«Con Crashtest ho alzato il livello rispetto alle mie precedenti uscite» – Intervista a Drimer

Drimer

Drimer ha pubblicato venerdì 21 maggio Crashtest, il suo terzo album ufficiale, e in questa intervista ve lo vogliamo presentare più nel dettaglio.

Obiettivi ben precisi, con il rap sempre al primo posto: intervista a Drimer

Uno dei punti di riferimento del freestyle italiano e, allo stesso tempo, una delle penne più interessanti della scena nostrana proviene da casa Pluggers. Con questo disco, spera di poter aver maggiore rilevanza all’interno di un ambiente dove uno che ha sempre messo le barre e i testi prima di ogni cosa non ha così vita facile.

Dopo aver calcato i palchi da nord a sud dello Stivale e realizzato progetti ben apprezzati dai fan, Drimerino ha fatto ritorno con Crashtest, un disco che fin dai primi singoli estratti si è presentato totalmente differente da ciò che lo ha preceduto.

Ce ne ha parlato Drimer stesso, in questa interessante intervista dove abbiamo toccato diversi temi: dal disco al freestyle, passando per la politica e  alcune problematiche legate alla pandemia.

Buona lettura!

Ciao Drimer, partiamo questa intervista chiedendoti cosa vuoi ottenere con CRASHTEST, il tuo terzo album ufficiale.

«Ciao raga! Grazie per lo spazio, innanzitutto. Crashtest, come ogni progetto che ho realizzato finora, aveva due obbiettivi principali. Da una parte, alzare di nuovo il livello rispetto alle mie precedenti uscite e trasformare le tante emozioni vissute in questi due anni in qualcosa di utile e ispirante per me e per chi lo ascoltasse. Obbiettivo che, fuck it, mi sento di dire sia stato pienamente raggiunto. Dall’altra, ovviamente, l’aspirazione è sempre quella di aumentare la propria rilevanza e la platea di persone raggiunte da quello che fai. Questo potrà dirlo solo il futuro, in ogni caso sono molto soddisfatto del feedback generale che l’album sta ricevendo.»

A febbraio hai fatto il tuo ritorno con Columbine, un brano che racchiude alla perfezione lo stile di Drimer, tra rime, tecnica, cambi di flow e riferimenti politici e sulla nostra società: sbaglio o voi in Pluggers ce l’avete un po’ con il votare? Tra Massimo Pericolo che brucia la tessera e tu che strappi la scheda elettorale…

«In realtà, fin dai tempi di Noi Non Vi Vogliamo (che si chiudeva con un vero e proprio appello a votare), rispetto agli altri ragazzi di Pluggers e ai rapper italiani in generale mi sono sempre segnalato per un approccio più positivo rispetto al credere nel potere del voto. Mentre bruciare la tessera può essere un attacco frontale all’idea del voto in generale, infatti, l’atto di strappare la scheda recante i nomi dei vari candidati è stato più un attacco rivolto a quest’ultimi – alcuni dei quali vengono esplicitamente citati nel brano – che non al voto in sé. Sicuramente, le scelte che abbiamo quando entriamo in cabina sono fortemente scoraggianti: nel video, quindi, la distruzione della scheda è più che altro il simbolo della rivolta aggressiva ma coscienziosa che spero sempre brani come Columbine possano innescare in chi li ascolta.»

Poco dopo, invece, hai pubblicato Restare Solo, un brano atipico per chi ti conosce, non per i contenuti e per le strofe rappate, ma per la scelta del beat e del ritornello: ci puoi raccontare come è nato e come è stato sia scriverlo che registrarlo?

«Restare Solo è uno dei brani del disco di cui vado più fiero. È nato in maniera molto spontanea durante le primissime sessioni di produzione dell’album a fine 2019. Insieme a Ric de Large ci siamo incontrati in studio con i Deamante, gruppo con il quale Ric collaborava da un po’, e in quell’occasione abbiamo subito abbozzato strumentale e ritornello del brano. Una volta tornato a Milano, mentre iniziavo a lavorarci, sono stato come tutti investito dalla pandemia. Fortunatamente, non ho vissuto la malattia sulla mia pelle, ma l’esperienza del lockdown l’ho comunque fatta completamente solo, chiuso nel mio monolocale a Milano con tutti gli affetti distanti e irraggiungibili. Ciò mi ha portato a ragionare molto sull’idea della solitudine in generale e su tutti quei rapporti di un tempo andati piano piano a scomparire mentre inseguivo il sogno della musica. Restare Solo è diventato dunque il brano perfetto in cui sfogare queste sensazioni, cercando però di mantenere un piglio movimentato e in grado di attivare chi l’ascoltasse. L’idea era di restituire alla gente la malinconia di un rapporto interrotto, ma facendola comunque ballare nel mentre.»

Restare Solo però non è l’unico brano del disco in cui esci dalla tua zona di confort, dato che grazie anche alle variegate produzioni di Ric De Large il sound cambia di traccia in traccia. Come è stato farlo e cosa ti ha portato ad uscirne?

«Croce e delizia, punto di forza e alle volte di debolezza nel corso della mia carriera è sempre stato l’amore per tantissimi generi di rap diversi, sia a livello di suoni che di tematiche. Nella stessa giornata, cuffiette alla mano, posso passare dai brani più classici ai banger più moderni che il mercato musicale mette a disposizione. Da ciò, la voglia di sperimentare sempre. Ric de Large, poi, fornisce un assist fondamentale in tal senso, rimanendo un producer che uscendo dall’elettronica “colora” in tal senso tutte le produzioni su cui si ritrova a lavorare. Personalmente, è stata una sfida e una bellissima esperienza: creare un disco in cui riescano a convivere tracce come Scusa e Italia Marocco risultando comunque credibili non è scontato, e vedere la gente apprezzarne tutte le diverse sfaccettature mi soddisfa tantissimo.»

Tu vieni dal freestyle e, a differenza di alcuni tuoi colleghi, continui a spingerlo forte nonostante i numerosi progetti discografici che realizzi con costanza tra album, mixtape, progetti condivisi: cosa ti porta a farlo ancora, merito anche della FEA?

«Il freestyle rimarrà per sempre una parte fondamentale del mio percorso e un aspetto importante della mia persona. Ho iniziato da lì, attraverso le battle mi sono fatto conoscere e grazie a quest’arte ho stretto e rafforzato tutti i rapporti più importanti della mia vita. Ad oggi, ovviamente, sono molto più concentrato sul mio percorso discografico, ma non sono affatto concorde con la visione secondo la quale bisogna necessariamente scegliere, tra l’uno e l’altro. Purtroppo, negli anni, questa filastrocca è quasi diventata legge, ma mi piacerebbe essere l’artista che la smentisce, acquisendo man mano rilevanza in ambito discografico senza per questo dover abbandonare del tutto il mondo del freestyle.

Sicuramente, in questo senso, FEA è stata fondamentale: la sua nascita ha trasformato il freestyle, mettendo per la prima volta in evidenza la figura del freestyler in quanto artista, e non solo “performer”. Ciò ha portato il freestyle ad allargare ampiamente i propri orizzonti in quanto a obbiettivi, tipologie di eventi e livello generale: orizzonti all’interno dei quali mi piacerebbe decisamente rimanere ancora, pur continuando a preferire sempre un concerto in cui portare i propri brani ad un evento freestyle.»

Come sta la FEA? Il Covid vi ha tagliato le gambe proprio sul più bello… Pensi che mollerai mai il freestyle per dedicarti solo agli album?

«Sicuramente il CoVid è stata una brutta botta: niente come il freestyle ha bisogno della propria dimensione live per esprimersi al meglio, e rimanere d’improvviso senza eventi per praticamente due anni è stato di certo un colpo duro. Una volta realizzatasi questa situazione, dopo di che, anche FEA ha avuto il suo grado di colpe, non attivandosi subito alternativamente rimanendo dunque ferma per diverso tempo. Fortunatamente, sembrano esserci degli spiragli per la ripresa degli eventi, e nel frattempo abbiamo continuato – pur con tutte le difficoltà date dalla distanza, che per noi si moltiplicano vista la quantità e la diversità di provenienza dei membri – a lavorare al nostro album. Sono usciti già tre singoli nel corso degli ultimi mesi, e proprio mercoledì 26 maggio è uscito il quarto. Speriamo quindi di rimetterci in sesto durante questo 2021, tornando a fare ciò che ci riesce meglio dal vivo e realizzando finalmente questo disco insieme, che sarebbe un unicum nella storia del freestyle e quindi del rap italiano.

Per quanto riguarda me, invece, come ho detto il freestyle è e resterà sempre parte fondamentale di me, quindi non credo lo “mollerò” mai del tutto. Di certo, e già sta accadendo, di anno in anno le mie apparizioni alle battle di freestyle saranno sempre più rare. Per quanto giovane inizio ad essere un po’ a corto di motivazioni in tal senso, e mi aspetto che la musica arrivi ad assorbirmi tanto da impedirmi di continuare a competere. Ti confesso che il mio sogno nel cassetto sarebbe chiudere col botto, vincendo una grossa competizione e ritirandomi dalle battle subito dopo. Accada o non accada, mi troverete sempre sul palco con gli amici di FEA.»

Cosa pensi possa offrire il rap in questo periodo difficile che l’Italia sta passando e che, forse, si sta mettendo alle spalle?

«In ogni periodo storico travagliato il rap ha sempre dimostrato di avere le armi per porsi come un’ancora di salvezza e allo stesso tempo una spinta a rialzarsi. Anche nel caso dell’Italia post-CoVid, sicuramente, sarà così. Condivido, a tal proposito, una piccola speranza con te: l’idea che, dopo la fine di tutto questo, la gente inizi a ricercare ed apprezzare maggiormente gli artisti che nelle proprie canzoni sappiano affrontare anche tematiche più serie. Avremo tutti voglia, dopo il 21 giugno, di stare fuori la notte senza troppi pensieri, ed è giusto così. Ma mi aspetto o quantomeno spero che, sfogato l’entusiasmo iniziale, il pubblico (e soprattutto la critica) possa chiedere di più, rispetto ai contenuti e i messaggi che sono tanto andati per la maggiore ultimamente. Dopo ogni Medioevo c’è un Rinascimento, insomma, e l’aspirazione è di farne parte.»

Chiudiamo come abbiamo iniziato, con una domanda secca su CRASHTEST: è il tuo disco migliore e se sì, perché?
«Sì. È il mio disco migliore perché prende dai precedenti due i rispettivi punti di forza e li esalta. Inception è un disco molto profondo, a cui chi l’ha ascoltato è rimasto legatissimo, ma è anche un progetto molto “chiuso”, difficile da penetrare. La Prova Vivente, dall’altra parte, ha avuto risultati migliori per la sua qualità e modernità, ma è stato un album assai più disimpegnato. Crashtest si colloca esattamente a metà tra i due, prendendo le atmosfere e la profondità del primo e unendole ai suoni, alle skills e alla modernità del secondo. Mi aspetto quindi possa piacere molto, soddisfando sia gli ascoltatori alla ricerca di testi importanti sia quelli che vogliono solo muovere il collo. Ce n’è per tutti i gusti, insomma.»