Kari Faux, la prospettiva senza confini della musica rap

Real Bitches Don’t Die è il nome del nuovo album di Kari Faux e questa release ci fornisce l’occasione per recuperare la discografia dell’eclettica rapper classe 1992. Nata Kari Rose Johnson, ha all’attivo diversi progetti musicali e ha fatto della propria indipendenza – artistica ed economica – la propria carta vincente.

Cresciuta a Little Rock, nell’Arkansas, e maturata musicalmente tra Los Angeles e Houston, l’mc – così come la collega Doechii – ben rappresenta la direzione che la musica rap prenderà nei prossimi anni: un’evoluzione dove i confini sonori tra i vari generi andrà sfumando sempre più.

Kari Faux: il ruolo della città natale

Figlia di una madre single, Kari viene adottata da un operaio e da una ministra cristiana conducendo poi una vita abbastanza noiosa tra le strade di Little Rock. Le abitudini e i ritmi della sua città natale avrebbero giocato un ruolo fondamentale nel suo percorso. Ai microfoni di Office, dichiara infatti:

“Amo da dove vengo. Amo l’ospitalità, il cibo, le persone. La musica è stata un’altra cosa che mi ha aiutato, era una forma di fuga. Amo anche la presenza della natura a Little Rock. Penso di essere umile per il luogo dal quale vengo.”

Diplomatasi alla locale Central High School, Kari prova a frequentare l’università, ma – ben presto – capisce di non essere tagliata per questa strada. Inizia quindi a fare musica con Malik Flint, uno dei suoi migliori amici che – con il moniker di bLAck pARty – sarebbe apparso al suo fianco varie volte.

Kari Faux trova il proprio alleato principale nel web e, in particolar modo, Soundcloud. Proprio sulla celebre piattaforma, l’artista inizia a condividere la propria musica arrivando a pubblicare il primo tape Spontaneous Generation nel 2013.

Le poche tracce che compongono il progetto – anche se liricamente prive di una maturità che arriverà con il tempo – danno fin da subito spazio all’eclettismo di Kari Faux. Spicca sicuramente Rap Game Daria con la quale Kari manifesta il proprio obiettivo: dare voce a chi è cool, ma non abbastanza per sfondare.

La svolta losangelina

È però Laugh Now Die Later (2014) a segnare una svolta nella vita e nella carriera dell’artista. Contenuto e struttura musicale delle canzoni iniziano a rendersi più nitidi, mentre Kari dà prova di una tecnica più sciolta e virtuosa rispetto al tape precedente.

Il disco inizia a fare rumore sul web fino ad arrivare alle orecchie del manager di Childish Gambino. Questi entra subito in contatto con Kari Faux e, dopo essere stato suo ospite nella natìa Little Rock, la invita a trasferirsi a Los Angeles.

L’artista si sistema quindi nella The Factory, il quartier generale della Wolf + Rothstein: una casa-studio nella quale Kari inizia a scrivere, produrre e farsi un nome al di fuori di Soundcloud. La rapper ha addirittura modo di assistere alle prime sessioni di registrazione di “Awaken, My Love!” e alla nascita della celebre serie tv Atlanta.

L’intesa artistica con Donald porta al remix di Gahdamn e a Zombies finché Drake stesso propone a Kari Faux di remixare No Small Talk. Inaspettatamente, la rapper rifiuta intenzionata fino in fondo a rimanere fedele alla propria integrità artistica: per lei, infatti, è sempre stato fondamentale lavorare con persone con le quali ha un legame più che rincorrere una hit.

“Credo fortemente nel lavorare solamente con le persone con le quali ho un rapporto sincero. Non mi piace forzare le cose. Sei in grado di dire quando una cosa è forzata e quando ti stai divertendo.”

Il periodo trascorso nella Città degli Angeli porta alla creazione del suo album di debutto – distribuito dalla label di Childish. Lost En Los Angeles esce nel 2016 e risente delle sonorità tipiche della West Coast, magistralmente unite ad elementi jazz ed elettronici.

Il disco si presenta maturo nella sua struttura lirica e nella composizione musicale. Al centro Kari Faux mette il tentativo di trovare il proprio io artistico, mentre si cimenta con le prime conseguenze di una vita da persona famosa.

La chiave di lettura è data dalla perseveranza che la rapper ha messo nella creazione di una propria identità e della ricerca di un sound unico. Kari non ha alcuna intenzione di piegarsi alle logiche dell’industria musicale contemporanea e di compromettere il proprio percorso.

Degne di nota sono la title track che, con grande maestria, dipinge le strade losangeline, Nothing 2 Lose, la cui narrazione vira verso temi quali sofferenza psicologica e depressione, nonché il banger This Right Here.

Kari Faux in stand-by: la parentesi di Primary e Cry 4 Help

L’ultimo prodotto del soggiorno californiano è l’EP Primary. Il progetto non aggiunge un tassello fondamentale alla discografia di Kari Faux limitandosi – sostanzialmente – a cementare il suo stile variegato e fortemente influenzato dal funk e dal jazz. Nel 2019, la rapper decide poi di spostarsi a Houston, la cui cultura l’aveva sempre influenzata tramite la musica di Scarface, Lil Flip e degli Underground Kinz.

Di maggiore interesse è Cry 4 Help (2019), descritto dall’autrice come una prova di vulnerabilità. Scritto e registrato durante un periodo di forte depressione, il mini-progetto rompe radicalmente con le tinte festaiole dei lavori precedenti proponendoci una cruda riflessione.

Kari lamenta la propria solitudine e l’impossibilità di circondarsi di vere persone amiche. Latch Key, che troviamo in chiusura, è il brano più cupo nel quale l’artista confessa un rapporto d’amore tormentato sfociato poi in una gravidanza indesiderata e in un aborto spontaneo: un’esperienza che l’ha messa di fronte a tutta la sua inadeguatezza.

“My period was late but I didn’t get the message/’Til the doctor said, “You have urinary tract infection/And we also took a test that says you’re six weeks pregnant”/I heard cries out to God cause my mother was a reverend/She had Jesus on the main line, frequent calls to Heaven/All the while, I’m poppin’ thyroid pills to balance out my levels/Preparin’ for motherhood, Lord knew I wasn’t ready/About two weeks later, the baby had miscarried”

Una vita da superstar di basso profilo

La pandemia dà modo a Kari Faux di rientrare a Little Rock, dove trascorre i mesi di lockdown insieme alla propria famiglia. Queste periodo le serve per fare il punto nella propria vita personale e professionale e la ritrovata serenità porta alla creazione di un’etichetta da indipendente e del mixtape Lowkey Superstar. La label – Lowkey Superstar Records, affiliata alla Don Giovanni – avrà l’obiettivo di fornire agli emergenti un porto sicura e una piattaforma attraverso la quale affermarsi.

Il progetto incarna l’essenza di Kari Faux, che lo aveva registrato con nessuna riserva in merito all’essere la versione più spensierata di sé stessa. Lowkey Superstar è, ad oggi, lo sforzo discografico più variegato della rapper nonché manifesto della sua filosofia.

Come ha avuto modo di spiegare a Band Camp, l’artista non è interessata a diventare la classica superstar ricercata da fan e media. Al contrario, il suo obiettivo è quello di andare controcorrente:

“Non mi interessa che le persone mi rincorrano per strada o che si preoccupino di chi frequento. Non mi interessa quella roba. Per questo ho aggiunto “di basso profilo” (lowkey, nda) al titolo.”

Il mixtape – arricchitosi poi con una versione deluxe nel 2021 – ci riporta ancora una volta nel mondo lirico di Kari Faux distrincandosi tra spiritualità e sessualità (While God Was Sleepin), la falsità delle persone (Actors, Rappers & Wrestlers) e la dipendenza dall’alcol (Liquor).

Lowkey Superstar rompe quindi radicalmente con le tinte cupe dei due precedenti EP per restituire al pubblico la versione migliore di Kari Faux: un pastiche di generi e di parole, magistralmente cuciti all’interno di un prodotto originale e coeso.

Real Bitches Don’t Die: in memoria di Gangsta Boo

Arriviamo dunque a Real Bitches Don’t Die, dalla scorsa notte disponibile su tutte le piattaforme di streaming. First Me è stato il singolo apripista di questa era discografica e la rapper lo ha persino portato sul palco del celebre A Colors Show.

La narrazione del brano mette ancora una volta al centro l’indipendenza intellettuale e musicale di Kari Faux:

“It’s me first, ni**a, ‘cause you know I put in work/And you know I know my worth/It’s me first, ni**a, I ain’t f*****g for no purse/Gimme head and then you skrrt”

Nella tracklist dell’album ha trovato posto non solo Big KRIT, apparso nell’ottima Turnin’ Heads, ma anche la compianta Gangsta Boo. Durante un’intervista rilasciata al podcast di NOT 97, Kari Faux ha rivelato di aver registrato con la collega a fianco a fianco e di essere rimasta stupita non solo dal suo talento, ma anche dal fatto che era solita usare ancora carta e penna per scrivere le proprie barre.

Descritto dalla critica come un’ode alle radici meridionali della rapper, l’album aggiunge un altro tassello fondamentale al percorso di Kari Faux che ha sempre saputo tramutare in concretezza la propria crescita personale ed artistica.

Profondamente radicata nella tradizione hip-hop, ma – al contempo – rivolta al nuovo, la discografia dell’artista ci offre qualcosa che il rap sembra aver perso nella cosiddetta streaming era: autenticità e integrità.