Il nuovo disco, l’amicizia con Lou X e Carati Crew: intervista a Gio Lama

Gio Lama

A volte penso che l’underground sia simile ai contesti del cinema d’autore: parliamo di mondi in cui il talento non manca – per quanto ci sia anche tanta fuffa – ma per una serie di ragioni difficilmente questo arriverà al grande pubblico, ammesso che questo sia il fine primario dell’artista.

Nel cinema italiano un nome che mi viene in mente è quello di Yuri Ancarani, che non dirà molto a tanti di voi ma che recentemente è stato apprezzato in molti Festival internazionali e da una leggenda come Werner Herzog. Nell’underground ci sono tanti rapper e produttori con un bagaglio di esperienze da vendere, molti di loro hanno visto diverse stagioni del nostro genere, ma pur avendolo sfiorato non hanno mai raggiunto certi numeri.

A volte parlare di artisti sottovalutati è un modo per dare (o darsi) una pacca sulla spalla, ma chiunque abbia un minimo di cultura del genere sa riconoscere un suono o una penna di talento. Nel nostro piccolo, proviamo a dare spazio a coloro i quali pur non facendo parte del carrozzone dell’industria rap italiana mainstream – che per molti è l’unico mondo possibile – hanno qualità da vendere: Gio Lama rientra sicuramente tra questi.

La nostra intervista a Gio Lama

Gio Lama è un rapper e produttore pescarese che ha iniziato il suo percorso alla fine degli anni Novanta. L’amore per il campionatore ha caratterizzato la maggior parte dei suoi lavori e non a caso nel corso degli anni è arrivata la benedizione e la connessione con un colosso come Dj Shocca. Tra i diversi lavori dell’artista nel 2018 è stato pubblicato infatti, proprio per Unlimited Struggle, Raw Steel, un instrumental album.

Le collaborazioni e i dischi all’attivo dell’artista sono diverse e il 2022 è stato il turno del nuovo album, Educazione e Rispetto, edito per Aldebaran Records. All’interno ci sono diversi nomi di spicco dell’underground, oltre allo stesso Shocca. Il suono del disco è classico, morbido e cupo allo stesso tempo e i sample inseriti sono delle vere e proprie chicche (un esempio è Stati d’ansia di Lou X).

Oltre a consigliarvi vivamente l’ascolto, vi lasciamo alla lunga intervista che abbiamo realizzato con Gio, buona lettura!

Ciao Gio, benvenuto su Rapologia. Il tuo nuovo disco Educazione e rispetto è arrivato a sorpresa dopo diverso tempo dal tuo ultimo lavoro solista. Cosa c’è stato in tutto questo tempo e come è nato l’album?

«Ciao e grazie per lo spazio ed il tempo che mi state dedicando. Si, è passato veramente molto tempo da Raw Steel il mio ultimo lavoro, ma c’è da dire che questo era un progetto veramente molto ambizioso, già solo per il fatto che agli artisti non ho chiesto una strofa ,ma di creare un brano intero che li rappresentasse a prescindere dalla formula che ognuno di loro ha scelto. Prima di iniziare ho dovuto raccogliere un bel po’ di coraggio perché sapevo a cosa stavo andando incontro.

Il mio ultimo progetto era uscito per Unlimited Struggle quindi ne parlai con Stokka che si dimostrò preoccupato anche per la mia salute, quando ne parlai con Dj Shocca lui si limitò a dirmi “D*o c*n man, qualsiasi cosa tu scelga di fare avrai il mio totale supporto”; quest’ultima frase è quella che definitivamente mi ha convinto a partire con il progetto, ci sono voluti 4 anni per portarlo a termine e Shocca ha mantenuto la sua parola.

Aggiungo che durante l’estenuante attesa delle tracce non sono stato fermo, ho realizzato l’EP A Dio piacendo con Poppa Gee, ho piazzato diverse produzioni sui dischi di altri come Oyoshe, Ape e Jangy Leeon, pubblicato diversi singoli come Gio Lama Joint con Big House, Straordinario con Engeezo, Caino con Dono e due Posse Track, RawSteel MonStarz e L’uomo senza tempo».

Gli ospiti di Educazione e rispetto vengono da tutta Italia: come li hai scelti? C’è qualche aneddoto legato alla lavorazione?

«All’inizio volevo che Educazione e Rispetto fosse una sorta di manifesto della mia generazione, quella che è arrivata durante gli anni del grande buio del rap italiano, quindi parliamo dei primi anni 2000 ed è il motivo per cui mancano dei veterani della vecchia scuola a differenza dei miei progetti passati o dei giovanissimi. Ho contattato realmente artisti da ogni parte d’Italia e se ci sono zone che non sono rappresentate in questo lavoro è perché gli artisti locali a cui l’ho chiesto o non avevano il piacere di partecipare al progetto o non si sono dimostrati abbastanza seri da poterlo fare».

Come ti racconteresti se ti chiedessero chi è Gio Lama? Qual è stato il tuo percorso musicale?

«Ho iniziato il mio percorso musicale come rapper e con un altro nome alla fine degli anni ’90 e mai avrei immaginato nella vita che sarei diventato un producer. La figura di Gio Lama nasce un po’ per gioco e un po’ per sfida dato che, in un periodo in cui ero molto prolifico con IL rap, non trovavo più beat sui quali rappare quindi iniziai a sperimentare la composizione su una vecchissima versione di Reason che avevo sul pc, ma non mi sentivo preso sul serio, come se il fatto che a produrre quella musica non fosse stato un vero beatmaker questa perdesse di valore.

Parliamo dei tempi di My Space così una notte dopo aver creato l’ennesimo beat mi feci una foto a volto coperto ed inventai questo alter ego. In quel periodo tanti si gasarano con le produzioni di questo beatmaker misterioso che poi prese il sopravvento totale sulla mia vita e tutto il resto è storia. Io non sono mai stato bravo a fare niente di particolare e non ho nessun talento, però ho lavorato e lavoro ancora tanto per riuscire ad ottenere il suono che ho in testa e quello che sentite è tutto esclusivamente frutto del mio lavoro».

Quanto è difficile fare un certo tipo di rap in Italia oggi? Rimpiangi qualcosa del passato o alla fine la dimensione underground – con i suoi pregi e difetti – è rimasta quasi intatta nella sua bolla dalla sovraesposizione del rap degli ultimi anni?

«In realtà per la mia generazione non c’è niente da rimpiangere del passato perché come dicevo siamo arrivati nel momento più buio della storia del rap italiano, quando la golden age era finita e noi eravamo lì senza una guida e senza mercato a beccarci l’odio che ci sputava addosso chi non ce l’aveva fatta prima di noi. Io credo che questa scena abbia un potenziale gigantesco ma, cito Creep Giuliano che disse in un’intervista che “l’unica cosa che manca a l’ underground italiano sono i soldi”.

Un flusso anche modesto ci permetterebbe di avere progetti di qualità maggiore, pagare i collaboratori e non rischiare di saltare una rata del mutuo ogni volta che si vuole cacciare fuori un lavoro. Naturalmente dev’essere un dare ed avere, ma oggi non è ancora possibile e anche chi sostiene di averne in abbondanza al netto delle scelte artistiche tira fuori prodotti di qualità mediocre».

Al netto dei danni che la pandemia ha fatto anche all’ambito artistico e musicale, qual è lo stato musicale della scena rap a Pescara secondo te? C’è margine per poter fare delle cose belle o – come in tante altre province – si tende ogni tanto a mettersi i bastoni tra le ruote a vicenda?

«Ma sai che io non ci capisco più niente? Io sono Pescarese al limite del campanilismo, forse anche oltre, ma nel mio percorso le soddisfazioni a livello musicale me le sono prese sempre al di fuori dei confini della mia città, fatta eccezione per RawSteel MonStarz. Abbiamo passato anni tremendamente aridi, oggi invece vedo tanto fermento tra i ragazzi, c’è tanto potenziale ma probabilmente ancora un pò acerbo.

Io mi sono sempre prestato ad aiutare i giovani e ci sono decine di testimonianze a riguardo, ma non ti nascondo che quando qualche mese fa, in cerca di nuovi talenti, ho indetto il Raw Skillz Contest dove mettevo in palio un singolo prodotto da me, il fatto che neanche un Pescarese/Abruzzese abbia partecipato mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca. Coesione o bastoni tra le ruote? Un po’ tutte e due le cose, ma è un discorso che mi tocca relativamente, un po’ perché sono un lupo solitario ed ho imparato ad andare avanti sempre e comunque, un po’ perché si bella Pescara bello tutto ma io alla fine sono di Staten Island».

In Più morbido con Sandro Su, ma in generale nella tua musica, ci sono diversi riferimenti a Lou X. Che rapporto hai con Lui? Ci potremo mai aspettare di riascoltarlo al microfono?

«Lasciami premettere che le parole di Sandro sono tanto pesanti quanto pesate, perché sapeva perfettamente di cosa stava parlando. Io sono prima di ogni cosa un fan di Lou X e di tutto ciò che è diventato quel complotto fantomatico chiamato Costa Nostra, solo poi sono un amico di Luigi. Lo vado a trovare tutte le volte che posso anche se la pandemia ha reso tutto più difficile, per me è una specie di terapia ogni volta, il suo pensare fuori dagli schemi riesce a farmi mettere in discussione certe scelte e certe convinzioni e questa cosa ha influito anche su alcune decisioni che ho preso sul disco. Lui apprezza tanto la mia musica e adesso non vedo l’ora di poter andare a portargli una copia di Educazione e Rispetto in vinile. Cosa possiamo aspettarci da lui sicuramente non sono io a poterlo dire, ma la sua passione per la musica è ancora ardente».

La musica di Lou X all’epoca aveva un significato e un’importanza che trascendeva la musica stessa: pensi che il rap, oggi, possa ancora essere di rottura a livello sociale in Italia?

«Io penso che il rap possa qualsiasi cosa anche se non deve per forza salvare il mondo. Io credo che il rapper non debba spiegare niente a nessuno, non abbiamo bisogno di altri preti o maestri. Credo che il rapper debba fare il suo, esprimere se stesso ed è solo quando l’ascoltatore si sente rappresentato che scatta l’alchimia. A me il rap ha realmente cambiato la vita e mi ha dato le chiavi per esprimermi mettendomi in contatto con l’arte, cosa che difficilmente sarebbe successa tra le vie di Rancitelli tra una piazza di spaccio ed una Golf che pompa neomelodico».

Lou X e Lord Bean

La figura dei produttori in Italia è sempre stata complessa, sono figure che spesso rimangono in ombra e salvo rari casi sono costretti a fare sacrifici per chiudere i conti con la musica. Per provare a far diventare la musica un lavoro a tutti gli effetti hai mai pensato di iniziare a produrre anche altri generi più “redditizi”?

«Quello che dici è tanto vero quanto ridicolo, YouTube è pieno di video da qualche migliaio di euro di budget dove in descrizione ci sono i crediti a Simona, la sorella della truccatrice del rapper che ha portato il caricabatterie per il cellulare, ma non c’è modo di sapere chi cazzo ha prodotto quella traccia. Per rispondere alla tua domanda no, non l’ho nemmeno mai preso in considerazione, in primis perché non sono in grado di studiare una produzione a tavolino, è tutto istinto e sentimento se non sono ispirato e non sento l’impellente bisogno di esprimermi manco ci entro in studio. Poi già faccio da una vita qualcosa controvoglia per portare il pane a casa, non mi sembra il caso di infangare anche la mia musica».

Tornando al disco, hai una traccia preferita? C’è qualche altro artista che avresti voluto inserire?

«Sono legato a tutte, ognuna ha la sua storia, le sue peculiarità, amo lo snare di una, il giro di hi-hat dell’altra o il taglio del sample di un’altra ancora. Così come per le strofe di tutte mi piace qualcosa ed in generale amo il modo in cui ogni singolo artista sia riuscito ad incollarsi alla perfezione all’atmosfera che gli ho proposto. Ma se fossi costretto a sceglierne una ti direi “Questo è il terzo occhio”, il beat mi piace molto, nel titolo ho inserito un messaggio nascosto e Roc mi ci ha regalato e dedicato quegli scratch in perfetto stile Barakys.

Di artisti con cui vorrei collaborare ne ho una lista infinita ma per quanto riguarda questo disco mi sarebbe piaciuto inserire Ensi, che attualmente ritengo il massimo esponente della mia generazione, ne avevamo anche parlato ma la cosa non è andata in porto. Nel mio disegno iniziale c’erano anche altri artisti che avrebbero potuto dare il loro contributo, ma sono innamorato di questa squadra e nessuno degli assenti nel frattempo ha fatto di meglio.»

Immagino non ci sia una sola risposta, ma come si compone generalmente il tuo processo di creazione di una base?

«In realtà la risposta è una sola. In primis deve esserci l’irrefrenabile bisogno di creare, dopodiché mi reco in studio e cerco tra i vinili qualcosa che mi ispiri, ho un crate piazzato sotto il giradischi dove lascio i dischi che hanno ancora del potenziale inespresso, lo chiamo il purgatorio. Campiono la porzione che ho scelto sul MPC 2500, la taglio, la flippo, la giro e la pitcho fino ad ottenere una nuova melodia che sarà la base del mio beat.

Poi scelgo dal porta floppy uno dei miei set di drums che ho creato negli anni e lo carico nel noveecinqunta, se proprio voglio torturarmi mi vado a cercare qualcosa tra i vinili nella sezione breaks & drums. Lascio andare il loop del sample e ci suono sopra la batteria live per capire quale giro ci stà bene e poi lo ripropongo in fase di registrazione facendo attenzione a swing, velocity e sound visto che dò un pò di equalizzazione dal mixer anche in fase di produzione e poi registro tutto sul pc dove in seguito mi preoccuperò di missare a dovere le tracce».

Se la memoria non mi inganna hai fatto parte del collettivo Carati. Ti va di raccontarci quell’esperienza?

«Per onestà intellettuale non so se posso dire di aver fatto parte del collettivo, ma in fondo chi potrebbe? Comunque si, ho prodotto #CARATI 3 e se non erro ce n’era un’altra in ballo, forse proprio la 10 ma non ricordo. In quel periodo a parte Warez, che non ho mai conosciuto neanche dopo, avevo un buon rapporto con tutti i componenti e avevo o stavo collaborando più o meno con tutti. Fu Don Diegoh a illustrarmi il progetto e chiedermi di mandare qualche beat.

Feci lo stesso “errore” e notate le virgolette, di quando mi chiesero di produrre il remix ufficiale di Anticostituzionale la traccia di Tormento & Left Side con Esa e Primo Brown, ovvero pensai, questi mi stanno chiedendo i beats ma non li useranno mai e visto che per me i miei sample sono oro e la scarsa fiducia che ripongo nei rappers ,utilizzai un sample storico di Bob James ,ma reinterpretato per Anticostituzionale ,ed uno seppur inedito, ma con il quale ero riuscito a costruire solo quattro quarti cosa insolita per un mio beat, per Carati 3.

Su Carati aleggiava questa cosa dell’anonimato quindi i tag sui beats erano vietati, con il risultato finale che tutti dopo la seconda traccia conoscevano i rappers e a distanza di tutti questi anni manco io so chi cazzo ha prodotto le tracce; comunque l’occasione era ghiotta così decisi di inserire un sample vocale di Lou X, da “come l’occasione” per l’appunto come parte integrante della produzione perché se non potevo rivendicare la paternità del beat ,tutti almeno dovevano sapere di che razza fosse il beatmaker. Partecipai anche ai concerti di Bologna e Roma e fu incredibile; poi la cosa è implosa, ma forse è giusto così».

Possiamo aspettarci di vederti su qualche palco quest’estate?

«Al momento non ci sono line up ufficiali che riportano il mio nome, ma sicuramente starò tanto in studio nonostante con tutta probabilità quando questa intervista verrà pubblicata sarà già nato il mio secondo figlio io sarò lì a fare il mio, c’è da capire solo se i rapper riusciranno a starmi dietro».