Si dicono tante cose sul rap in Italia, spesso a sproposito, raramente però ci si sofferma sul potere curativo che ha su alcuni dei suoi esponenti, grandi o piccoli che siano. “Metto assieme pezzi di vita/Tutto quello che senti riguarda me, passione” diceva Johnny Marsiglia in Memory, in una traccia che potrebbe essere presa facilmente come anthem da chi vive per questa musica: lui è tra questi e ce ne ha parlato durante l’intervista realizzata a pochi giorni dall’uscita di Gara 7.
Avere il privilegio di ascoltare in anteprima un disco così ricco di sentimenti e vissuto ci ha permesso di scoprire un po’ di più cosa sia successo in questi cinque anni di attesa, sebbene nel corso delle sue sedici tracce il tema venga affrontato, eccome. Avevamo curiosità e domande che non vedevamo proprio l’ora di porre a JM, con la consapevolezza però che non si sarebbero esaurite in una videochiamata: dopotutto qualsiasi disco ha offerto ai suoi fan emozioni e considerazioni in continua evoluzione.
Gara 7 non è da meno e siamo certi rimarrà qui con noi a lungo. Speriamo che questa chiacchierata possa accompagnarvi al meglio all’uscita odierna.
Bentornato Johnny, un nuovo in bocca al lupo per la tua gara 7.
Dall’odio alla ricerca di equilibro: alla scoperta della Gara 7 di Johnny Marsiglia – Intervista
Sono tifoso dei Nuggets e questa intervista la facciamo a poche ore dal trionfo dei Denver contro Miami. Hai seguito le Finals? Cosa ne pensi di questi Playoff?
«Purtroppo non ho visto tutto, un po’ per le attività del disco, un po’ per il fatto che non riesco a rimanere sveglio fino a tardi: le mie energie crescendo si stanno limitando (ride, ndr). Ho però recuperato un po’ di partite e devo dire che mi è dispiaciuto per i Lakers, per cui son da sempre simpatizzante anche per il fatto che è la squadra di Kobe, uno dei miei giocatori preferiti di sempre. Pensavo che facessero di più, ma quando si sono trovati davanti quelle macchine dei Nuggets è stato impossibile. Poi Jokic dopo l’MVP doveva per forza coronare il tutto con l’anello!».
Torneremo poi sul tema del basket, però prima voglio chiederti una cosa, partendo dalla tua frase “io voglio solo stare bene con me stesso”: ora che il disco sta per uscire, stai bene Johnny o, come affermi nel corso del disco, ti manca ancora il respiro?
«In realtà sto meglio, perché comunque nella mia vita la serenità dipende soprattutto dalla musica, che continua ad avere un ruolo centrale. Il fatto che ci siano stati dei momenti in cui mi mancava il respiro era dovuto al fatto che ero fermo con la musica e tutto quello che facevo in studio non mi convinceva, inoltre mi sentivo poco ispirato. Automaticamente, adesso che ho in mano un disco che mi soddisfa e che sto per pubblicare, ammetto di stare meglio».
Mi fa davvero piacere sentirtelo dire…
«Grazie».
Passando alle tracce del disco, mi faccio un assist da solo per tornare sulla pallacanestro. Se penso a un giocatore a cui accostare Johnny Marsiglia penso a Derrick Rose, guarda caso il primo cestista che nomini nel disco, proprio nel brano d’apertura: ti ci rivedi un po’ in lui?
«La sua storia è molto, molto bella. È proprio l’esempio della sofferenza, di un talento che ha dovuto soffrire tanto. Nonostante lui sia entrato come il nuovo fenomeno nella Lega, ha dovuto affrontare numerose battaglie. Lui è così forte che non mi sento di dirti che, quando mi son messo a fare musica, mi sentivo come lui quando è arrivato in NBA. Però la sua storia mi affascina, perché nonostante tutto, anche se non è più un top player o una star, allo stesso tempo è uno che ha lottato e che è ancora nella Lega più importante del mondo e non è scontato dopo tutti questi anni. Ha cambiato il suo gioco, si è adattato a ciò che il suo fisico gli permette. Quando fece i 50 punti nei Timberwolves e tutto il palazzetto ha urlato “MVP, MVP!” è stato assurdo e bellissimo. Non è più il numero 1, okay, però lotta per fare ancora in qualche modo la differenza ed essere utile per una squadra. È molto bella la sua storia. Mi sono sentito un po’ come lui in questi anni, per il fatto di dover rialzarsi dopo brutti infortuni. Quella barra dell’intro è dovuta proprio a questo, al sentirsi ancora in gioco nonostante hai passato diversi momenti difficili».
Lo stesso brano termina con un discorso di Ettore Messina, disponibile su YouTube grazie alla pazzia di un tifoso che ha filmato il suo monitor e lo ha caricato online: come ci sei arrivato e perché inserirlo proprio all’inizio di Gara 7?
«Una volta stavo cercando curiosità del basket su YouTube e avevo beccato questo video. Il discorso è bellissimo, è una di quelle cose che ogni tanto vorrei sentirmi dire, perché ci sono alcuni parallelismi che puoi vedere anche al di fuori dal campo. Quando lui ad esempio dice “le cose devono essere fatte con un arbitro che magari non vede” potrebbe riferirsi al fatto che a volte dobbiamo fare le cose anche se non ci sono le condizioni per farlo. Mi piaceva tantissimo quel discorso, quindi ci siamo ritrovati a metterlo e ci sta perfettamente secondo me. Tra l’altro per il campionamento abbiamo dovuto fare dei miracoli per farlo suonare decentemente per via di quella clip registrata male, in palestra, con un riverbero devastante. Il fonico ha smadonnato come si deve per sistemarla (ride, ndr). Lui è Mocce, ha mixato anche Memory, è un mio amico molto stretto e ci tengo a lavorare con lui, è una persona che in questi anni mi è stata molto vicina».
E ti ha seguito solo per il mix o anche per il master?
«No, il master l’abbiamo fatto con Zangirolami ed è stato molto bello anche per Mocce lavorare con lui perché comunque Marco ha mixato praticamente mezza storia del rap italiano».
Il tema dell’odio è venuto fuori più di una volta durante l’ascolto. In Odio/Amo affermi “odio quando spreco tutte le mie energie nell’odio”, quindi semplicemente volevo chiederti: quanto è stato faticoso, allora, realizzare la prima parte di questa traccia?
«In quella traccia volevo affrontare il fatto che viviamo in un’epoca in cui siamo bombardati da quello che vediamo sui social e ci sentiamo a volte infastiditi da tantissime cose. Il pezzo, al contrario, termina con un piccolo elenco di ciò che amo, come per dire che alla fine le cose importanti sono realmente altre. Io vorrei trovare quell’equilibrio in cui non mi danno fastidio tante cose anche se alla fine potrei benissimo sorvolarci sopra. C’è anche una barra in Prime in cui dico “l’odio è una necessità, è l’odio che ci dà conferme“: è come quando in questo Paese vedi che chi ce l’ha fatta è spesso odiatissimo. L’odio fa parte della nostra vita, lo vediamo in tutto, anche nel mondo della musica ce n’è un sacco, sia nel pubblico che tra gli artisti stessi. Quindi è entrato in maniera naturale nel disco e nel pezzo Odio/Amo mi interessava fare questo elenco di cose che odio per poi smorzare dicendo quelle che amo, dandogli quell’importanza che si meritano. A volte pure io smadonno per cose che poi dico “ma che cazzo me ne frega?!“».
Odio/Amo è una tracce a due facce, anche nel sound: cos’è che ti piace dei brani col doppio beat? Non è l’unico esempio nella tua discografia…
«Sì, mi piace perché a volte ti dà la possibilità di allungare il pezzo. In questo periodo, in cui le tracce sono sempre più accorciate, quando riascolto Odio/Amo non mi pesa mai, non mi sembra che duri così tanto ed è anche merito del cambio del beat che dà un po’ l’atmosfera per entrare nella seconda parte. Mi piace anche perché gli artisti che seguo spesso lo fanno, come ad esempio Kendrick. Mi viene abbastanza spontaneo proporlo nei dischi».
E, oltre all’odio, immagino ci sta stata la coscienza a farti sudare parecchio in questo disco, come dici in Conversazioni: confermi?
«Sì, è dettato un po’ dall’insicurezza, che è la voce con cui parlo nel pezzo e che a volte mi ha tirato giù o non mi ha fatto sentire abbastanza pronto per espormi o, ancora, non mi ha fatto sentire soddisfatto del lavoro che faccio in studio. Quella voce penso che ce l’abbiamo un po’ tutti, è quella parte di noi che ci dice “cazzo, forse non sono abbastanza, forse quello che sto facendo non ha tutta quella importanza che credo“. Devo dire che è stato un pezzo terapeutico da scrivere. Alla fine dobbiamo fare un po’ pace con noi stessi, infatti il brano chiudo con “o convivo con te o ti uccido“, ma uccidere l’insicurezza è una cosa veramente difficile».
Certo, e può essere anche dannoso secondo me: se la uccidi magari poi affronti la vita con un approccio un po’ troppo spavaldo, no?
«Sì e comunque, come in tutte le cose, bisogna trovare il giusto equilibro, anche per far sì che l’insicurezza diventi quella voce che ti spinge a migliorarti. Allo stesso tempo devi riuscire a staccartici quando è il momento di esporsi. Però è necessaria, perché è appunto è quella voce che ti permette di migliorare nelle tue cose. Io ho messo sempre in discussione il mio lavoro, non penso mai che sia perfetto o che ho dato tutto. Ed è questo che alla fine mi permette di mostrare diversi lati di me nei dischi che faccio».
Pensi di averlo trovato questo equilibrio di cui parli?
«Lo sto cercando. Sicuramente adesso sono più sereno rispetto a prima perché, come ti dicevo, sono arrivato a fare un disco che mi rappresenta e racconta quello che ho passato. Sono contento e in questo periodo sto sicuramente meglio rispetto a qualche tempo fa. Che poi, come a tutti, mi si sono accavallate alcune vicende personali, ma sono le fasi della vita ed è normale che sia così. Ci passiamo tutti quanti e spero che chi ascolta questo disco ci riveda un disco umano, che parla di quello che, penso, passiamo un po’ tutti. È stato un periodo difficile, dalla pandemia in avanti, dove chiunque penso si sia fatto delle domande esistenziali…».
È così e ce l’hai fatta a parlarne nel disco. Mi viene in mente quando dici “mentre l’Italia vinceva tutto” e fai il parallelismo con quello che stavi passando tu, decisamente meno positivo. Credo che in questo, come in molto altro del disco, le persone ci si possano immedesimare appieno. Ben vengano i dischi come i tuoi, ti ringrazio.
«Grazie e non è scontato! Quando ho avuto il master dell’album ho detto “e adesso che cazzo gliene fregherà a chi ascolta di tutti questi discorsi?“. Eppure le prime persone che stanno ascoltando il disco, chi ha sentito qualche brano in anteprima o chi ha visto il video, mi ha scritto dei messaggi bellissimi e per me è fantastico».
Beh, chi ti conosce non si stupisce. Già in passato ci hai dato un certo tipo di emozioni, penso ad esempio a Passione, contenuta in Memory…
«Quello tra l’altro è uno dei miei pezzi preferiti di sempre. È uno di quelli che rimarranno nel mio repertorio a lungo (ride, ndr)».
Dopo anni di attesa, problemi e tanta scrittura, cosa ti ha fatto capire di avere il disco finalmente pronto?
«Per essere sincero, ho dovuto tirare una linea, costringermi, dato che ero in quel loop in cui cercavo la perfezione al 100%. Poi negli ultimi mesi mi son dovuto dare delle scadenze perché sennò non ne uscivo più. Erano cinque anni che non pubblicavo un disco e c’era una parte di me che voleva che tutto fosse perfetto, però è anche bello a un certo punto dire “basta, andiamo avanti!“».
E prima di dire basta, però, hai dubitato della tua passione: qual è stata la causa?
«Ci sono stati dei periodi in cui mi sono chiesto se fosse ancora il caso di fare musica: andavo in studio e non ero soddisfatto di quello che facevo e stavo faticando nel trovare le persone giuste con cui lavorare. Quando dico quella frase lì nel pezzo Mare D’Inverno, mi riferisco proprio al periodo in cui ho detto “forse è arrivato il momento di fare altro“. Questa roba però è troppo importante per me, quindi non mi sono arreso subito e ho cercato di portare avanti il progetto. Sicuramente trovare le persone giuste con cui lavorare mi ha dato tanto e mi ha permesso di chiuderlo, partendo dai main producer del disco – Swan e Yazee – che mi hanno dato una grossissima mano. Come anche Strage, con cui ho fatto delle lunghissime chiacchierate: lui è una persona super interessante, come Estremo, Goedi o i 2nd Roof. Insomma, le persone con cui ho lavorato mi hanno dato un grande aiuto, anche i ragazzi del mio management, del video, delle grafiche, il fotografo Andrea Bianchera. Sono ragazzi che con la loro energia mi hanno aiutato a chiudere il progetto e per me è stato importantissimo in questa fase della mia vita, avevo proprio bisogno di circondarmi di persone così. Come nel basket non vinci da solo, devi comunque avere una squadra».
E i Nuggets ne sono una prova!
«Tra l’altro mi fa super piacere che Murray sia tornato in forma. L’infortunio che ha avuto è bello pesante e non pensavo che tornasse così, è incredibile!».
Invece tu adesso affermi di sentirti fresco come Kobe nel 99…
«Adesso sì (ride, ndr). Quando scrivevo quelle barre speravo di sentire questa sensazione, però in questo momento mi sento di aver fatto il pieno di energia, anche durante i due eventi che ho fatto a Palermo e Milano ho ricevuto tanto amore. Vuoi o non vuoi questa cosa ti ricarica. Ora non vedo l’ora di fare i live e di portare in giro Gara 7».
E cos’è cambiato da quella volta in cui stavi camminando per Palermo ascoltando i provini del disco nel dicembre del 2021?
«Quando ho scritto quel tweet c’erano già dei pezzi che sono finiti nel disco. Stavo forse riascoltando Dovrei, Via Da Qua, Colpe… Stavo camminando, li riascoltavo e ho scritto quel tweet di getto. Poi vabbè, si sono aggiunti dei pezzi, altri sono stati scartati, perché volevo che tutti avessero un punto comune per quanto riguarda il suono. La maggior parte dei provini di cui parlavo in quel momento sono rimasti e si sono trasformati in quello che è il disco adesso».
Cammino per la mia città ascoltando i miei nuovi provini e sono felice per non aver mollato nel periodo peggiore. Sta roba continua ad essere la mia vita.
— Johnny Marsiglia (@J_Marsiglia) December 21, 2021
Che ruolo ha Freddo all’interno del disco?
«Lì mi sono fatto trasportare dal lavoro che ho fatto con Strage, perché volevo anche uscire dalla mia comfort zone. In questo disco ci sono sicuramente un paio di episodi in cui l’ho fatto, al contrario del passato, e quello è forse un dei momenti più introspettivi del progetto. Anche il testo è molto semplice, più basato sulle melodie. Quando l’ho scritto era un momento bello deep e penso che metterlo più o meno al centro del disco sia stata una bella scelta. Mi è venuta questa idea di fare un brano così mentre ascoltavo Freddo di Godblesscomputers – uno dei producer veramente più interessanti che abbiamo qui in Italia – di cui, infatti, c’è il sample nel brano, e sulla cui base avevo scritto la prima versione del pezzo. Poi Strage mi ha consigliato come muovermi col ritornello e ho seguito molto le sue idee, come anche quelle degli altri producer, da cui mi sono fatto influenzare. Se non fosse stato per Strage non avrei fatto un pezzo così distante da quello che ho fatto fino adesso. In questo punto del mio percorso sentivo fondamentale farsi trasportare dagli input degli altri e credo abbia fatto bene al disco».
Sì, perché poi non ne esci snaturato, come anche in Non È Un Movie: non so se altri tuoi colleghi l’avrebbero preso così quel beat, secondo me si vede anche da questo che sei un rapper serio. Come è nata? Dal beat, alla rec session.
«Grande, mi fa piacere quello che dici. Quel beat ha delle ispirazioni UK garage e ci sono parecchi artisti inglesi ascoltati in questi anni che mi hanno influenzato al riguardo. Quando abbiamo buttato giù questa strumentale, l’idea era di fare un pezzo con un sound “leggero” ma mantenendo un testo profondo, crudo, così da creare un netto contrasto, visto che poi avevamo un ritornello aperto di Thoé, che ho conosciuto dopo aver ascoltato Fiori Stanchi, un pezzo R&B bellissimo di cui mi ero innamorato. In Non È Un Movie ci piaceva l’idea di fare un brano deep con una strumentale un po’ più aperta e l’influenza UK garage era perfetta. Sono contento che ti piaccia il pezzo, perché ci tengo tantissimo ed è anche uno degli ultimi che ho fatto».
Sì è figo perchè ha una strumentale ballabile, forse la più spendibile a un pubblico più ampio, però tu sopra cos’è che offri? Un contenuto serio e quindi ha un potenziale enorme.
«Grande! Come ti ho detto viene dalla musica inglese che ho ascoltato in questo periodo, con influenze garage oppure robe con ritmica drill e accordi più soul e in queste atmosfere gli artisti che seguo ci mettono testi profondi. L’ispirazione viene da quel mondo lì, ma siamo pieni di pezzi che sono diventate delle hit che hanno una musica di un certo tipo e un testo profondo. Questo contrasto mi è sempre piaciuto».
Una della barre che più ho apprezzato è quella dove ti soffermi su La Russa e Silvio. Partendo da questo collegamento politico, volevo quindi chiederti secondo te quale possa essere il peso e il contributo del rap su questi temi.
«Non so se per forza debba avere un ruolo. Credo che quei rapper che hanno una visione materialista o frivola, in qualche modo diano un’immagine del periodo in cui stiamo vivendo. Anche quelli che non hanno contenuti ti danno uno spaccato di quello che sta succedendo. Però allo stesso tempo è figo che ce ne siano alcuni che scavano più nel profondo, per quanto anche l’altra faccia della medaglia ti dà una visione della nostra realtà».
Parlandone, mi viene in mente anche la tua vecchia barra “pioverà su sti artisti truccati”. Alla luce della piega che ha preso in questi anni il rap mi pare non sia accaduto, no?
«Non sta piovendo (ride, ndr). Mah guarda, alla fine il tempo ci darà la visione di chi rimane e chi no. Quindi penso che chi riesce a fare delle cose profonde e che rimangono ci sarà anche tra dieci anni, al di là del volume del suo pubblico…».
Mi ha colpito molto la traccia Via Da Qua, davvero personale: speri di riallacciare i rapporti con la persona a cui è dedicata? Riuscirai a dirglielo di persona che ti manca?
«È dedicata a mio fratello e in realtà scrivendola gli ho detto tutto quello che dovevo dirgli. A volte crescendo non ci siamo detti le cose face to face, però quando ho registrato il pezzo gliel’ho mandato subito ed è stato un modo per dirgli determinate cose. Io a 22 anni mi son trasferito per lavorare al Nord, lui se ne è andato invece a Bruxelles, quindi ci siamo visti sempre in maniera sporadica, nonostante ci siano stati anni in cui proprio uscivamo insieme ed eravamo nella stessa comitiva anche se è più piccolo di me di tre anni. Ho un rapporto molto particolare con lui, che è sempre stato quello più sveglio e che per strada non ci faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Era il più svelto, quello che aveva più successo con le ragazze. È sempre stato un passo avanti. Quel pezzo tra l’altro l’ho scritto durante la pandemia: era un periodo in cui stavo immagazzinando tantissimi ricordi ed è uscito proprio spontaneo».
Parlando con due amici, ho chiesto loro: se doveste pensare a un rapper americano a cui accostare JM chi vi viene in mente? Tutti e due mi hanno detto J.Cole e io ero totalmente d’accordo con loro. Tu lo sei?
«Anche lui è una fonte di ispirazione per me e sì, mi ci rivedo, semplicemente per il fatto che ha una visione molto legata alle origini del rap sempre però con una tendenza verso sonorità attuali. A me piace proprio quel tipo di rap, che dà tanta attenzione nei testi. Poi ascolto anche delle cafonate incredibili eh, a me piace ad esempio Playboi Carti e non lo diresti mai, no?».
Oddio, per me lui è proprio un no.
«Ha qualcosa che mi affascina, l’ultimo disco l’ho divorato. Poi mi piace tantissimo Drake: okay, è un artista ormai super pop, però ci sono degli elementi che mi piacciono moltissimo. Mi piacciono anche rapper un po’ underground come Mick Jenkins che mi fa impazzire, anche tutto il movimento Griselda o Roc Marciano. Amo sia le cose gravi che quelle moderne, fuori dagli schemi, anche alcune di Trippie Redd mi fanno volare, quindi spazio sempre. Certo, a livello di testi mi ispiro ad artisti come Cole e Kendrick negli ultimi anni, ma anche a Mac Miller, che mi ha sempre stupito sia nella produzione che nei testi. Da poco mi sono fissato di nuovo con un suo pezzo che si chiama REMember estratto dal disco Watching Movies with the Sound Off: ha un testo incredibile, dedicato a un suo amico morto ed è un singolo bellissimo. Le strutture dei pezzi, i beat: Mac era veramente avanti, come anche Nipsey Hussle, che nell’ultimo disco ha cercato di far combaciare un po’ la parte tecnica con l’essere più diretto, più schietto».
Ultima domanda che mi è venuta in mente mentre ascoltavo il disco e pensavo alle domande da farti. Mi son chiesto: ma come si sente JM quando fa interviste così?
«Quando ho a che fare con qualcuno che comunque ha ascoltato il disco e mi pone delle domande inerenti e interessanti come hai fatto tu ora, è bello perché posso anche sviscerare delle cose che magari sono poco chiare. È vero che nell’album dico tutto in modo abbastanza diretto, però allo stesso tempo è bello quando hai davanti una persona che ha ascoltato il progetto e sa quello di cui stiamo parlando, quindi mi fa solo piacere. Soprattutto dopo che soffri per fare un disco e ci metti tutto questo tempo attraversando diversi fasi, è bello a un certo punto parlarne, anche un po’ con leggerezza, nonostante sia un album bello tosto. Adesso ho quella lucidità che mi permette di parlarne in maniera più leggera…».
Grazie Johnny, mi raccomando, fai sì che questo non sia il tuo ultimo disco!
«Lavoriamo per questo!».