In occasione del ritorno sul palco dopo due anni di assenza, abbiamo fatto qualche domanda a Dj Fastcut, fuori a dicembre dell’anno scorso con Dead Poets 3, terzo atto di una delle saghe più amate negli ultimi tempi dal pubblico rap nostrano.
In attesa del quarto capitolo, già in fase di lavorazione, il producer ci ha raccontato il metodo di lavoro che segue per realizzare i suoi progetti, dalla scelta degli ospiti fino agli aneddoti relativi alle produzioni. In una scena sempre più contaminata, Fastcut emerge come punto d’incontro tra vecchie e nuove generazioni, diverse per codici e stili ma accomunate dalla stessa passione per l’hip hop.
L’intervista a Dj Fastcut
Questa sera ci sarà finalmente il tuo ritorno live davanti al pubblico del Circolo Magnolia di Milano. Quali sono le tue sensazioni? Puoi dirci quali saranno gli ospiti esclusivi?
«Ciao ragazzi! Si ovviamente siamo tutti emozionati dopo due anni di stop. Tornare sul palco con MC e Dj è un’emozione indescrivibile, poi Milano regala sempre tanto calore. Siamo pronti a soddisfarli! Mi sto portando su un esercito di 20 rapper, tra i più conosciuti e i meno conosciuti. Ho deciso di portare solo le persone di questo album e non anche di quelli passati, dato che per motivi di tempo non saremmo riusciti ad entrare nel range che ci hanno dato a disposizione. Troverete la formazione base Dead Poets 2.0 e vari ospiti da Milano, Bologna, Roma e dintorni più qualche ospite speciale»
L’importanza della performance live, soprattutto dopo il Covid, è stata spesso messa in secondo piano rispetto al successo sulle piattaforme digitali. Credi che negli anni tornerà ad avere un ruolo centrale nella carriera di un artista?
«Secondo me l’importanza della performance live è rimasta tale nonostante il Covid. É una parte molto importante sia per la carriera che per la promozione dei nostri prodotti. Ovviamente c’è stato un incremento di successo delle piattaforme digitali stando a casa per due anni, ma credo che nel giro di mesi torneremo alla normalità, senza mascherine e restrizioni relative alla capienza. Tutto l’occorrente per godersi un concerto in serenità»
Raccontaci una tua giornata tipo quando vuoi realizzare un beat. Segui un mantra particolare?
«Dipende dal contesto in cui mi trovo e come mi sento in quel momento. Non seguo un mantra particolare, poi chiaramente ci sono i giorni in cui mi posso svegliare con calma, portare a passeggio i cani, farmi una bella cannetta e produrmi un beat con una pausa tra un’oretta e l’altra. Magari con qualche partita a Warzone, poi riprendo a lavorare. Di base però mi lascio molto andare in base alla disponibilità che ho in base ai giorni»
Dead Poets 3 è un disco riconoscibile a livello di sound grazie all’approccio classico che ti contraddistingue da sempre. La musica che ascoltavi quando producevi i primi beat ti influenza ancora? Cerchi invece qualcosa di diverso attualmente per quanto riguarda la scelta dei sample?
«La musica che ascoltavo in precedenza mi ha influenzato per anni. Ora ascolto altro, ma tendenzialmente sulla stessa linea a livello di sound. ovviamente riaggiornato con nuovi concept e nuove tecniche di produzione, però più o meno siamo li. La differenza è che cerco di farmi influenzare meno per mantenere un mio stile. Per quanto riguarda i campioni sto cercando di limitarli un po’, anche per motivi legali. Dead Poets 3 infatti è il mio primo album privo di qualsiasi campione»
Quali sono i criteri secondo i quali scegli gli ospiti dei tuoi album ufficiali? Prediligi un rapporto di amicizia pregressa?
«I featuring sono una questione molto complessa dei miei album. Ovviamente sfrutto le persone con le quali ho già un rapporto di amicizia, una conoscenza o almeno con cui ho condiviso qualche palco. Da li inizio a guardarmi intorno per capire chi potrebbe essere il nome adatto da affiancare a queste persone. In altri casi addirittura parto da zero cominciando a contattare chi mi interessa per il progetto: gli chiedo la disponibilità e soprattutto se hanno voglia di partecipare al mio album. In seguito inizio a ragionare sulle possibili combinazioni. Poi non è detto che i rapper vadano d’accordo tra di loro o che piaccia lo stile della persona che gli proponi. Penso che la chiave sia conoscere bene i brani degli artisti prima di tutto e fare il modo che anche loro si conoscano. É un gioco complesso e perverso ma alla fine la soluzione la trovo quasi sempre»
Dead Poets 3, così come i due capitoli precedenti della saga, presenta un mix di esperienza e gioventù. A questo proposito, che analogie/differenze trovi nelle nuove generazioni con cui collabori attivamente rispetto a quella 15/20 anni fa?
«Diciamo che non trovo una grande differenza tra i ragazzi con cui collaboro adesso e quelli di quando ero ragazzo. Alla fine seguono una filosofia molto simile alla nostra. Negli album cerco sempre di invitare artisti che abbiano in comune questa passione per la musica, al difuori del guadagno. Evito di collaborare con chi ha un semplice interesse commerciale e chiamo sempre persone che ci tengono a portare avanti un valore al quale siamo affezionati»
C’è una produzione di Dead Poets 3 a cui sei particolarmente legato?
«É difficile dirlo, sono affezionato a molti di questi beat. Molti sono stati arrangiati con mio padre, ad esempio L’ultimo verso o Come un pugno in faccia. A questi ci sono molto legato non soltanto dal punto di vista affettivo: mi sono un po’ messo alla prova. Non avendo utilizzato i sample, o almeno solo in fase di progettazione, ho risuonato i beat di persona e con l’aiuto di arrangiatori, quindi è stata un doppia fatica ma che ci ha ripagato alla grande. Sono molto contento della riuscita di tutte le produzioni, visto che ci ho dedicato un po’ più di tempo a decidere quali utilizzare rispetto agli altri album. Alla fine quello a cui forse sono più legato è Smackdown: c’è la mano di mio padre, le trombe di Roy Paci, il basso di un mio amico e il grandissimo lavoro del mio ingegnere che ha mixato e masterizzato la traccia. C’è voluto tanto sia a produrlo che a risuonarlo. Tutto questo partendo da un campione degli Aristogatti, ti lascio immaginare. Credo sia il lavoro su cui abbiamo faticato di più ma che allo stesso tempo ci ha dato più soddisfazione»
Molti rapper sottolineano la difficoltà, dopo anni nella scena, di trovare costantemente ispirazione per la scrittura. È un “ostacolo” che avverti anche tu come produttore oppure riesci sempre a trovare l’ispirazione?
«Lavorando con molti MC negli anni posso dirti che più che un ostacolo è un periodo passeggero e transitorio. Credo sia una cosa normale per qualsiasi forma d’arte, può capitare un momento no. Ci sono rapper che si prendono anni di pausa tra un album e l’altro perché hanno bisogno di trovare nuove ispirazioni e idee. Lo trovo anche giusto, fa parte del gioco secondo me. Nel caso dei rapper posso dirti che ognuno reagisce in maniera diversa: per esempio quando lavoro con Wiser, noto che quando è forzato dalle scadenze non da il meglio di sé, quindi per esperienza è sempre meglio aspettare anche per un mese le strofe, in modo da averle al meglio piuttosto che di getto fatte in fretta e furia. Per quanto mi riguarda, trovo sempre l’ispirazione. Ho combattuto tanto tempo per trovarla anche nei momenti difficili, e sfruttare quelle emozioni per fare un beat. Mi capita spesso di combattere stati d’animo negativi producendo ecco, quindi è un problema che non sento così tanto»
Ultima domanda, d’obbligo: stai già lavorando al nuovo Dead Poets?
«Regolare! Sono al lavoro sul nuovo da circa sei mesi. Ci vorrà tempo ma troverà luce anche questo»