Drimer il sognatore in Lui É Morto

Drimer

Drimer, rapper trentino classe ’95 attivissimo nell’ultimo anno, pubblica il singolo Lui è morto, che ripercorre la sua storia personale in parallelo alla storia collettiva d’Italia.

Lui è morto di Drimer è la nostra storia collettiva

L’Italia è il paese che amo

Difficile, di questi tempi, non amare un Paese come il nostro, che ha esportato il fascismo e la prima videocrazia realmente compiuta… un paese di opportunisti, di furbi, e di poeti. Un paese pieno d’occasioni, dove l’arte di arrangiarsi è uno strato epidermico, una maschera botulinica gonfia, provata dal tempo… un Paese pieno di tanti Silvio Berlusconi.

Berlusconi – in quanto rappresentante locale di un potere che è stato, a tutti gli effetti, globale – ha plasmato nel bene (?) e nel male (!) un nuovo tipo di italiano: il Giano Bifronte sospeso tra passato e futuro, tra il fascismo e l’ecologia, tra l’Italia agli italiani e il liberismo economico; il contrasto, il paradosso vivente.

Morto Berlusconi, non muore certo il potere. Il potere non si distrugge, si trasforma e cambia colore. Morto Berlusconi non muore certo l’impero che ha creato, così come l’idea politica (o economica?) frutto del suo genio. Morto Berlusconi non può morire certo l’italiano che con tanto amore ha creato.

Ma forse sto divagando. E la questione si sta facendo seria. Lo sa bene Drimer quando in Carattere canta

 se racconti certe storie non ti sentono

Cronaca di una morte attesa

Ma forse certe storie vanno raccontate. E lui lo ha fatto. Dopo una serie di pezzi decisamente autobiografici, tentativi di crasi tra l’autoanalisi e l’autocelebrazione, tra l’esigenza lirica e quella autocelebrativa (non dimentichiamo che Drimer è membro della FEA, collettivo che unisce i “migliori” – anche se è una parola che non ha molto senso, ma sono tutti molto forti! – freestyler italiani), con Lui è morto compie il passo successivo.

Anche qui, in fondo, il soggetto del pezzo è Lui, Drimer, che ripercorre la sua storia. Parallelamente, però, a Lui, il grande Lui che ha colonizzato le nostre menti e i nostri ideali, per più di vent’anni. E la storia personale diventa storia collettiva.

Non era un argomento semplice. Sulla morte di Silvio Berlusconi poteva nascere uno di quei pezzi che di Lui avevano solo il nome – come in tante saghe del rap americano e nostrano, ad esempio, dove si usa il nome di un personaggio famoso, morto o ancora vivente, semplicemente per avere più hype… – . Drimer ha saputo andare oltre.

Un beat onirico, profondo, oscuro; e tre strofe – come suo solito costume – assurde, in ognuna delle quali, troviamo delle piccole gemme. Ecco la prima, dalla prima strofa:

poi esco, cresco/ come ogni adolescente sano mi ribello/ e appena ho l’occasione di riflettere io/ mio padre smette di essere un eroe, e il suo eroe di essere il mio

Il primo passo è la consapevolezza. Chi è Silvio Berlusconi? L’eroe dei nostri genitori, che lo votarono perché “è già ricco, non ha bisogno di rubare!”, si rivela per quello che è realmente.

Il secondo passo è la riflessione:

forse è stato lui il primo gangsta, rapper/la prima storia di chi ce la fa e parte senza, niente

Il terzo passo è capire cosa c’ha lasciato e da dove dovremmo ripartire per superare l’immobilismo, figlio del berlusconismo dominante dell’ultimo trentennio:

nel frattempo, tra un meme ed un commento/il parere di ognuno è già stato espresso/col giornalista che domanda una reazione a caldo/quando il corpo ancora non è diventato freddo.

Finalmente un pezzo ‘politico’. La parola politica, oggi, è diventata quasi un tabù. Al punto che, appena qualcuno cerca di alzare il livello della conversazione, e cerca di mettersi nella prospettiva di chi è contro uno stato di cose dominante viene bollato come ‘troppo politico’. Oggi parlare di politica, è un rischio.

Drimer lo ha accettato, uscendone degnamente con questo pezzo. Con questo pezzo Drimer ci consegna la prospettiva di chi ha capito che, arrivati a un certo punto, dobbiamo cominciare a essere chiari, con noi stessi e con gli altri, e dire le cose come stanno. Dobbiamo imparare a dire quello che vogliamo, come faceva Lui.

in fondo quello stronzo ha sempre detto quello che voleva/noi invece no e forse è questo il problema.