Alla scoperta di Peter White, giovane promessa di quel “indie rap” tanto amato (e odiato)

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Nell’immenso mare di nuovi “trapper” c’è anche chi preferisce far dialogare il rap con sfumature più cantautoriali: siamo andati a conoscere meglio uno di loro, Peter White.

Spesso quando si parla della nuova ondata di indie rap – o street pop – si tende a farlo sottovalutandolo a priori, come se non fosse degno di essere una sotto branca dell’hip hop. Sarebbe un discorso sensato se si usasse lo stesso metro di paragone anche per la trap, puntualmente però ciò non avviene. A dirla tutta, in realtà, un ascoltatore un minimo attento e con un minimo di cultura dovrebbe riconoscere che per la storia musicale che l’Italia ha avuto – di cantautori di livello – questo tanto agognato indie rap potrebbe essere la naturale commistione tra i due mondi. Non a caso il boom di questi indie rapper è stato reso possibile anche e soprattutto dalle persone che, pur non avendo un background da ascoltatori di rap, hanno riconosciuto il valore di questa nuova formula artistica. Uno a pensarla così ad esempio è Willie Peyote.

Giocoforza, l’underground italiano è pieno – ma non saturo – di giovani artisti che anziché rincorrere la moda trap del momento, cercano di trattare il rap un po’ come avrebbero fatto i nostri genitori qualche anno fa, dando un peso diverso (non per questo migliore) alle parole e alla musica.

Uno di loro è Peter White, rapper romano classe ’96. Abbiamo deciso di scambiarci due chiacchiere:

Ciao Pietro, come va? Nelle ultime settimane, anche grazie a Spotify – io ti ho scoperto trovando un tuo brano in una playlist – stai cominciando ad arrivare ad un bel po’di persone: come stai vivendo questo periodo?
«Ciao, tutto bene grazie! Vivo questo periodo in maniera normale, sono molto felice che la gente stia apprezzando quello che faccio. Il riscontro più importante è sicuramente durante i live, dove ci sono parecchie persone che cantano a memoria le mie canzoni, è una bella sensazione!».

In quale genere preferisci inserirti? Ti senti dentro l’ “indie rap” ‒ o “street pop” come è stato definito da alcuni ultimamente ‒ oppure no?
«Diciamo che in realtà non mi piace l’idea di “inserirmi” in un ambito musicale.
C’è questa tendenza di classificare le cose senza soffermarsi troppo sulle differenze, sui contenuti, sulle sensazioni che un brano musicale ti provoca. Per me è più importante ciò che una canzone ti lascia la prima volta che l’ascolti piuttosto che “etichettarla” in un genere».

Da quanto tempo fai rap? Hai sempre appoggiato sonorità del genere o in passato eri più “old school”?
«Faccio rap da tanto, iniziando con il classico “freestyle tra i banchi con gli amici”.
Sono un fan dell’old school, ho iniziato a scrivere soprattutto grazie a quest’influenza».

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Ascoltando la tua musica, inevitabilmente vengono in mente Carl Brave e Franco 126 e anche su YouTube è pieno di commenti in questa direzione. Personalmente trovo che sia stupido ritenervi “uguali” perché sarebbe come giudicare ad esempio tutta la musica napoletana identica. In ogni caso, pensando anche al futuro, credi che questi paragoni potranno in un certo senso limitare il tuo percorso?
«Come ho detto prima, ritengo sia sbagliato fare una “catena” di correnti musicali.
Se così fosse, allora probabilmente 3/4 dei più grandi gruppi musicali sarebbe copie di copie. La musica è bella perché si sviluppa, si declina, si differenzia con il tempo e alla fine nasce qualcosa di nuovo. La musica è espressione. Io esprimo le sensazioni che vivo e, essendo di Roma, mi riconosco tanto nelle loro canzoni. Sfido loro a non ritrovarsi nelle mie. Per quanto riguarda i commenti li trascuro, perché in ogni canzone ci metto me stesso. Passo dopo passo continuo un percorso musicale che sta cambiando, che mi sta facendo evolvere».

Continuando a parlare della scena romana, in che rapporti sei con essa? La apprezzi? 
«Se parlo della scena romana mi sento inserito anche io in questo discorso. Se devo parlare degli altri, in alcune cose mi riconosco, in altre no. E’ normale, tutti abbiamo delle cose in comune ma anche delle differenze. Roma è una città fantastica e se uno la vive e scrive, traspare sempre».

L’indie, ma anche il rap, sono generi che grazie soprattutto alle nuove tecnologie riescono a raggiungere un pubblico ampio in pochissimo tempo, attirando quindi contemporaneamente le etichette discografiche. Tu sei entrato in contatto con qualche label?
«Ho un po’ di “contatti sparsi”, con i quali cercheremo di ampliare il mio orizzonte musicale.
Certo la tecnologia aiuta, basti vedere quanta gente oggi fa musica e la può rendere pubblica ad un livello così alto. Però per esempio, io non ho mai utilizzato un euro di sponsorizzazioni, e sono soddisfatto di questa mia scelta e, soprattutto, dei risultati ottenuti».

Il tuo modo di scrivere richiama un po’ il cantautorato: sei fan della scuola cantautoriale italiana o ascolti solo rap? In ogni caso quali sono i tuoi artisti preferiti?
«In realtà ascolto più il cantautorato del rap. Sono un fan di De Gregori, De Andre, Dalla, Battisti, Battiato, ecc… Trovo che le canzoni italiane di un po’ di anni fa abbiano un altro sapore, specialmente per l’interpretazione. Il romanticismo si è un po’ perduto, o forse si è solo adattato alla generazione attuale. Forse sono io che dovevo nascere 20 anni prima!».

Nonostante online non ci siano moltissimi tuoi brani, sono diversi i nomi che appaiono al tuo fianco, al microfono e non: Vince, El Gringo, Pajo, Dorian Kite e non solo: fate parte di una sorta di crew o siete semplicemente amici?
«Si, devo dire che sono stato molto fortunato per le collaborazioni. Sono tutti miei amici ma persone validissime al livello musicale. In particolare da quando lavoro con Vince e Dorian Kite, che saluto calorosamente, il nostro lavoro sta dando parecchi frutti. Siamo amici che si frequentano e che fanno musica insieme, ognuno ha i suoi progetti e cerchiamo di aiutarci a vicenda per raggiungerli, singolarmente ma non solo».

Ogni tuo brano è accompagnato da illustrazioni molto suggestive che richiamano il senso del brano: le realizzi tu? Al di là della musica cosa fai nella vita?
«Rispondo alle due domande in un colpo solo: realizzo le mie illustrazioni perché amo anche disegnare. Faccio architettura insieme alla musica. Il disegno delle cover è il ponte che unisce queste due mie grandi passioni». 

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Progetti futuri?
«Il progetto futuro è uno solo: un disco da poter sentire in macchina col sole andando al mare o in una giornata piovosa senza niente da fare».

Peter White, grazie per la bella chiacchierata!
«Ciao ragazzi grazie a voi!».

Di seguito i contatti di Peter White:

Booking, Facebook, Instagram, YouTube, Spotify

Correlato all’intervista con Peter White: