«L’idea del Suono Sporco è perché c’è il campionamento» – Intervista a Dj Fede

Dj Fede

Dal 20 gennaio è disponibile su tutte le piattaforme digitali di streaming Suono Sporco 2, il nuovo album di Dj Fede. Il concept di questa mini saga, composta da tre dischi, con il terzo in arrivo il 14 aprile, è quel suono classico, e rude, e sporco di hip-hop, campionato e scratchato, che per un appassionato di rap sono una leccornia per il palato, e che inevitabilmente rende i suoi producer album peculiari nel panorama nazionale.

L’intervista di Rapologia a Dj Fede

In occasione dell’uscita del secondo capitolo della trilogia Suono Sporco, e in attesa del terzo, abbiamo rivolto alcune domande a Dj Fede. Nell’intervista, che trovate anche in formato video, esploriamo la rilevanza nel genere del sampling e dello scratching, le affinità con la musica house e dedichiamo un ricordo al compianto Primo Brown.

La trovate di seguito. Clicca QUI se vuoi vedere la video-intervista.

Citando Primo: “E’ lo stesso suono sempre grezzo/Qualcuno che lo ha impresso ha fatto il quadro con la base con le rime in mezzo”. Cos’è questo Suono Sporco e cosa significa per te?

«La citazione di Primo è ovviamente fondamentale, nel senso che, oltre all’artista e all’amico che avevo, è la citazione di Shocca, di un pezzo di 60 Hz, un masterpiece dei producer album del rap italiano. L’idea del Suono Sporco è perché c’è il campionamento, perché il rap arriva da quel modo di fare musica, campionando vecchi dichi polverosi che siano jazz, funk, soul o qualsiasi altra cosa possa essere ritrasformata e ricostruita, e il concetto di suono sporco è proprio quello: cioè io vado a pescare vecchie cose, cose che non conosco di musica che mi piace, su cui costruisco delle basi, e sopra alle quali, proprio per il mood che hanno queste basi, poi i rapper scrivono delle cose che sono particolarmente dense e particolarmente sentite. Io tendenzialmente campiono brani con accordi minori, per cui tendenzialmente blues e di conseguenza anche i testi poi vanno a seguire questa linea, che poi è la linea del disco, per cui Suono Sporco sostanzialmente rappresenta questo mondo».

Quali sono tre album fondamentali a cui sei legato o che ti hanno influenzato negli anni?

«Diventa difficile per una persona che ascolta musica da più di trent’anni (io faccio questo mestiere da trentatrè anni) individuare tre dischi in particolare. Se dovessi rispondere in maniera diretta e spontanea senza pensarci, sicuramente l’album di Nas, Illmatic, Ready To Die di The Notorious B.I.G. e forse il primo album dei Wu-Tang, Enter the Wu-Tang(36 Chambers), sono i primi tre dischi che mi vengono in mente; e forse la prima risposta che ti viene in mente è la più spontanea e per cui è anche la più veritiera».

Nella maggior parte delle tue produzioni è presente lo scratch: quanto ancora è rilevante nella cultura?

«La presenza degli scratch all’interno dei miei dischi è molto, molto abbondante, anzi molti dei miei ritornelli, quasi tutti, sono scratchati, e se non c’è il ritornello scratchato, c’è la presenza degli scratch nella parte finale o come piccoli arrangiamenti. Credo che sia una cosa fondamentale, fa parte della cultura hip-hop e della musica rap, forse un po’ meno per le ultime generazioni; per me invece, che arrivo da una generazione precedente, sono una condizione imprescindibile. I collaboratori con cui lavoro sono per esempio Dj Double S o Dj Tsura che sono anche amici e della mia stessa città, per cui con loro c’è un rapporto sia d’amicizia che collaborazione, e poi lavoro con tanti altri dj in questo nuovo disco.. c’è Dj Snifta, Dj Telaviv, ci sono tante collaborazioni, e nel Suono Sporco 3, che arriverà a breve, saranno molto presenti Taglierino, Dj Kamo.. per cui è una cosa che io coltivo, e che mi piace sentire all’interno di questi brani perché credo completi il lavoro».

Altro tassello fondamentale dell’hip-hop è il sampling. Quant’è importante l’eredità nel rap? E’ la chiave del tuo processo creativo?

«Il sampling è fondamentale, nel senso che il mio lavoro è un lavoro inizialmente da dj e collezionista, quindi da digger che va a cercare ogni volta dei dischi nuovi, dei dischi che non conosce (per nuovi non si intende appena usciti, ma che non avevo ancora scoperto o che magari nessuno aveva pensato di usare e di campionare), e questo è il mio approccio al lavoro. Quindi è un approccio di appassionato alla musica, e prendendo delle parti di questa musica le ridai vita con un’altra faccia attraverso l’hip-hop, e questa cosa succede anche con la musica house. Io sono un dj che suona vari generi musicali, e fondamentalmente l’house è molto simile al rap perché è costruita nello stesso modo, anzi inizialmente l’house e l’hip-hop erano costruite entrambe con il campionatore, entrambe prendendo dal funk, dal soul e dalla musica disco; solo che uno è accelerato e l’altro è rallentato, ma il modo di costruire la musica è lo stesso. Questa è la motivazione per cui questi due generi musicali mi piacciono molto, perché mi piace molto questo approccio e questo tributo con cui ogni volta un produttore, che produce un brano campionandone un altro, ridà vita con una sua visione personale a quello stesso pezzo».

Il disco contiene 23 ospiti. Come si riesce ad avere la gestione di un lavoro così? E soprattutto, sai già con che artista vuoi lavorare e di conseguenza lavori sul suono o la scelta delle collaborazioni avviene dopo aver già in mano le produzioni?

«Io comincio sempre producendo dei beat, senza pensare a chi dovranno essere dati. Quando ne ho un po’, riesco a farmi un’idea riascoltandoli e riascoltandoli, ripetendoli e ascoltandoli all’infinito. La mia testa ad un certo punto, ascoltando anche tantissimo rap italiano, va verso una direzione e dice: “ok, questo beat potrebbe essere adatto a quel tipo di rapper perché ho sentito che lì performa in un certo modo”.  Quando ho tre o quattro beat che potrebbero piacere a quel tipo di rapper magari glieli mando, chiedendogli se vuole collaborare, e allora a quel punto sceglie delle cose su cui io penso possa essere a suo agio e man mano il disco si costruisce da solo. Quindi la progettualità cresce in rapporto ai sample che mi capitano e ai miei ascolti e quindi poi l’abbinamento delle due cose fa sì che venga fuori il disco che poi viene ascoltato dal pubblico».

Ci sono nell’album almeno due riferimenti espliciti a Primo. Che ricordo hai di lui e cosa credi abbia davvero lasciato ai posteri? E ricordando Parassiti, la traccia in collaborazione con lui in cui diceva “L’Italia aspetta che sei morto per poi dirti che suonavi da Dio”, credi abbia raccolto in vita quanto sta raccogliendo ora?

«Primo era un collaboratore, e prima di tutto un amico, e credo sia stato uno dei rapper più forti che abbiamo avuto in Italia. Credo che assolutamente non abbia raccolto ciò che meritava di raccogliere in termini di capacità-pubblico. Sicuramente l’attività dei Cor Veleno è iniziata in un momento buono del rap italiano, ma poi si è anche sviluppata in anni un po’ più bui e più difficili e questa cosa sicuramente non ha giovato alla carriera di quest’artista. Secondo me ha dimostrato tante volte, e tutte le volte che saliva sul palco, di avere un’energia ed un forza incredibili. Io ho fatto tante volte il dj live con lui e abbiamo realizzato insieme Le Ultime Occasioni, Beato Te Parassiti, all’interno del quale c’è la frase che è stata citata nella domanda all’inizio. La risposta è sì, sicuramente non ha raccolto quello che avrebbe dovuto raccogliere proprio per le sue capacità artistiche, indipendentemente dal rapporto personale o dalla simpatia che posso avere per l’artista. Sicuramente qualcosa, dopo la sua dipartita, in più ha raccolto ma, come spesso succede, la gente si dimentica molto velocemente, le cose corrono per la loro strada per cui, dopo un momento di attenzione particolare, la cosa è andata a scemare. Devo dire che il progetto che è stato fatto, l’ultimo album dei Cor Veleno, con all’interno anche tutte le sue strofe inedite sia stato un giusto tributo ad un’artista che se l’è sicuramente meritato e guadagnato».

Ti occupi e gestisci due etichette, e con una delle quali ristampi in vinile dischi rap essenziali. Qual è il criterio di scelta? E secondo te, il formato in vinile, ormai consolidato, resterà ancora dominante o è soltanto un trend?

«Gestisco due etichette, ed una è Balearia Records, che si occupa di musica house ed è un’etichetta mia. Per ora ho fatto sei release su vinile e altre sei sono in stampa, e va verso una direzione precisa, sia musicalmente parlando, ma anche verso un certo tipo di pubblico, cioè un pubblico adulto, che è interessato a quel tipo di prodotto, che è ancora molto legato al vinile e che ne fa un uso pratico, cioè il disco viene suonato nei club. Mentre invece per quanto riguarda la seconda etichetta, che non è mia, ma che gestisco, e cioè New Rapform, è un’etichetta in cui io scelgo gli artisti che voglio stampare o ristampare (e dico stampare perché, per esempio, ultimamente abbiamo stampato, oltre al mio album che è una nuova uscita, anche l’album Splendente di OTR). In gran parte ci sono dischi che abbiamo ristampato, cioè dei classici del rap italiano come i Lyricalz, piuttosto che Tutti Gli Uomini Del Presidente di Esa… adesso stiamo lavorando su un disco vecchio di Ntò, abbiamo lavorato su tre dischi di Inoki, quindi abbiamo costruito un catalogo. Ho cercato di rimanere coerente musicalmente parlando nella costruzione di questo catalogo; abbiamo scelto di fare dischi in edizione limitata, numerata, con una parte di vinili colorati ed una parte di vinili neri, cercando di dare una sorta di esclusività. Il rischio del feticcio, piuttosto che dell’uso pratico è molto, molto alto e in questo momento è sicuramente preponderante. Molti di quelli che comprano dischi, oserei dire la maggior parte, non li ascolta nemmeno, tengono il disco sigillato.. un po’ per collezionismo, un po’ perché pensano che questi dischi, come spesso capita, possano prendere valore, per cui possano diventare anche un investimento. La parte di streaming è sicuramente quella preponderante e diventa una sorta di gadget avere il vinile. Ovviamente ci sono anche le persone che lo comprano e hanno il piacere di prenderlo, metterlo sul giradischi e ascoltarselo, anche perché il vinile ha un suono caldo, ha tutta una sua ritualità: c’è la copertina più grossa, c’è la possibilità di capire un po’ più il viaggio dell’artista magari quando c’è anche un gatefold apribile..  dà veramente qualcosa in più rispetto allo streaming. Da lì a pensare che si possano rivendere migliaia di giradischi e possa tornare ad essere, come è stato negli anni ’60, ’70, ’80, il metodo principale con cui ascoltare musica, ecco questa la vedo una cosa molto più complicata e difficile».

Oltre al rap, è notoria la tua passione per la musica house e le sonorità disco. Negli anni ’80, tra New York e Chicago, si espanse la hip house, il genere che mescolava la musica house al cantato rap, ti ha mai interessato questa evoluzione? I due generi sono realmente così lontani o hanno dei punti in comune?

«I due generi sono assolutamente complementari e vicini perché sono costruiti con le stesse macchine, con lo stesso concetto e con le stesse radici. L’hip house, che c’è stata in precedenza, in questo momento viene un po’ ripercorsa da alcuni artisti.. molti dischi hip-hop hanno dentro uno o due pezzi con la cassa dritta. Non è quello che io concepisco come house, nel senso che per me l’house è quella campionata, esattamente come per l’hip-hop, dal funk, dal soul e dalla disco. L’house deriva direttamente dalla disco music e l’hip-hop deriva, nell’accezione più classica del termine, dal funk e dal soul. Quindi il modo di costruire e le macchine con cui si costruiscono questi due generi sono le stesse. Un produttore con open mind può fare sicuramente le due cose; molti produttori americani come Kenny Dope dei Master At Work o Armand Van Helden producono sia hip-hop che musica house esattamente nello stesso modo, perché si parte dallo stesso punto di partenza. Per esempio, io amo il suono più balearico, quindi quello che arriva dalla fine degli anni ’80 e va verso l’inizio degli anni ’90, il progetto ad esempio di Bassi Maestro invece è più orientato verso il suono anni ’80, però la radice e l’idea è comunque la stessa, per cui il modo di produrre ti porta a fare le due cose con una certa disinvoltura. E’ importante che tutti gli artisti che vogliono essere chiamati tali ascoltino tanta musica e tanta musica diversa, perché questo ti porta ad aprire la mente e anche a fare meglio quelle che sono le tue produzioni. Per cui sì, i due generi si possono in qualche misura sovrapporre».

Augurandoci continuerai a produrre questo Suono Sporco, hai già in mente cosa verrà dopo questa trilogia (se è definibile tale)? O ci sono già altri progetti in cantiere?

«Suono Sporco si concluderà con questo terzo disco, che esce a ridosso del secondo per far sì che possa uscire anche un cd che li contenga entrambi. Ovviamente continuerò a produrre. Ho già in lavorazione brani nuovi; è appena uscito un brano prodotto da me all’interno dell’album di Sgravo, a brevissimo uscirà l’album di Giso dove ci sono due mie produzioni, sto lavorando su tre EP diversi con tre MCs che mi piacciono molto, quindi sto lavorando anche su progetti un po’ più piccoli e veloci ma sempre inerente al mondo della musica rap e poi sicuramente andrò avanti facendo nuove canzoni un po’ per volta per costruire dei nuovi album».

L’invito di Dj Fede, ed anche il nostro, è quello di continuare ad ascoltare Suono Sporco 2, che trovate al link sotto, e a prepararvi a Suono Sporco 3 che arriverà il 14 aprile.

Grazie Dj Fede.