Sempre dalla parte dei ‘gatti neri’. Per vocazione. Il nostro destino è vivere tutta la vita all’opposizione. Anche se è dura…l’unico modo per resistere, è fare branco. Come si combatte allora l’individualismo, la religione del nostro tempo? Come si impara a scegliere e ad essere uniti nella lotta, e negli intenti? Nel novembre del 2023 abbiamo recensito Gente che odia la gente, disco d’esordio come solista per 1989. Un disco “indie perché inclassificabile. Hip Hop per vocazione. Maturo perché personale”. Un disco che ci aveva affascinato, soprattutto, per la sua scrittura, che elevava – a nostro avviso – gli standard della musica ‘indipendente’ (ma forse sarebbe più corretto dire ‘emergente’).
A luglio di quest’anno, il disco letteralmente sparisce dagli store digitali. Il distributore – Believe – si rende irreperibile, e l’artista si vede negare una spiegazione, plausibile e necessaria. Questo fatto ha ispirato le riflessioni che seguono.
1989, Gente che odia la gente e l’Anonimo Emergente
Seguendo la vicenda che stiamo per raccontare – una vicenda che, purtroppo, è vera – mi sono fatto delle domande. Legittime, tutte. Domande che mi hanno portato ad immaginare qual è il percorso di un artista emergente, cioè di quell’artista che tenta di portare la sua arte ad un livello successivo. Ad un livello ‘lavorativo’.
Chi è, innanzitutto, l’artista emergente? Partiamo subito dal presupposto che, data una certa società, si otterranno determinate aspettative nelle persone di cui è composta. Una società come la nostra – dove il lavoratore è cannibalizzato, anestetizzato e svuotato – produce artisti. Perché non sognare un certo tipo di vita? Perché non provare a seguire un’inclinazione profonda fino in fondo, e provare a camparci, dignitosamente? Certo, i presupposti fondamentali, sarebbero – almeno – due: passione in ciò che si fa, e consapevolezza del circuito in cui ci si muove.
è una mafia l’industria/non mi interessa, è cosa vostra/chiariamolo subito:/genio non è chi il genio lo fa, non è mica lo stupido/solo la musica mi salverà, è l’unica/io ricambierò salvando la musica
Innegabile, ft Shekkero
Date queste premesse, possiamo immaginare il nostro artista emergente ideale. Qualcuno che ha curato la propria Arte, che ha qualcosa da dire (idee da trasmettere, parole da tramandare) e che è pronto a fare di questa passione un lavoro. Senza snaturarsi, seguendo il proprio gusto e il proprio intuito. Come comincia? A chi si rivolge?
I dolori del giovane emergente
Stiamo provando a descrivere uno scenario possibile. Un giovane artista ‘selvaggio’, con una sua visione, e una sua costante ricerca nello sviluppare un suo stile, una sua poetica, che si pensa libero, oggi, ha la possibilità di essere ascoltato?
Prendiamo dunque il nostro Anonimo Emergente. Sa quello che vuole e – grazie al progresso tecnologico – ha i mezzi per realizzarlo a basso costo. Si chiude in una stanza, con i suoi attrezzi e i suoi testi e, invece di dedicarsi a un singolo, prova a fare un disco.Al passo ‘unico’ del singolo – magari azzeccato, magari sponsorizzato a tappeto e radio-frendly – il nostro artista preferisce compiere il lungo percorso di un disco. È nella fase della maturità, o comunque della ricerca di essa, del tentativo di equilibrare le tante istanze diverse che convivono in lui e convogliarle verso un’unica meta. Con i tempi biblici dell’autoproduzione si impegna a fondo, magari nelle pause dal lavoro, magari di notte, magari togliendo spazio a sé stesso. Ha un obbiettivo e lo segue fino in fondo: testo dopo testo, beat dopo beat, quel disco prende forma, quel disco prende vita.
Segue la fase più dolce, e più illusoria: sta per ‘lasciarlo andare’, sta per consegnare suo ‘figlio’ al mondo, ai giudizi, le critiche, l’odio e la follia della gente. È la fase delle aspettative, della revisione finale, della cura maniacale dei dettagli.
Ecco, il disco è ultimato. Lo vediamo ricevere il master, eccitato e soddisfatto (almeno parzialmente, come sempre). L’epoca dei social sarà forse ricordata dalla Storia come l’epoca del Vuoto, della stupidità e dell’inutilità, ma per il nostro Anonimo Emergente può essere un vantaggio. Se il disco ha un valore, se il disco che ha fatto è sentito, vissuto, pianto, vomitato, urlato…se quel disco è – detto il più banalmente possibile – fatto bene, la gente se ne accorgerà, prima o poi. Nonostante l’ostracismo dei colleghi, e la lentezza dei cicli.
Dipendenza complessa da Piattaforme (DCP)
L’epoca dei social mette il nostro Anonimo dietro una vetrina. Una vetrina caotica, e piena d’offerte di ogni tipo. Il vantaggio è la possibilità di arrivare a tutti. Certo, non tutti hanno l’attenzione di seguire un disco, oggi, ma in qualche modo quel disco comincia ad arrivare. Che cosa ha fatto? È entrato nella mentalità del mercato, come tutti, come sempre. L’Arte non può esistere senza un mercato. Certo, c’è mercato e mercato. Da luogo fisico d’incontro collettivo tendenzialmente orizzontale a luogo spirituale del principio individualista, verticalizzato e spietato. Ormai non si parla di rime: si parla di Algoritmo. Non interessa più la creatività e il lirismo, ma i follower. Il nostro artista è spaesato. Eppure reagisce: resilienza, disperazione, determinazione. Ha un disco di livello e vuole farlo arrivare a tutti. Allora affronta l’esoterismo delle piattaforme, l’incomprensione degli editor, l’indifferenza di un pubblico ‘annebbiato’, e riesce finalmente a pubblicare il suo disco. Certo, non riceverà mai un euro – lui! – dal suo ‘lavoro’, ma, almeno, ora è disponibile per tutti.
Il disco è fuori, lui si è ‘liberato di un peso’, ed è pronto ad affrontare un nuovo percorso, a dedicarsi a nuova musica e a portare live il suo bambino. E qui sorge un altro problema, per il nostro Anonimo: i live. Dove portare la sua musica? Chi offre opportunità a uno sconosciuto, che non garantisce introiti al locale? Chi osa rischiare? Questo processo lo impegnerà a morte. Scrivere personalmente ai locali, ai proprietari, alle associazioni culturali, agli artisti, alle etichette…una promozione sfiancante e spudorata di sé stesso, l’unico mezzo per accedere in qualche modo dentro quel vituperato mercato, vetrina indispensabile.
Piano piano qualcuno comincia a rispondere. Oggi, fortunatamente per lui, c’è un rifiorire di open mic e contesti liberi, che offrono magari poco spazio, ma a tutti. Deve sfruttare quelle occasioni, anche se non può fare a meno di promuoversi nell’altro mondo, quello ormai più importante. Ma, a un certo punto, qualcosa va storto… Il suo disco viene tolto dalle piattaforme. Nessuno gli dà spiegazioni, non sa a chi rivolgersi – perché il tutto è avvolto da un’aleatoria indifferenza generalizzata – e non ha voce per lamentarsene. Questo nostro Anonimo Emergente, in qualunque parte d’Italia e del mondo, deve adesso sapere questo: non è solo, cazzo.

Il caso 1989 e la sparizione del disco “Gente che odia la gente”
La vicenda di 1989 è secondo me emblematica di una situazione. Di un circolo vizioso e viziato da troppe lacune informative. Abbiamo delegato troppo di noi stessi ad Altro – un Altro inaccessibile – e la cosa ci è sfuggita di mano. L’artista deve poter avere in mano la propria Arte, sempre e comunque. La diffusione della sua immagine non può avere, come prezzo, l’assoggettamento. A un padrone invisibile e subdolo. L’artista deve avere il pieno controllo. Le ferree – a tratti assurde – regole della proprietà intellettuale (che in questa sede non possiamo approfondire) andrebbero ridiscusse. P
er ora, riportiamo qui integralmente il fatto come ci è stato descritto.
“Verso metà luglio di quest’anno mi rendo conto casualmente che l’album intero “Gente che odia la gente” era sparito dal mio catalogo, su tutti gli store digitali (quindi non solo su Spotify). Faccio presente la cosa alla mia etichetta, Time 2 Rap Records, la quale provvede a chiedere spiegazioni al distributore del disco, Believe. Loro ci rispondono che è stata rilevata una violazione di copyright su una traccia del disco, La gente (feat. Pierpaolo Capovilla), e che per questo hanno rimosso dagli store l’intera uscita nella quale era contenuto il pezzo. l’unico campionamento presente nella traccia è un estratto di un’intervista ad Alfred Hitchcock presa da YouTube. Non credo sia presente copyright su quell’estratto, in ogni caso ci sembra di aver capito che non sia quello il problema Nei successivi mesi, Believe non ha mai specificato in cosa consistesse la presunta violazione di copyright, limitandosi a ricondurla in maniera vaga al beat. Il beat è interamente suonato, non ci sono campionamenti, è tutto basato su un riff di chitarra ideato e suonato da Simone Sambucci. Il pezzo è regolarmente registrato in Siae In tutti questi mesi, Believe si è dimostrata poco collaborativa, rispondendo in maniera poco chiara riguardo l’entità di questa presunta violazione, e senza fornirci indicazioni su come provvedere al “clearence” della traccia. Quindi, allo stato attuale, in maniera ufficiale non si sa se e quando il disco tornerà disponibile sugli store. Per il momento è ancora ascoltabile sul canale YouTube di Time 2 Rap Records”.
Conclusioni?
Quali conclusioni trarre da questa vicenda? Le riflessioni di carattere personale hanno, forse, inquinato l’intento primario di questo articolo, ossia fare luce su una vicenda strana, insensata. C’è stata una presunta violazione, ma non si sa quale. L’irreperibilità delle distribuzioni in questo caso specifico è comunque sintomatica di un problema a monte, di un problema che coinvolge le regole e le speranze dell’Artista nell’epoca dei social. Un problema complesso, che invitiamo tutti a valutare con attenzione.
Il bisogno di contenuti sempre più pressante non può impedirci di riflettere attentamente – e dunque più lentamente – sui problemi che riguardano la produzione artistica in toto. Raccontando questa vicenda, vi stimoliamo così a riflettere sulla vostra Arte, e su chi ce l’ha in mano.


