L’autenticità come unico comandamento: intervista a Danomay

Danomay

Nella bulimica società della comunicazione odierna, dove parole come resilienza vengono abusate fino a perdere il loro significato, il termine autenticità rischia di subire lo stesso destino. Eppure, è proprio questo termine che meglio descrive il percorso artistico di Danomay e il suo album di debutto, Solo l’Anima, fuori il 30 maggio distribuito da Altafonte.

Danomay non è un novellino: la sua carriera musicale è iniziata anni fa, ottenendo ottimi consensi e feedback, tra cui quello di Ghemon. Tuttavia, a differenza di molti colleghi, ha scelto di attendere il momento giusto per pubblicare il suo primo album ufficiale, un passo fondamentale per ogni artista.

Solo l’Anima non è un album nato dalla fretta, ma piuttosto il frutto di un lavoro certosino e curato nei minimi dettagli. Questa attenzione, però, non ha penalizzato l’impatto emotivo e la comunicativa del disco, che arriva dritto al cuore di chi lo ascolta. Non è un caso che l’unica collaborazione presente sia quella con Mark De’Medici, a sottolineare l’intimità e la profondità che permeano l’intero lavoro (il cui progetto creativo è stato curato da Jacopo Baco, con le foto di Shara Ense).

Alla Scoperta di Solo l’Anima: Intervista con Danomay

Per scoprire di più su Solo l’Anima e sui retroscena di questo lavoro abbiamo intervistato Danomay. In questa conversazione, l’artista ci ha raccontato la genesi del progetto, le influenze che hanno plasmato la sua musica e il processo creativo dietro ogni traccia. Un viaggio musicale che ha attraversato Grosseto, Roma e Milano, per culminare in un’opera significativa e profondamente personale.

Solo l’Anima è un album che mescola sapientemente hip hop e sonorità rock, con l’aiuto del produttore Filippo Scandroglio (che ha prodotto l’intero progetto, con il supporto di qualche altro musicista), chitarrista della band di Lucio Corsi. Un disco significativo che vale la pena ascoltare con attenzione, non prima di aver letto l’intervista. Buona lettura!

 

Solo l’anima è il tuo primo album. Puoi raccontarci come è nato questo progetto e qual è stato il processo creativo?
«È stato un processo molto lungo. Ha attraversato più anni. È un disco figlio e vittima del perfezionismo. Ho imparato tanto in questo periodo sulla costruzione delle canzoni, anche facendo l’autore per altri, ma credo che i miei prossimi lavori saranno più istintivi. Detto questo, penso che il valore dell’album sia proprio in questa ricerca. È un disco amato e sofferto da noi che lo abbiamo fatto, questo ai nostri occhi lo rende speciale e soprattutto significativo.»

Solo l’anima è stato prodotto da Filippo Scandroglio, già chitarrista della band di Lucio Corsi. Quanto ha influito la sua esperienza sulla sonorità del disco?
«Io vengo dall’hip hop e Filippo dal rock e dal blues. Lui è un musicista incredibile. A Grosseto, fin da piccoli, le nostre rispettive scene si parlavano e si sfidavano allo stesso tempo. Volevo allargare la mia visione sulla scrittura, sentivo il bisogno di poter contare su un musicista per uscire dalla zona di comfort.

Ci mettevamo a ragionare e suonare in garage, in cucina, in studio, davanti al tirreno, in un sottoscala. Per esempio per “Le estetiste” all’inizio abbiamo campionato i Rolling Stones, io ci ho fatto un freestyle e poi abbiamo detto “ok adesso butta tutto e prendi la chitarra”. Le nuove cose che sto scrivendo sono tutte su sample ma il disco è stato fatto sempre suonando. Volevo conoscere altro per comprendere più a fondo la musica ma anche per reinterpretare l’hip hop da un’altra angolazione.»

Danomay

Il disco è stato concepito a Grosseto, abbozzato a Roma e perfezionato a Milano. Quanto hanno influenzato queste città la tua musica e il tuo approccio creativo?
«Grosseto rimarrà per sempre casa mia. Mi ha fatto crescere in mezzo alla strada conoscendo gli altri, la noia, le opportunità che sembrano sempre lontane. È come se togliendo qualcosa mi avesse dato tutto quello che serve per accendere una passione. Quando stavo a Roma uscivo a camminare e scrivevo, ancora oggi quelle giornate così semplici rimangono tra le più belle della mia vita.

Sono arrivato a Milano per concretizzare il mio progetto ma è una città che parla un solo linguaggio e non credo di essere quel tipo di persona PR di se stessa, quindi in realtà mi sta spingendo a coltivare le mie differenze e peculiarità ancora con più forza, e questo mi piace, anche se spesso non è facile. Ma mi prendo questa responsabilità.»

Il titolo dell’album è molto evocativo. Cosa rappresenta Solo l’anima per te e cosa speri che gli ascoltatori colgano da questo titolo?
«Le uscite musicali di oggi mi sembrano così cariche da sfociare nel caricaturale. Quindi l’urgenza per me è tornare all’essenza, spogliarsi di tutto ciò che mette in secondo piano la musica. Alla fine conta solo l’anima. Allo stesso tempo richiama quella che è la realtà concreta delle nostre vite, alla fine di tutto, quello che rimane di te sono le tue scelte, l’esempio e il bene che hai dato agli altri, come ti sei trasformato durante la vita che hai vissuto, alla fine rimane solo l’anima.»

Hai un solo ospite nell’album, Mark de’ Medici. Come è nata questa collaborazione e perché hai scelto di includere solo lui in questo progetto?
«Tutti gli interventi del disco sono di altri musicisti, come la tromba di Francesco Micheloni in “Andarsene” o i cori di Chantal Mersi in “Solo l’anima”. A Mark ho dato l’unico featuring vero e proprio perché abbiamo passato un bel pezzo di vita insieme, penso sia uno degli artisti più forti e sottovalutati che conosco. Volevo che fosse con me nel viaggio.»

Danomay Caraibi

C’è una traccia dell’album che senti particolarmente personale o significativa? Puoi raccontarci la storia dietro di essa?
«La risposta vera è “tutte e 10” ma, se devo scegliere, ti dico “Andarsene”. È un pezzo sulla morte e più in generale sul tempo che passa. Lo ‘Scandro’ è stato una settimana in studio cercando gli accordi giusti, poi alla fine il cervello probabilmente è andato in tilt e una notte ha sognato la musica del pezzo. Siamo tornati in studio e lui ha registrato.

Poi gli ho detto: “scendi a prenderti una birra”. Quando è tornato avevo scritto il testo e avevo ancora le lacrime agli occhi. Lui non è una persona che fa trasparire troppo le emozioni ma quando lo abbiamo messo in play e abbiamo finito di ascoltare è stato un momento dove ci siamo accorti di aver fatto una cosa bella.»

Qual è stato il brano più difficile da scrivere o produrre e perché?
«Tranne pochissime eccezioni tutti i testi sono stati scritti in molto tempo, con molta attenzione. “Esagerato” ha avuto una gestazione biblica. La prima versione è del 2017 sul beat di Loyoshi. Da quella ho riscritto delle parti di testo, abbiamo cambiato struttura, arrangiamenti, strumenti. Alla fine è venuto fuori un brano con una struttura folle ma coerente. Esagerato.»

Hai parlato della necessità di dare maggiore dignità al rapper in quanto scrittore e musicista. Cosa pensi manchi attualmente nella scena rap italiana per raggiungere questo obiettivo?
«Non credo ci sia mancanza di capacità. Quando sento rapper di 40 anni continuare a scrivere solo per ragazzi di 15 anni penso che ci sia mancanza di voglia di rischiare. Non posso credere che sia solo per il cattivo gusto. Io parlo ma alla fine sono un signor nessuno, non ho niente da perdere e allora faccio come mi pare e prendo quello che viene.

Probabilmente quando sei una star del rap hai anche paura di perdere il tuo posto. Quindi per me è importante che quelli come me abbiano voglia di rischiare, che i dischi più belli vengano da quelli piccoli che possono essere liberi. Un giovane non si può mettere da subito nella posizione di replicare lo schema di successo di qualche altro rapper famoso, deve mandare a fanculo tutti e godere nel fare la sua cosa.»

Come pensi sia cambiata la scena rap negli ultimi 10 anni? Ti manca qualcosa del passato?
«Negli ultimi 10 anni c’è stato quel passaggio di quando la trattoria diventa McDonald’s. Quindi ci guadagnano più persone, si allargano gli spazi e allo stesso tempo si uniforma il sapore, si perde qualche spezia.

Non sono un passatista, anzi da ragazzino mi prendevo anche qualche insulto dai puristi del rap per essere più aperto mentalmente ma alla fine dobbiamo far vincere la musica bella e originale altrimenti tra poco al primo posto in classifica avremo OpenAI e non ci potremo lamentare.»

Vivi da un po’ a Milano: hai mai pensato che la cultura che vede il fatturato come unico Dio, unita al fatto che è divenuta la capitale musicale italiana abbia penalizzato la creatività della musica stessa? Che rapporto hai con questa città?
«In un pezzo che non è nel disco ma uscirà prossimamente ho scritto “Milano insegna quello che la ruota insegna al criceto”. Ho conosciuto persone completamente fregate dal sistema in cui navighiamo. Ormai non se ne rendono neanche più conto. Il gioco si è spinto così in profondità da avere ripercussioni anche gravi sulla salute.

Quindi quello che voglio dire è: prendere questa cosa come un business non è obbligatorio. Io ho fatto ogni tipo di lavoro per mantenere la mia passione e cercare di non farla diventare soltanto un supplizio discografico. Se siete artisti proteggetevi perché la gente dell’ambiente non lo farà per voi.»

danomay1

Oltre alla musica, hai avuto esperienze nel cinema e nella scrittura. Come vedi l’interazione tra queste diverse forme d’arte?
«Aver scritto colonne sonore è stata un’esperienza che vorrei ripetere mille volte. Il cinema è essenzialmente la mia seconda passione più grande. Nel comporre la musica giusta è fondamentale il gioco di squadra. Quando mi hanno chiesto di scrivere le colonne sonore sulle musiche di Matteo Curallo per il documentario su Kobe Bryant non potevo semplicemente fare il pezzo che più piaceva a me ma dovevo mettere insieme lo stile della regia con la storia di Kobe e il taglio narrativo della sceneggiatura.

Il risultato finale deve essere ritenuto giusto da chi ha pensato il film. È un tipo di compromesso che può portarti a fare cose in maniera diversa da come le avresti pensate da solo ma non per questo meno belle o valide.»