Paky mostra ogni suo lato artistico con l’album GLORIA

Paky

Paky, uno dei rapper senza dubbio più noti e controversi del rap game, è tornato. Dopo due anni da Salvatore, le aspettative dei fan per un nuovo progetto erano alle stelle: il rischio, come sempre, era quello di non eguagliare il grande successo fatto in precedenza. GLORIA, dopo 3 anni, è finalmente uscito: parliamone insieme.

Gloria: un album vario in cui Paky ci mostra tutti i suoi lati artistici

Iniziamo accennando all’evento fuori di testa che Paky ha organizzato per promuovere l’uscita del disco.

Come per Salvatore, ma questa volta in maniera legale, il rapper ha organizzato un concerto gratuito tra le palazzine di Rozzano, luogo in cui è nato e cresciuto: un tributo forte e significativo a un luogo di cui lui solo da anni ha il coraggio di narrare le ingiustizie.

In Gloria c’è un po’ di tutto, come un tributo a tutto quello che Paky ha fatto

Questo disco parte forte con Gloria, la titletrack in cui Paky si interroga sul suo proposito di vita e artistico. Un testo profondo, street, preludio di alcuni pezzi della scaletta particolarmente conscious su cui varrà la pena spendere alcune parole.

Le atmosfere di apertura sono epiche, quasi mitologiche; rimandano a una copertina del disco (davvero degna di nota), in cui resta il dubbio se Paky stia salendo al cielo o se stia cadendo verso la terra. Un concept di tutto rispetto che, pur non essendo il filo conduttore dell’album, ci comunica maturità e freschezza da parta sua.

E poi? Poi Paky dà voce a ogni sua sfumatura artistica collezionata negli anni.

Gangsta Shit (feat. Simba) e 6 litri sono solo e semplicemente pezzi da club. Belli ignoranti, con sotto la base disco, nulla di più. Ma, sempre nella prima metà, anche brani più diretti come HD (primo e unico singolo pubblicato prima dell’album) e Cattivo esempio.

Quest’ultimo è forse uno dei brani più tosti e feroci della scaletta, in cui Paky non la manda a dire a nessuno. Un rapper che in tre anni di assenza non si è mai lanciato in scelte pop, in grandi eventi televisivi, che non ha voluto rovinare la sua immagine di vero rapper di strada: una autenticità che, purtroppo, pochi della scena possono dire di avere. Scrive:

A me fotte un c*zzo di passare in radio
A me fotte un ca*zo di andare a Sanremo
Non ho mai chiesto di darmi una mano
E non ho mai leccato il c*lo ad Amadeus

Che faccia espressamente riferimento a qualcuno non lo sappiamo, ma, con Sanremo che si avvicina, il dibattito annuale sul senso di portare i rapper sul palco dell’Ariston e “obbligarli” a fare un pezzo pop ritorna più scottante che mai. Paky, come sempre, genera tanta polemica con la sua musica, e forse è questo uno dei suoi lati forti.

Una seconda metà piena (zeppa) di featuring

Dalla sesta traccia in poi si contano 9 collaborazioni, una completamente diversa dall’altra: non è certo il disco più rimpinzato di feat dell’anno, ma il problema si pone comunque. Ha senso in un progetto che dovrebbe indagare visceralmente le capacità e le essenze del rapper protagonista, portare tutti questi nomi? Gli stessi di tutti gli altri dischi? Clicca QUI per leggere l’opinione di Rapologia riguardo questo fenomeno.

Parlando più nello specifico, decisamente apprezzabili le ospitate di Baby Gang, Shiva e Yugi: tutti e tre fanno un ottimo lavoro, accompagnando a dovere Paky durante il corso del pezzo. Unica postilla? Far fare a Shiva solo il ritornello nella traccia Ancora tra, prodotta da zio Skinny. Conoscendolo, una strofa sarebbe stata ben piazzata in una traccia del genere.

Non son più lo stesso di qualche anno fa
Questa merda va molto più in là del rap
Quindi odiami o amami
Ma, se vuoi fermarmi, sparami

Fanno anche il loro buon lavoro Tedua e Clara nella traccia Lame: anche se la traccia più pop (e non per tutti), rimane comunque legata strettamente alla strada e alla visione tipica di Paky. Non completamente in sinfonia col resto della scaletta, ma neanche un completo passo falso.

Decisamente meglio riuscite le tracce Ossa e Carne (feat Franco126 e Gue) e Dentro lo store (feat Rose Villain): per quanto abbastanza diverse per sound e tema, hanno entrambe al loro interno una presenza lirica, Franco e Rose. I due, però, sia con la scrittura che con il flow, riescono in qualche modo a incastrarsi nell’ecosistema e nel pathos generale dell’album, tornando in parte al genere da cui entrambi hanno avuto molto. Rose soprattutto ci regala delle barre non scontate e non il solito ritonrnello.

Degna di nota la strofa di Gue, che non poteva mancare in questo progetto: se ci ricordiamo bene, è stato proprio lui uno dei primi “big” a scoprire il giovane rapper di Rozzano e, ora che entrambi guardano dall’alto la scena, possiamo esserne solo contenti. Scrive:

Dedico la strofa
Ai miei fratelli dentro
E alla gente vera
Come lo è Vincenzo
Imparo dal buono
Imparo dal lercio
Frate, ho visto tutto
Anche da un occhio guercio
(…)
Chissà se c’è un dio Che guarda da lassù

Cosa funziona e cosa non funziona in Gloria

Uno dei lati davvero piacevoli di questo disco è la presenza, in un alcune tracce, di strofe di vera e sentita autocritica e indagine di sé. Ce lo siamo augurati tanto, fin dall’annuncio dell’album, e finalmente è avvenuto: Paky si è tolto, per qualche istante, la corazza. Un Altro Inferno, 1 Ora d’Aria, Dio non c’è, tutti pezzi clamorosamente forti, diretti, che fulminano all’ascolto per la nitidezza e la fatica di raccontare la vita da strada.

Ma quella che riesce meglio, a nostro parere, nel mostrarci un nuovo lato di Paky è Flusso di Coscienza: per quanto sia un interlude, è il testo probabilmente più profondo della carriera del rapper.

Molto più di una dichiarazione di intenti, più di una strofa conscious: qui parla Vincenzo (vero nome di Paky), e noi ne siamo grati.

E, se devo essere onesto
Che grande c*zzata ho detto in quel pezzo
Non voglio morire a Rozzano, chi c*zzo vorrebbe farlo?
Il cielo è sempre grigio ed è tutt’uno con l’asfalto
E questa base fa sembrare tutto così astratto
Ho perso tutto quanto dentro a ste case d’amianto
Un po’ come è successo il giorno che ci hanno sfrattato
E tutti questi platini non valgono un mio pianto
E tutti sti rapper non valgon una delle mie palle
Per tutto questo odio non bastano sedici barre
(…)
Ho detto la verità dentro ognuna delle mie tracce
Stronzo, questa merda è gangsta, fottiti se non ti piace
Se fallisco col rap, torno a vendere oppiacei
Non è passato ancora chi mi doveva bucare
Tanto ci aspetterà a entrambi un altro girone di fiamme

Cosa non funziona invece? Per quanto sia intrigante vedere tutte le sfumature di ascolto che Paky è in grado di portare, si perde a tratti un senso di unità. I toni sono sempre quelli, anche nei featuring, ma ci si ritrova a metà album e di Paky non si sta parlando più. Salvano, certo, le ultime tracce e l’interlude, ma c’è l’impressione di aver dovuto riempire tanto questo album con pezzi che sarebbero stati ottimi su altri dischi.

Detto ciò: Gloria, per quanto non ai livelli di Salvatore, merita di essere ascoltato, se si è fan del rapper e del rap di strada. Le aspettative sono state quasi completamente soddisfatte e, nonostante qualche passo falso, ci sono tutti gli ingredienti perché questo disco abbia una buona risonanza: ferocia, barre toste, cambio di flow, ma anche tanta visceralità e attenzione alla scrittura.

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