azael & Thrilljard: Live.Survive.Die (LSD), manifesto allucinato di un’anima in fuga – Intervista

Spegnere il cervello e iniziare a correre, senza meta. È questa la filosofia dietro Live.Survive.Die (LSD), il nuovo album di azael e Thrilljard, un vero e proprio pugno nello stomaco, viscerale, allucinato e violento. Michelangelo Cantagalli, in arte azael, rapper e produttore milanese con radici a Ravenna, non è nuovo a questo tipo di provocazioni. Dal suo microfono da sessanta euro a produzioni che hanno catturato l’attenzione di Billboard e del Mi Ami Festival (dove ha aperto per leggende come Bladee), azael ha sempre navigato controcorrente, sputando in faccia la vita più nuda e cruda.

Insieme a Thrilljard, suo fidato producer e complice sonoro, azael ci trascina in un vortice di 32 minuti senza sosta, un flusso di coscienza che scava negli angoli più bui e lucidi della sua mente. LSD non è solo l’acronimo di Live.Survive.Die, ma un richiamo esplicito a quella distorsione della realtà che permea ogni singola traccia. Qui, il nichilismo si trasforma in un acceleratore, un invito a buttarsi nella vita senza pensare troppo, in netta antitesi con il mantra della produttività che ossessiona la nostra epoca. Dalle critiche alla democrazia al racconto delle fragilità personali, dalla violenza dei testi alla ricerca di una fede ineffabile, azael non fa sconti. Ci siamo addentrati nelle pieghe di questo disco incendiario, un’esperienza d’ascolto che non lascia indifferenti.

La nostra intervista a azael & Thrilljard

Il titolo “Live.Survive.Die (LSD)” è un manifesto. La press release parla di un album “viscerale, allucinato e violento”. Come si intrecciano questi tre stati – vivere, sopravvivere, morire – nel racconto del disco? E in che modo l’acronimo LSD, con la sua ovvia connotazione psichedelica, ne amplifica il significato?

azael: «Nel disco parlo in particolar modo dei primi 2 stati, il terzo ancora non ho ancora avuto la fortuna di provarlo. Vivere e sopravvivere sono due costanti nel disco, anche perché parlo quasi unicamente di esperienze vissute. Il concetto è così primitivo che tendiamo a scordarlo, ognuno di noi da per scontate cose che non sono scontate. So che non ci vogliono psichedelici per capire questa successione, ma ti assicuro che il concetto, almeno nel mio caso, si è stampato indelebilmente nella testa. È difficile tornare a vedere le cose come lo si faceva prima, dopo questo tipo di risveglio.»

Questo è il vostro secondo album insieme in meno di un anno. Com’è evoluto il vostro processo creativo da “They r not like us”? Azael, tu sei anche co-produttore: come si svolge il dialogo in studio? C’è mai stato un momento in cui un beat ha cambiato radicalmente la direzione di un testo, o viceversa?

azael: «Non credo il processo si sia evoluto, siamo sempre io e Thrilljard in studio, dico le mie cose e ci siamo. In questo periodo ho rallentato con le prod., ho troppo poco tempo.»

Avete da poco aperto per Bladee al Mi Ami. Nel realizzare questo disco, avete pensato alla dimensione live? Come immaginate che questi brani possano essere performati?

azael: «In realtà il nostro è un genere molto complicato da realizzare live, credo che nel nostro caso conti più l’energia che portiamo sul palco.»

Il disco è un’immersione di 32 minuti densa e senza sosta. Una volta che l’ascoltatore riemerge, quale sensazione o pensiero vorreste che rimanesse con lui? In “Non le ho pagato i funghi” c’è la frase: “ho un ultimo pezzo di ragione rimasta / a volte sembra faccia di tutto per cancellarla”. Dopo questo processo catartico, sentite di aver recuperato un po’ di quella ragione o di averla persa del tutto?

azael: «Forse dopo questo disco di ragione ne ho persa un po’, ho detto qualcosina che potrebbe lasciare in disaccordo qualcuno. Ho capito però, che davvero non mi interessa. Io esisto per raccontare la mia versione. Avevo addirittura pensato di cambiare qualche barra, ma alla fine ho lasciato tutto com’era.»

In un panorama musicale molto affollato come quello italiano (o europeo), dove vi collocate? Sentite di appartenere a una corrente specifica o il vostro percorso è volutamente solitario e difficile da etichettare?

azael: «Io effettivamente rappo, quindi potrebbe essere un sottogenere dell’hip hop.»

Continuando su questo discorso, il disco ha una direzione abbastanza chiara e decisa; tuttavia, avete mai pensato di sperimentare con qualche brano più morbido, da usare come “cavallo di Troia” nella scena musicale, per far arrivare messaggi o atmosfere diverse in modo più accessibile al pubblico?

azael: «Credo di averlo già fatto. “l’effetto finisce” e “rancido” sono molto più morbide rispetto al resto del disco. In ogni caso non lo decidiamo mai prima, se non arrivo in studio con il sorriso è difficile essere accessibili e leggeri. E anche qui, non mi interessa del tutto esserlo, quel che viene, viene.»

La vostra musica è densa, non fa sconti e richiede un ascolto attento. A chi vi rivolgete? State parlando a una generazione specifica, a chi condivide le vostre stesse esperienze di disagio, o l’obiettivo è semplicemente esprimere la vostra visione senza un destinatario preciso in mente?

azael: «Basta ritrovarti in una mia frase e fai già parte delle persone a cui mi rivolgo.»

L’album viene descritto come un invito a “spegnere il cervello e iniziare a correre”, in antitesi al “mindset egemone che ci vuole concentrati e focalizzati”. Questa visione è una forma di liberazione o una resa di fronte a un futuro che, come rappi in “Spiritualmente…”, appare “scheletrico”? È una reazione al caos o la sua accettazione?

azael: «Il caos e la violenza sono naturali, esistono da sempre sia per l’uomo che per la fauna. Considerarci superiori, non ci rende realmente superiori. Per L.S.D. sono andato in studio quasi sempre per sfogo.»

Nei testi emergono forti contraddizioni: “oggi scelgo la vita, domani in mano un mitra” o “parlo di uccidere ma non uccido”. Azael, queste dualità rappresentano una lotta interiore o sono il riflesso di un mondo che percepisci come intrinsecamente incoerente? Quanto è importante per te che l’ascoltatore “ragioni meglio su ciò che dici”?

azael: «Io sono incoerente, tutti sono incoerenti, il mondo è incoerente. Nelle frasi che hai citato parlo di un conflitto interiore.»

In brani come “D.O.P.E.” e “Io non ci casco” ci sono barre molto dirette come “La democrazia non è giusta perché il popolo è idiota” e la riflessione sull’inutilità dell’università se destinati a un lavoro d’ufficio. Questa critica sociale è un tema portante o è più una constatazione amara che emerge dal tuo vissuto personale?

azael: «Questo “rosicare” fa ovviamente parte della mia vita personale. Non esclude però la critica sociale. Soprattutto ora, in questo momento storico in cui praticamente ogni umano è rimpiazzabile.»

Nonostante la violenza di molti testi, emergono sprazzi di grande vulnerabilità, come in “L’effetto finisce” dove dici “non mi è mai piaciuto condividere / se non con un’amicizia che sento nelle viscere”. Quanto è difficile per te bilanciare questa corazza aggressiva con la necessità di esporre le tue fragilità e raccontare aneddoti personali?

azael: «Nel disco ci sono molte parti in cui potrei risultare vulnerabile. Come in “I AM” e “NON LE HO PAGATO I FUNGHI”. Parlo anche dei miei problemi sociali e interpersonali che ho avuto con amici e con donne. È una cosa che faccio da sempre mostrare entrambe le facce della medaglia.»

La produzione è un elemento chiave dell’identità del disco. Si parla di una “sottile tensione tra contrasti”: beat cupi e sospesi contro spinte aggressive, suoni organici contro elettronici. Come hai lavorato per creare questo equilibrio instabile? E in brani come “D.O.P.E.” o “Rise/Low”, come hai utilizzato i sample vocali per trasformarli in veri e propri strumenti che dialogano con la voce di azael?

Thrilljard: «Generalmente cerco sempre di creare qualcosa che non suoni familiare a nessuno – è quello che intendo per “tensione”. Arriva un momento in cui il beat quadra ed è tutto giusto, a me piace pensare a quel momento come un ostacolo da superare, non come un obiettivo da raggiungere. Da lì in poi inizio a divertirmi, tolgo dei riferimenti melodici, sposto qualche rullante dove non andrebbe messo, metto l’808 insieme a un kick acustico jazz… Ci deve essere qualcosa di imprevedibile, di instabile, vale per tutto. Per quanto riguarda i sample vocali, la voce è lo strumento più imprevedibile di tutti. È sempre diversa in ogni momento e per ogni persona, per questo la uso così spesso.»

Il comunicato stampa menziona la volontà di “contaminare la trap a generi e atmosfere con cui solitamente non viene associata”. Quali sono state le influenze musicali “esterne” al rap che hai consapevolmente portato in “Live.Survive.Die (LSD)”? Ci sono artisti o generi specifici, magari dal mondo punk o elettronico, che hanno ispirato la palette sonora di questo progetto?

Thrilljard: «Ultimamente sto riascoltando tanti dei generi che mi hanno segnato nella vita. Ho sempre avuto delle fasi in cui facevo deep dive su un genere, adesso cominciano ad essere tanti, e in ognuno di quelli c’era qualche elemento da tenere e magari da riproporre in altre forme. Non c’è nulla di così specifico, è veramente un grande insieme di roba. Posso dirti che mentre stavamo facendo “Live.Survive.Die (LSD)” ascoltavo molta witch house, noise rock ed elettronica scura in generale.»