggiarsi nel parlare di un determinato argomento. E come lo sapeva fare bene… questo è un qualcosa che non ti regala il successo. Dicevano anche che non avremmo mai sfondato al di fuori dell’Hip Hop ed invece eccoci qui. Quando pensi alla più moderna tecnologia pensi a Dre, pensi a Puff. Queste sono solo alcune delle cose, delle più grandi ambizioni che hanno caratterizzato la mia generazione. Se non fosse per loro non sapremmo neanche riconoscere i nostri errori. Potremmo sederci a fare una conversazione con questi individui e potrebbero dirci: “Okay, tu fai questo, tu fai quello, tu non fai questo. Bene, questo è ciò che io ho sbagliato”. Poter ammirare il loro percorso, ciò che fanno e ciò che hanno fatto è una benedizione assoluta.
ZOG: Cosa mi dici invece su Dre? C’era qualche consiglio particolare che ti dava?
KL: Certo! Mi dava consigli e dritte tutto il tempo. Ero a casa sua ed ero tipo: “Dio, quanto è grande questa casa”. Seriamente, nella mia testa non è passato tanto tempo, la gente guardava già al mio successo ed a ciò che avevo ma.. tutti questi ricordi mi sembra siano accaduti ieri. E lui mi rispondeva tipo: “Sì, è una casa immensa amico.. ma averla è la parte più semplice… l’importante è saperla mantenere! “. Devi continuare a lavorare. Farai molti errori durante il percorso e per questo devi chiedere se ne hai bisogno. Questo è qualcosa che sto imparando. Ancora non so tutto ciò che dovrei sapere, ho ancora molto da chiedere. Non sono ancora un veterano in questo ambiente, sia per quanto riguarda il business al di fuori della musica che per quanto concerne al mio processo creativo nell’essere un’artista. Devi chiedere, e questo è un qualcosa che mi tiene sempre con la mente sveglia.
ZOG: (Cambiando argomento) Sei stato alla Casa Bianca un paio di volte. Credo che tu sia il rapper preferito di Barack Obama! Cosa ha significato per te, un ragazzo di Compton, arrivare sino alla Casa Bianca?
KL: Per me era veramente inimmaginabile una roba simile. Barack ha dato a me, ed a molti altri artisti urban o persone della nostra comunità l’onore di camminare e di respirare l’aria di quel posto, di avere la possibilità di sederci ed intavolare una conversazione. I nostri antenati ci guardavano da lassù e non potevano che apprezzare quella situazione, dentro quella casa a parlare con lui. Potrei solo immaginare come si sentisse (Obama). Non saprei dirti cosa provo io però perché lui è il custode di quel posto e mi ha permesso di entrarvi e di conoscere determinate cose.
ZOG: Se non erro il musical preferito di Obama è “Hamilton”. Noi abbiamo avuto il piacere di ricevere una delle star di questo, Oak, cui penso spesso. Lui aveva una domanda per te che ora ti pongo: come fai a predicare il tuo messaggio sia ai fedeli che a coloro che stanno “fuori” dalla chiesa?
KL: Wow, una bella domanda… Allora, è una cosa cui penso spesso, ogni singola volta che vado in studio a registrare o a scrivere. Il miglior modo per me di analizzare e di trovare un punto di rottura in ciò che scrivo è non pormi limiti. Semplicemente non sarebbe corretto. Durante il mio processo creativo non posso aver timore che qualcuno si offenda, non avrebbe senso. Io non sento di fare ciò che faccio giusto per una fetta ristretta di persone. Io ho bisogno di fare ciò che rifletta le mie necessità, le mie verità, i miei valori. Per molto tempo pensavo tipo: “Okay, ora potrei inserire questa barra per quel tipo di gente lì..”, ma se io mi mostrassi per ciò che non sono o non penso, la gente che sta fuori dal cerchio ristretto (dalla chiesa) non potrà mai percepire chi è veramente Kendrick Lamar. Loro penseranno così che io sia qualche specie di Dio, capisci cosa intendo? Ma io sono solo un essere umano come coloro che sono dentro la chiesa così come coloro che ne stanno fuori. Per questo non è mia abitudine predicare alle persone, preferisco registrare confessando tutti i miei peccati e tutto quello che ho imparato da essi, le cose che ancora non so e le cose che ancora vorrei sapere, degli errori che ho fatto e degli errori che in futuro potrei fare. Una volta imparato questo, ho capito che mostrare i miei personali limiti è un modo per creare quell’empatia con gli altri di cui prima ti parlavo. Non a caso potrei parlarti di tutte queste cose nella stessa canzone. Sto ancora crescendo e cercando di capire un po’ di cose, ma questo penso sia il modo giusto per trovare una connessione sia con chi sta dentro che con chi sta fuori dalla “chiesa”.
ZOG: Nei periodi più difficili, a livello personale ma non solo, cosa fai quando senti che stai per arrenderti? Passi sopra tutto e vai dall’altra parte?
KL: Come faccio a far finta di niente ed a far passare tutto? Io penso che alla fine tu voglia rappresentare qualcosa nella tua vita. Non importa se le cose dovessero andare male, io voglio essere ricordato per questo. La stessa cosa è per Colin Kaepernick. Capisci? Io sono convinto che loro siano convinti che voglia mollare. In realtà lui sta resistendo per qualcosa. Mentre lo fai non puoi capire se il tuo lavoro sta andando bene o no, ma devi vedere cosa resterà alla generazione successiva di tutto ciò che stai costruendo. E se io dovessi abbandonare il mio lavoro, o sentire di non poter andare troppo lontano perché ho molti detrattori e molta gente dietro le quinte che dice che non posso farcela, o se mi dovessero scoraggiare, io ho il dovere di andare oltre quei momenti. Non c’è niente che conti più di me stesso. E’ così, ognuno di noi ha bisogno di qualcuno che creda in noi, che ci dia gli stimoli giusti per tirare fuori l’energia da trasformare in qualcosa: credi sempre nel tuo lavoro, servirà alla generazione futura per guardare a te o a qualcun altro come te come un modello cui ispirarsi.
ZOG: Abbiamo tempo per un’ultima domanda! Qui davanti a noi abbiamo migliaia di imprenditori. Molti dei quali hanno iniziato da poco il loro percorso. Hai dei consigli per loro che ti hanno poi aiutato ad arrivare dove sei oggi?
KL: Io penso che il concetto principale, e parlo sia agli uomini in carriera che a coloro che ancora inseguono i propri sogni, si riconduca ad una sola parola chiave. Quella parola è “fallimento”. Sapete quante persone hanno paura di questa parola? Circa l’80% di voi semplicemente perché spesso si ritrovano in questa situazione. Tantissime volte. L’unica soluzione resta combattere questa parola con una totale dedizione al lavoro. Non c’è altra scelta, non c’è miglior via, dovete intimidire quella parola. Perché il fallimento è un qualcosa in grado di interrompere le nostre carriere, che non ci permette di inseguire i nostri sogni, che non ci fa avere fiducia in noi stessi ed in quello che facciamo, perché abbiamo paura di ciò che la gente pensa di noi ed abbiamo il terrore che i nostri soldi finiscano. Alla fine del giorno i vostri errori ed i vostri fallimenti saranno ancora con voi, proprio qui, proprio adesso, ma è alla fine del giorno che imparerete sempre una lezione. Queste sono esperienze di vita. Potresti avere un bambino con cui parlare di questi errori, di questi fallimenti e trasformarli in energia per portare i tuoi sogni e le tue idee ad un livello successivo. Devi rimanere te stesso anche in queste situazioni, rimanere positivo e vedrai che alla fine del giorno avrai imparato qualcosa di importante che potrai trasmettere al tuo bambino per aiutarlo a costruire la sua vita, ad ispirarti ma soprattutto a resistere, sempre.
L’ambizione di diventare Kendrick Lamar
Quello che abbiamo avuto il piacere di leggere in queste righe è un Kendrick Lamar totalmente maturo e consapevole dei propri mezzi. La sua è una dichiarazione di intenti, d’amore e di forza. La fisionomia del fallimento viene meno, e viene quasi sdrammatizzata dalle parole del ragazzo di Compton che concede le sue opinioni a ruota liberi su argomenti che sono propri di ogni essere umano piuttosto che esclusivamente di personalità artistiche. Resistere, ispirarsi, rimanere veri, ricordare chi sei e da dove sei venuto, i processi creativi, il marketing, i sogni ed i fallimenti.
Questa conversazione è la dimostrazione di come oggi l’Hip Hop abbia assunto un’importanza assoluta per il futuro delle nuovi generazioni. È evidente che bisogna trarre una conclusione simile con cognizione di causa poiché non tutte le sfumature di questa musica oggi possono avere quel fine didattico ed educativo di cui vi stiamo accennando. Purtroppo, il grande compromesso che l’exploit di questa musica ha dovuto firmare è stato quello di condividere il proprio successo con la legge dei grandi numeri e del mercato che non sempre attinge a piene mani dall’aspetto culturale. Queste parole, queste affermazioni, queste testimonianze di Kendrick Lamar dovrebbero inoltre fare da monito a tutti coloro che nella vita continuano ad avere grandi ambizioni e che spesso pensano di non poterle contenere. Uno dei più grandi liricisti e personalità di spicco del nostro secolo è venuto fuori dal nulla, conquistando il mondo partendo da zero. Ognuno di noi può diventare un Kendrick Lamar nel suo piccolo, abbiate soltanto fiducia e quando verrà a mancare, leggete queste sue parole.
Fonte: Forbes