Intervista a Highsnob, il rapper che “la tocca piano”

Highsnob

Prima della serata di “0blivion” all’Andy Live Music di Varese, abbiamo avuto il piacere di realizzare un’intervista a Highsnob, parlando di diversi argomenti.

Il mese scorso abbiamo intervistato Axos, questo mese, invece, sempre grazie alla disponibilità di “0blivion“, abbiamo potuto scambiare due parole con Highsnob, un rapper che dopo essere stato membro dei Bushwaka ha intrapreso la carriera da solista e si sta facendo strada ottenendo milioni di view con i suoi videoclip, mai banali.

Intervistare un personaggio eccentrico e che ha dimostrato di avere diverse cose da dire sopra il beat, rappresenta una bella occasione per conoscere meglio il trend che sta maggiormente spopolando nel nostro Paese, oltre che la persona che vi è dietro, all’anagrafe Michele Matera.

Partendo dal progetto Bushwaka e arrivando a parlare di Neffa e Kaos One, ecco cosa ci siamo detti:

Fino a qualche anno fa eri nei Bushwaka, ora che sei da solo hai cambiato completamente approccio al  genere: a cosa è dovuto questo cambiamento?
«Non è un cambiamento in realtà ma piuttosto un ritorno. La cosa strutturata era coi Bushwaka, quello che sono oggi è quello che ero prima di essere nel gruppo. I Bushwaka sono stati una scelta studiata, sia per me che per Samuel Heron. Studiata nel senso che, facendo un’analisi del periodo attuale, pensavamo potesse mancare qualcosa di questo genere. Io venivo da un percorso di vita di strada e un modo per fare contrasto, rispetto a un rapper che parla di strada ma non è di strada, era essere di strada facendo lo “stupido”. Il senso dei Bushwaka nasce da questo.»

Da cosa nasce l’amicizia con Junior Cally? “Wannabe” può essere l’inizio di qualcosa?
«Tutto parte dal fatto che avevo in testa di trovare dei contatti con altri artisti non troppo famosi. Quando ci siamo sentiti all’inizio lui aveva zero view e io viaggiavo sul range delle duecento, eravamo entrambi in fase di partenza. C’è stato un contatto in comune, ci siamo trovati ed è nato così, molto spontaneamente.
C’è l’idea di fare qualcosa insieme ma non ora: adesso è il momento di fare la propria strada, da soli, altrimenti ci vedrebbero come gruppo e non lo siamo, però non è escluso che in futuro qualcosa si possa fare.»

Credi che il rap debba rispettare alcuni canoni oppure, soprattutto se si parla al presente, il messaggio e le liriche sono di secondaria importanza?
«Partiamo con un esempio: l’autotune è una cosa che aiuta molto, anche me, però deve essere un valore aggiunto capisci? Credo che devi saper fare determinate cose ma non è detto che se non le sai fare la gente non ti ascolta. Tanti hanno zero skills ma sono comunque popolari. Ognuno fa il suo, se hai pubblico buon per te, fondamentalmente non mi interessa più di tanto. Poi sì, magari in un testo spingo un po’ sull’acceleratore…»

… ma quello è anche un po’ il gioco, no?
«… Si esatto, hai detto la parola giusta. A me non interessa poi se uno se la passa bene senza avere chi sa quali abilità, sono contento per lui.»

Ora sei indipendente: se ti contattasse una major accetteresti o rimarresti indipendente?
«L’indipendenza in questo momento è fondamentale per la conquista dell’undergruond. Io però sono uno molto ambizioso e quindi ci sarà un momento in cui avrò bisogno di un organico grande, perchè è impossibile far tutto da solo. Ora, ad esempio, ho mia sorella che mi aiuta per quanto riguarda tutte le cose burocratiche.
Non esiste un limite: se si tratta di underground è un conto, ma io voglio arrivare a tutti e per questo ci vogliono le radio, un investimento maggiore sulla musica e tutto ciò te lo dà solo una major.
Non sono contro le major, sia chiaro: quando parlo di mafia musicale intendo il mio percorso passato e quello che ho subito io. Conosco le tre major italiane maggiori e un paio lavorano bene. Le major di per sé non fanno niente di male, fondamentalmente fanno il loro lavoro e cercano di guadagnare investendo su un artista. Il problema è quando un artista non riesce poi a farsi rispettare dall’etichetta, ma questo è un concorso di colpa.
Io voglio entrare in major e continuare a fare quello che sto facendo.»

Se ti chiedessero tre nomi che hanno fatto storia nel rap italiano, quali faresti? 
«Te li faccio per periodo storico. Partendo dal più recente ti dico Emis Killa perché è stato quello che ha dato il segno di svolta nel mercato e, rispetto all’ambiente hip-hop precedente, ha avuto un approccio comunicativo semplice: se ti doveva dire “vai a fan***o” lo diceva senza giri di parole come si faceva un tempo, cercando sempre una certa cripticità.
Il secondo nome è Fabri Fibra per il semplice fatto che viene dal periodo di “Novecinquanta” e, in un momento in cui si stava tutto affievolendo (a inizio anni 2000, ndr), ha tirato su il genere ed è stato fondamentale per la rinascita del rap italiano.
Prima ancora di Fibra, ti posso citare sicuramente Neffa ma anche Kaos One. Neffa, però, a livello comunicativo tanti testi non si capivano, mentre Kaos si capiva un po’ di più. Era un periodo dove era difficile capire di cosa parlava una canzone rap.
La prima punchline che ho sentito era di Kaos e me la ricordo tuttora: quando ho sentito  per la prima volta “Ma qui la vita è a rischio non te la salva manco il Beghelli” ho pensato subito che non mi era mai capitato di ascoltare una barra del genere. Era un novità ed era fighissima!»

Che rapporto hai ora con gli Arcade Boyz? Furono i primi a schierarsi con te quando prendesti la denuncia da parte di Fedez ma poche settimane dopo loro stessi divennero amici di J-Ax e Fedez sia pubblicando attestati di stima sui social che, pare, entrando in Newtopia.
«Diciamo che non mi ha fatto storcere il naso, piuttosto ho rivisto delle cose che ho già vissuto sulla mia pelle ripercuotersi su di loro che sono nuovi nel settore. Il problema riguarda tutto quello che non c’entra col format. Loro sono due ragazzi che si stanno creando tutto da zero. Io non mi sono comportato molto diversamente da loro ai tempi. Quando vedi l’ambiente pettinato, le feste negli hotel ecc, ti fai ammaliare se vieni da un certo ambiente, è comprensibile.
Gli ho anche parlato per telefono, a me non interessa, ho solo detto di fare attenzione e di stare attenti, ma per loro non per me, perché non è oro tutto quello che luccica.»

Pensi mai ad abbandonare le sonorità del momento per creare qualcosa di più “old school”? 
«Non esiste old school e contemporaneo. Non puoi scomporti e tornare indietro, non ha senso perchè l’arte è evoluzione. Nel senso che o vivi nel presente oppure non stai vivendo il tuo periodo storico. Quindi, in base a quali sono le wave uno si adatta, ma nel senso che bisogna aggiornarsi a livello di sound: ci sono suoni che oggi non possono andare.
Chi dice “faccio rap old school” si autolimita, è un’imposizione mentale senza senso. Ripeto l’arte è evoluzione. Quando facevo graffiti, ad esempio, ogni tre mesi si cambiavano stili di disegni. Anche Picasso ad esempio, da dove è partito? Probabilmente dallo studio della forma fino a evolvere tutto in base al periodo storico, e col senno di poi Picasso ha fatto bene…»