Nel panorama del rap italiano, dove le mode passano più veloci di una hit estiva, i 2Rari si sono ritagliati uno spazio autentico, a colpi di rime affilate e un’onestà disarmante. Tommaso e Lorenzo Ferrari, i due gemelli che compongono il duo, non sono certo gli ultimi arrivati: forti di collaborazioni con nomi del calibro di Ernia e Night Skinny, hanno da tempo dimostrato che la loro musica non è mai “vuota nel senso lirico del termine”, come si legge nel comunicato stampa del disco. Anzi, persino i loro banger più spinti sono intrisi di una maestria verbale rara, una capacità di “rappare” che affonda le radici anche in un vissuto fatto di basso e batteria, prima ancora che di rime.
Ora, i 2Rari tornano con Ferrari, il loro nuovo mixtape disponibile dal 30 maggio su Spotify e tutte le piattaforme di streaming, edito per Thaurus. Un titolo che è un cognome, un simbolo e una dichiarazione d’intenti. Lungi dall’essere un concept album, Ferrari è un tuffo viscerale nella loro identità, una raccolta di brani che fotografano la provincia con “occhi affettuosi ma disillusi”.
Tra sogni troppo grandi per le strade di casa e legami umani che diventano ancora più saldi nel cuore di una realtà a volte soffocante, i 2Rari si mettono a nudo, raccontando amore, amicizia e quella ricchezza interiore che, in fondo, è la vera Ferrari da inseguire. Abbiamo scambiato due chiacchiere con Tommaso e Lorenzo per scavare a fondo in questo nuovo capitolo della loro storia, un viaggio che promette di lasciare il segno: buona lettura!
La nostra intervista ai 2Rari
Ciao ragazzi e complimenti per il progetto, mi ha richiamato alcune vibes del primo J.Cole. Perché avete scelto di tornare con un mixtape? È un modo per darvi più libertà espressiva o per presentare una fotografia più onesta e frammentata di chi siete in questo momento?
«Grazie innanzitutto, siamo contenti ti dia un po’ quelle vibes lì, probabilmente perché veniamo da quella roba. È proprio da questo deriva la scelta di uscire con un tape che potesse rispecchiare perfettamente tutto il nostro lato viscerale, quello che siamo sino in fondo. Senza seguire schemi discografici. Era un po’ che non ci divertivamo così tanto, e le persone si stanno affezionando al progetto, proprio perché si stanno affezionando a Tommaso e Lorenzo.»
La provincia è uno sfondo fondamentale del mixtape, descritta con “occhi affettuosi ma disillusi”. Come bilanciate l’attaccamento alle vostre radici con la sensazione che, a volte, la stessa realtà possa soffocare i sogni, come quando in “Ferrari” chiedete: “Come fa uno che nasce qui ad essere un uomo felice?”.
«La provincia è il contenitore dei più grandi sognatori, peccato che sia un contenitore vuoto, poco invitante e stimolante. I sogni qui nascono perché la noia regala a noi la volontà di qualcosa di più. È difficile non rimanere attratti da questa realtà così spoglia, che però da una forza aggiuntiva rispetto ai ragazzi che hanno sempre vissuto a stretto contatto con questa realtà, che è molto più facile che giri dentro le grandi città. Difficile che uno che nasce qui possa essere felice proprio per questo motivo. Per noi è più difficile, perché qui le possibilità realmente non esistono, eppure ne andiamo fieri, perché dobbiamo combattere il doppio.»
La figura del padre e della famiglia è un tema potentissimo e ricorrente. In “Ferrari” dite “Pa’ mangiava meno per far mangiare i suoi figli” e in “Memo vocale x dio” affermate “un padre io ce l’ho / E ha fatto più lui di Dio”. Quanto ha influenzato il vostro vissuto familiare la vostra scrittura e la vostra visione del mondo?
«I nostri genitori sono stati e sono tutt’ora un esempio di vita. Ringraziamo ogni giorno di aver preso da loro la purezza che ci contraddistingue. Nostro padre ha fatto veramente tanto per noi, come nostra madre. È chiaro che queste cose ti plasmano in un certo modo. Dai più valore all’amore, quello incondizionato, a comprendere il perdono, quello che è giusto e quello che è sbagliato e che può farci uscire fuori strada. Scriviamo così probabilmente anche perché loro ci hanno influenzato con le canzoni dei loro tempi, pieni di parole, di significato. Mamma e papà dicono sempre che è importante dare un messaggio, qualsiasi esso sia.»
Siete gemelli e la forza del gruppo è un tema centrale del tape. Come funziona il vostro processo creativo a quattro mani? Come si traduce questo legame quasi simbiotico nella vostra musica?
«Sai, delle volte capita di scrivere separatamente, ma di parlare delle stesse identiche cose, è assurdo no? Eppure basterebbe questo per spiegare il legame che abbiamo noi due. Dovete tenere in considerazione che è da 24 anni che viviamo entrambi la stessa vita, senza mai perderci. Siamo entrambi responsabili della vita dell’altro, oltre che della nostra stessa. Questo vuol dire essere gemelli.»
Siete cresciuti suonando basso e batteria prima di dedicarvi al rap. In che modo questo background da musicisti, e non solo da autori, influenza il vostro modo di approcciare i beat e costruire un brano? Sentite di avere una sensibilità diversa per la musicalità rispetto ad altri rapper?
«Nessuna sensibilità diversa. Chi fa questa musica è di per sé una persona sensibile, o per lo meno dotato di un’intelligenza sensibile, ecco. Per alcuni forse non è così, ma credo che in ognuno di noi ci sia un lato meraviglioso che poi riusciamo a trasmettere. Forse si, siamo più fissati con il suono, provenendo da un altro background, più stacanovisti, più puntigliosi, chi lavora con noi in studio lo sa, e sa anche che non è molto semplice ecco.»
In “Release party” c’è una critica molto diretta alla scena musicale. Cosa vi infastidisce di più dell’ambiente attuale e qual è il valore dell’autenticità per i 2Rari?
«Nessun fastidio, in una chiamata con Ciro, lui ci disse una cosa importantissima. Il fastidio, l’invidia, il dare la colpa agli altri, è una mentalità da perdenti. Ci illumino tantissimo. Release party rispecchia un periodo molto buio, dove però avevamo tanta voglia di dimostrare molto, perché sappiamo la caratura del nostro valore. Sappiamo anche come funzionano le major, i contratti, ma questa è un’idea nostra che per qualcun altro può essere totalmente diversa, ad esempio per le persone che già ce l’hanno fatta. È un ambiente complicato, forse la nostra purezza non ci combacia perfettamente. E questa è una cosa molto limitante.»
Anche l’amore è raccontato in modo crudo e disilluso. Vedete le relazioni finite come lezioni dolorose che portano a una crescita o come ferite che restano “attaccate come mucillagine”?
«L’amore è una cosa che abbiamo sempre cercato in modo disperato. Vedete, solitamente, venendo da una famiglia piena di amore, poi qualcosa rende complicato ricambiarlo. Forse ne abbiamo a tratti avuto la nausea. Eppure, molte relazioni ci hanno spezzato il cuore. Alcune persone ancora ci mancano, ma un qualsiasi rapporto, che sia di amore o di amicizia, è in grado di cambiarti, ma non sempre di crescerti. Tutto, all’interno di una relazione, seti sei impegnato, e hai dedicato tutto stesso sino a perdere ogni energia, ti rimarrà attaccato per sempre. I rapporti umani sono belli per questo.»
In più rime emerge il vostro rapporto con la fede. Qual è il vostro rapporto con essa?
«Siamo credenti, di un Dio che in “memo vocale per dio” raccontiamo quasi come distratto, per le sue. Credo che l’attaccamento a lui sia qualcosa di realmente complicato da spiegare e affrontare. Crediamo che qualcosa abbia generato tutto quanto, che sia sbagliato dargli un nome, tutt’ora noi lo stiamo chiamando Dio, che ci mette una posizione di arroganza poter parlare di qualcosa che conosceremo solo quando non ci saremo più. Sempre rispettando chi invece ha la certezza che le cose siano andate come scritte sui testi sacri. La fede è un orientamento, e come tale va rispettato quello di qualsiasi persona.»
In brani come “Materia strada” giocate con l’immaginario street, ma in “Sala operatoria” sottolineate che un fratello si realizzerà “perché lavora in fabbrica”. Quanto è importante per voi mostrare questa dualità tra l’immaginario del rap – spesso artificioso e fasullo – e la realtà dei sacrifici e del lavoro quotidiano?
«Credo che la nostra realtà sia molto dualista, nel senso: abbiamo la strada, e alcune dinamiche che la riguardano, che realmente abbiamo vissuto. Ma d’altra perte, ricollegandoci a prima, non possiamo denigrare quello che siamo in realmente. Persone che lavorano, sodo, che hanno sempre lavorato perché di dovere. Abbiamo deciso di ignorare tante volte la strada più semplice. Perché abbiamo tanto, tantissimo da perdere.»
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Nel mixtape affrontate temi legati alla salute mentale, come in “Spifferi” dove parlate di ansia e malattia. Sentite che sia una responsabilità per un artista oggi parlare di questi argomenti, e come la musica vi aiuta a processare questi “pensieri che sembrano sibili”?
«È fondamentale, la salute mentale è preziosa. Speriamo un giorno la sanità mentale possa essere accessibile a chiunque, perché costa, e non poco. Entrambi soffriamo, parecchio, da molto tempo. La musica aiuta, ma solo perché trascrive il nostro stato d’animo. La cura è tutt’altro, la musica ti fa stare sul filo del male. È importante che le persone sappiano quanto è fondamentale parlare dei propri problemi, curarsi. Siamo la generazione con più malati mentali che sia mai esistita. È più avanti le cose peggioreranno. Il problema è il mondo in cui sembra tutto così accessibile. Un ragazzo di oggi è troppo sognatore, e pensa che sia tutto così facile da raggiungere. Poi il mondo ti dice che le cose non stanno così, e non puoi fare altro che soffrirne.»
In diversi brani, come “Release party” e “Mucillagine”, ricorrono i termini “culto” e “cultura”. Dite “Troppa cultura, non ci puoi comprare”. Cosa significa per voi essere “culto” oggi? È una questione di coerenza, di profondità dei testi, o un modo per distinguerci da una musica che percepite come più superficiale?
«Essere cultura è essere autentici, non serve altro.»
Il titolo “Ferrari” evoca un’immagine di lusso, che però nel testo si scontra con la realtà dei “buoni spesa al Lidl” e la “muffa” sui muri di casa. Questa “Ferrari” è più un’aspirazione, un sogno da raggiungere per riscattare i sacrifici della vostra famiglia, o un simbolo amaro di tutto ciò che la vostra realtà non è? Cosa vorreste quindi ottenere dalla musica in futuro, al di là della stabilità economica?
«La Ferrari credo che inizialmente potesse significare il lusso l’obbiettivo da raggiungere, in forma materiale. Poi sai, quando fai un disco cresci. Credo che in realtà la Ferrari significhi la ricchezza interiore, che ha dipinto tutto il progetto. La ricchezza interiore è un qualcosa di intestinale, la purezza salverà il mondo.»