Vi racconto di INFERNUM, ossia di quando Claver Gold e Murubutu si sono ritrovati per caso nella selva oscura.
Me le ricordo molto bene. Mi ricordo di quelle mattine al liceo. Il cielo tetro, il freddo umido fuori, la testa che puntualmente cedeva sul gomito appoggiato al banco, la luce penetrante delle plafoniere consumate che si rifletteva sul libro di testo e la voce del mio professore di italiano. Si dannava (poverino) affinché riuscissimo a comprendere l’importanza di una delle opere più importanti della nostra cultura, ma anche di quella mondiale. Tuttavia, come la maggior parte di noi, non avevo tutta questa gran voglia di drizzare le antenne a lezione. Non ero un gran fanatico della letteratura e la mia risaputa pigrizia trovava terreno fertile durante “le ore della Divina Commedia“.
Ad oggi, me ne pento amaramente. Ascoltando Infernum (ovviamente un numero indefinito di volte e sempre non ancora sufficiente) mi sono reso conto di aver perso dei dettagli affascinanti che fruttano sempre nuove e diverse interpretazioni. Mi sono reso conto di avere a che fare con qualcosa di concreto ed attuale. Mi sono reso conto che se solo cambiassimo l’abito alla didattica scolastica, nel nostro Paese sempre discussa e controversa, noi studenti arriveremmo alla consapevolezza molto più facilmente. In tal senso questo disco è una veste davvero incantevole, ricamata con estrema meticolosità da due penne eccellenti come Murubutu e Claver Gold.
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Badate bene. Non sta sicuramente a me decidere se il rap possa funzionare e calzare nel concetto di didattica. Non sono io a dover confermare che possa essere un buon strumento di insegnamento. Posso invece affermare con certezza, come già mi è successo altre volte, che può essere e dovrà essere, sempre più spesso, un’innovazione musicale adatta al racconto, allo storytelling, alla consciousness, e in quanto tale, ad ‘elevarsi’ e sradicarsi finalmente di dosso l’etichetta dell’outsider. Un obiettivo sensibile sicuramente più affabile, nobilitante e gratificante della becera fama di chi si nutre esclusivamente dei risultati numerici. Persona n’è stata la dimostrazione più lampante. Marra si è auto-incaricato di portare una bandiera per la quale, quanto prima, giocheranno molti altri artisti oltre ai vari Rancore, Tedua, Willie Peyote, Caparezza, Nitro, Dutch Nazari, Moder e così via…
Consolidate queste premesse, forse un po’ scomode a chi del settore non vuole discernere con oggettività la scrittura alta da quella scarna nella scena rap odierna, oggi, proverò io stesso ad accompagnarvi nell’infernum musicale prodotto per Glory Hole Records. Ormai disponibile dal 31 marzo, giorno che simboleggia anche l’uscita dalla Selva Oscura secondo la mitologia dantesca.
Lasciate ogni speranza, o’ voi che entrate.
Banalmente il disco sembrerebbe il viaggio dantesco agli inferi reinterpretato dal professor Mariani, assieme all’amico Daycol (e viceversa), magari con l’inserimento di alcune citazioni già note. Beh, sappiate che è molto più di così: Infernum è molto di più di una parafrasi.
La prima accortezza da prendere è sicuramente sulla personificazione degli attori presenti. Pare abbastanza inequivocabile che sia Murubutu, per questioni tecniche ed anagrafiche, ad essere il fidato consigliere esperto di opere bucoliche, di un Claver Gold altrettanto abile nel writing, ma dal pensiero più contemporaneo. Considerazione che troverebbe conferma in alcune barre in cui è sempre Claver a far riferimento a dei personaggi più o meno recenti (Pietro Maso, Osvaldo Licini, Pino Daniele, Francesco Guccini). Nel contempo il professore si attiene molto al canovaccio stilistico-letterario al quale ci ha abituato sin da Il Giovane Mariani.
Il disco è composto da undici tracce (come le sillabe di ogni verso nell’opera originale) che si aprono con la Selva Oscura e si chiudono con il Chiaro Mondo, entrambe strumentali a base di archi incalzanti prodotte dal Tenente e condito dagli scratch del collega Dj FastCut.
Il primo è un collage di alcune citazioni recitate in toni solenni dall’autore teatrale Vincenzo Di Bonaventura, che propone già le figure di alcuni dei personaggi trattati nell’album come Caronte, Ulisse e Pier Della Vigna. Mentre il secondo è un outro che ci accompagna verso l’uscita (“a riverder le stelle“), con una sorta di dialogo tra i due artisti che rimembrano l’esperienza vissuta attraverso delle citazioni dello stesso album, in particolar modo rivolte a Lucifero, ma anche delle considerazioni ex novo che ci spingono ad una pesante e sofferente riflessione.
“Per me già che stare al mondo mi sembra un inferno”.
Il corpo del disco invece è formato da nove tracce, che è il numero della perfezione massima secondo la numerologia dantesca in quanto multiplo del tre. Anche in questo, bisogna nuovamente ammettere che il rapper emiliano e il rapper marchigiano sono stati molto ingegnosi. Oltre che nella scelta di una cover apparentemente minimale, ma al tempo stesso molto curata e direi adeguata al contesto. Sembra quasi di avere tra le mani un vecchio manoscritto conservato in una copertina di pelle consumata, con inciso il titolo laccato in oro ed ovviamente in latino.
Secondo letteratura troviamo l’Antinferno come prima tappa del nostro viaggio. Oltre agli ignavi sulla spiaggia inseguiti dalle vespe, incontriamo un ottimo Davide Shorty, autore di un ritornello davvero coinvolgente.
Qui Claver e Murubutu danno subito dimostrazione di essere ben capaci di amministrare diversi flow, anche all’interno della medesima strofa, con argomenti che portano ad un lessico difficile da incastrare in rime. Un brano, prodotto da Squarta & Gabbo (per Rugbeats), che anticipa ciò che presenta l’inferno dantesco e che non manca di stimoli alla reinterpretazione.
“Ma tra i più non c’è più luce e punti fermi,
chi fu il primo dannato e ne porta il primato?
Vedi tu di chi fu il gran rifiuto e scegli:
Celestino, Esaù, Giano o Ponzio Pilato?”
Ad esempio qui Murubutu vorrebbe aiutarci a riconoscere “colui che fece per viltade il gran rifiuto“, interpretabile, secondo diversi studi, con uno dei quattro personaggi presentati: il papa Celestino V, Ponzio Pilato, Esaù (personaggio biblico, figlio di Isacco e Rebecca) o il politico fiorentino Giano Della Bella. Rimando ovviamente ai libri di testo per ulteriori spiegazioni.
Giunti al celebre fiume Acheronte troviamo un traghettatore a cui paghiamo in contanti per poterlo oltrepassare.
Caronte è il brano riferito al terzo canto ed all’anziano e barbuto personaggio impiegato per trasportare le anime. Risaltano subito all’ascolto in cuffia dei toni binaurali del beat, forse utilizzati per indicare il trasporto perpetuo da una parte all’altra. Non me ne vogliano i fan dell’audio in 8D, ma il risultato è davvero interessante, quindi complimenti a XXX Fila.
Il severissimo giudice di pena qui non è Santi Licheri purtroppo, bensì Minosse. Siamo nel quinto canto e comincia il susseguirsi dei famosi cerchi. La produzione Badnews che poggia su scale di pianoforte molto rapide, dona la sensazione di scendere sempre più in basso. Sarà Daycol a presentarci il celebre Minotauro all’ingresso del secondo girone che sceglierà la collocazione di ogni anima dannata con l’avvolgersi della sua coda.
L’atmosfera si fa più soffusa, quasi pietosa. I due sapienti rapper stanno per presentarci la storia di Paolo Malatesta e Francesca da Polenta. Siamo ancora fermi al cerchio dei lussuriosi e nel frattempo suona lento ma sensuale il beat di KD One, con l’inserimento degli ottoni e di alcuni accordi piuttosto blandi. Giuliano Palma, invece, ci delizia con un ritornello profondo ma dal sapore agrodolce.
Paolo e Francesca sono innamorati e non hanno intenzione di pentirsene, ma saranno comunque puniti dal loro stesso vento di passione dalla dura legge del contrappasso, come ci racconta Murubutu:
“Ed ogni amore nasce forza mossa da due leve,
le nostre sono un sesto senso ed un destino incerto
e lei sarebbe andata ovunque, “basta stare insieme”
anche in un cerchio dell’inferno dentro un vento eterno”
La sesta traccia prodotta da James Logan s’intitola Pier, in onore del notaio Pier Della Vigna collocato nel girone dei suicidi. Differentemente dalle precedenti, però, non si basa sulla descrizione del personaggio, né Claver o Murubutu ci danno indicazioni precise sulla sua storia. Bensì, sfruttano il richiamo letterario per parlare dei delicatissimi temi dell’isolamento e dell’emarginazione sociale.
In particolar modo Claver Gold qui fa riferimento alle conseguenze dell’attualissimo cyberbullismo che colpisce senza dubbio i più giovani.
“Se spesso vivere è la morte di ogni sentimento,
il volto del momento, si tinge scuro dentro i muri di un appartamento.
Nessuno chiama per sapere ciò che stai vivendo e
fissi lo schermo così a fondo quasi ci entri dentro”.
Ora sprofondiamo fino all’ottavo cerchio dove troviamo le innumerevoli serie di bolge descritte, di nuovo, su una produzione di James Logan. In effetti, Malebranche è un brano prepotente, che rende a livello sonoro il concetto di bolgia e spazia forse anche a qualche critica velata. Cosa avrà voluto dirci Daycol?
“Questi colleghi che non salutan la gente
la vita gli ha dato tutto, non han paura di niente,
perché non temono il lutto, saranno “ricchi per sempre”,
sono costretti a nuotare dentro ad un mare di pece bollente”.
Sempre tra le bolge ritroviamo lo scaltro Ulisse della mitologia greca, punito per i numerosi inganni propinati ai suoi nemici durante i suoi lunghi viaggi. La base di Ulisse è targata Dj FastCut che mette a punto una serie di archi durante il ritornello, quasi a simulare l’andamento lento del mare che spinge la barca del protagonista. Qui l’esperienza del professor Mariani in fatto di marinai, si vede ed è sicuramente apprezzabile.
Nel cerchio delle bolge si trova anche un’altra figura femminile che è, invece, l’ispiratrice della nona traccia: Taide. Tuttavia, così come in Pier, anche in questo brano, prodotto da Dj West & Kuma, non ci sono espliciti riferimenti alla storicità del personaggio. Murubutu e Claver Gold preferiscono raccontare e attualizzare attraverso i peccati della prostituta citata dai latini, la storia di una qualsiasi donna in preda allo stesso destino.
Siamo così alla fine di questo excursus dantesco, precisamente al centro della terra e inizia a fare discretamente freddo. Davanti a noi c’è una sorta di cerbero che sgranocchia selvaggiamente i traditori Giuda, Bruto e Cassio, mentre incalza la terza e ultima produzione di James Logan.
Lucifero è una traccia possente, piena di riferimenti biblici e cambi repentini di flow magistrali. Un bridge di Claver anticipa il crudo ritornello che recita:
“Mai… Dimenticherò l’istante esatto in cui peccai.
Dite a Dite non finirò mai più nei guai.
Ti risputo in faccia le menzogne di cui mi cibai.
Son sicuro che tra poco tu mi tradirai”.
Come avevo precedentemente suggerito, questo non è una semplice rielaborazione musicale della cantica dell’Inferno di Dante Alighieri. È sicuramente un disco pieno di citazioni e di riferimenti alla storia della letteratura. Ma anche un’opera che si miscela bene nelle problematiche attuali, dove ogni produzione è stata curata per descrivere gli ambienti e raccontare le emozioni trascritte.
Ringrazio personalmente di cuore i due artisti per aver confezionato uno degli album rap italiani che si protrarrà ineccepibilmente nel corso degli anni avvenire.